La pittura senza confini di David Hockney in Giappone dopo 27 anni

The Arrival of Spring in Woldgate, East Yorkshire in 2011 (twenty eleven), 2011, Oil on 32 canvases (91.5 x 122 cm each), 365.6 x 975.2 cm, Centre Pompidou, Paris. Musée national d'art moderne-Centre de création industrielle © David Hockney Photo: Richard Schmidt

Convinto libertario, figura controcorrente, artista sperimentatore, viaggiatore e immenso pittore, David Hockney, che in luglio compirà 86 anni. è tornato ad esporre in Giappone dopo una lunga pausa. La vasta retrospettiva intitolata semplicemente "David Hockney", in corso al Museo d'Arte Contemporanea di Tokyo (o Mot Art Museum), infatti, arriva 27 anni dopo il suo precendente show nella capitale del Giappone.

E lo fa in grande stile con 120 opere (alcune delle quali davvero molto rappresentative), divise in otto sezioni. Inoltre, la mostra presenta per la prima volta in Asia il dipinto del 2011 "The Arrival of Spring in Woldgate, East Yorkshire in 2011 (twenty eleven)" (la rappresentazione di un bosco in primavera su una pergamena lunga 90 metri). Per la prima volta in Giappone poi, anche 12 disegni per iPad di grandi dimensioni stampati su carta. Ma soprattutto, l’intera seconda metà della mostra, è una novità (dal vivo s’intende) per il popolo del Sol Levante.

Nel lasso di tempo che separa questo appuntamento da quello precedente di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Per l’Hocknay artista poi, che è sempre stato in costante movimento, ancora di più. Basti pensare che la Royal Academy di Londra (nel 2012) e il Centre Pompidou di Parigi (nel 2017) gli hanno dedicato una personale, ed entrambe le mostre hanno superato i 600mila visitatori, facendone uno degli artisti più popolari al mondo. Nel 2018 l’opera di Hockney è diventata anche la più preziosa, quando il dipinto del ‘72 "Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)" (una delle sue tante immagini della vita in Califormia durante quel periodo, quando Hockney cercava avidamente di catturare ogni riflesso di luce nell'acqua delle piscine), è stato battuto dalla casa d’aste Christie’s di New York per 90 milioni di dollari, superando il record del "Balloon Dog (Orange)" di Jeff Koons. Koons quel record se lo sarebbe ripreso un anno dopo, ma per un solo milione. Nel 2017 Hockney ha anche esposto per la prima volta in Italia (alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia).

Nato a Bradford nel Regno Unito, David Hockney, nel corso della sua carriera è stato un pittore, disegnatore, incisore, scenografo e fotografo. Amante delle nuove opportunità offerte dalla tecnologia per sviluppare il suo lavoro, ha sperimentato i materiali più vari: dal fax alla pasta di carta, dalle applicazioni per computer ai programmi di disegno per iPad (le sue performance con questo insolito medium sono diventate famose ma Hockney dopo un po’ è ritornato alla pittura ad olio). Non ha mai fatto Nft, però.

Gay dichiarato dall’età di 23 anni, è stato anche uno dei primi a dipingere la quotidianità degli omosessuali senza drammi o particolari rivendicazioni. Il suo lungo periodo di vita nella East-Cost è sottolineato da tutte le sue biografie, insieme alle opere che ne sono nate (il sole abbacinante della California, le piscine sfavillanti animate da onde placide e luci, sopratutto luci; ma anche oggetti più anonimi come gli irrigatori), ma Hockney è stato un grande viaggiatore. Visitando e lavorado (talvolta anche comprando casa) in tanti luoghi diversi: Colorado, Iowa, l'Artico a nord della Norvegia, la Francia rurale, ma pure Parigi, Londra, New York e Kyoto, oltre a Bridlington e Los Angeles. Ed attingendo dalle sollecitazioni e dalla storia di ognuno di questi luoghi per creare. Nell’elenco compare persino Lucca. Adesso l’artista però vive prevalentemente in Normandia, con il compagno di lunga data Jean-Pierre Gonçalves de Lima (detto JP) e da anni ha problemi d’udito, anche se non ha mai perso l’ironia, una certa bizzarra e ricercata eleganza, insieme all’amore per i piccoli piaceri della vita fra i quali il fumo (di cui è rimasto un acceso sostenitore).

Sovente torna in Inghilterra, dov’è celebrato come una sorta di sovrano, non a caso è accademico reale (uno solo della sfilza di riconoscimenti attribuitigli dalla sua patria). E a ragione, perchè l’opera di Hockney affonda le sue radici nelle rappresentazioni del paesaggio del natio Yokshire e della campagna inglese in generale. Risuona di riferimenti ad artisti del Regno Unito, amati in Gran Bretagna come in nessuna altra parte del mondo (come, ad esempio, Turner e Constable). Pure se a cadenza ciclica si sono imposte le sue rivisitazioni di altri generi classici, come il ritratto, l’autoritratto e la natura morta. E anche se, tutto sommato, l’animo inquieto di Hockney ha esplorato, nel tempo, interi libri di storia dell’arte, stabilendo che le proprie stelle polari risiedessero altrove. Da giovane venne colpito dalla pittura di Jackson Pollock (fece persino l’autostop per andare a vedere una sua mostra a Londra), ma nel corso degli anni non ha mai fatto mistero di stimare l’opera di Vermeer, Degas e van Gogh, come quella di nessun altro. A parte il suo eroe prediletto, ovviamente: Pablo Picasso.

E poi c’è la storia della sua epifania: avvenuta di fronte alla pittura cinese, quando ha superato per sempre la gabbia della prospettiva rinascimentale e della fotografia. Ritrovandosi in un punto di vista più realistico, morbido, labile e decisamente meno geometrico.

Impossibile non soffermarsi un secondo sui ritratti, spesso strettamente realistici, a volte inseriti in un ambiente volto a mettere in luce e a terminare di raccontare i protagonisti, altre lasciando il soggetto da solo in un corpo a corpo, amichevole, ma serrato con l’artista. Hockney, infatti, oltre a dipingere ‘en plain air’, ha ritratto anche le persone dal vivo, facendole posare nel suo studio, come praticamente non faceva più nessuno, grosso modo dall’invenzione della fotografia in poi.

Per i ritratti realizzati in tempi relativamente recenti, in occasione di una mostra alla Royal Accdemy of Arts (Londra), l’artista ha dichiarato di domandare almeno tre giorni di posa alle persone ma di arrivare a volte a sei o più. Tuttavia, nell’ormai iconico "Mr and Mrs Clark and Percy", in cui il pittore ha lavorato con la fotografia (anche se i Signori Clarck hanno posato per lui molte volte), alcune difficoltà tecniche insieme alla ferma volontà di raggiungere il massimo, hanno gonfiato i tempi a dismisura. Tanto che Hockney ha cominciato a scattare immagini e fare bozzetti nel 1969, a lavorare sulla tela nella primavera del’70 per terminarla solo nel ‘71. L’opera rappresenta l’amico stilista Ossie Clarck insieme alla moglie Celia Birtwell (disegnatrice di motivi per le stoffe e cara amica di David a sua volta) e alla loro micetta Percy. Hockney ha dipinto la testa di Ossie Clarck ben 12 volte prima di esserne soddisfatto.

La gattina Percy (che può essere letta come un simbolo del comportamento libertino di Ossie), ha anticipato i bellissimi ritratti dell’artista ai suoi cani (alcuni attualmente in mostra nella collettiva "Portraits of Dogs: From Gainsborough to Hockney" alla Wallace Collection di Londra).

Anche "Mr and Mrs Clark and Percy" adesso è esposto al Museum of Contemporary Art di Tokyo (Mot). L’importante retrospettiva nipponica dedicata a David Hockney si concluderà il 5 novembre 2023.

Mr and Mrs Clark and Percy, 1970-71, Acrylic on canvas, 213.4 x 304.8 cm, Tate: Presented by the Friends of the Tate Gallery 1971 © David Hockney

No. 118, 16th March 2020, from "The Arrival of Spring, Normandy, 2020", 2020, iPad painting printed on paper, 56.3 x 75.0 cm, Collection of the artist © David Hockney

A Lawn Sprinkler, 1967, Acrylic on canvas, 125.8 x 123.8 cm, Museum of Contemporary Art Tokyo © David Hockney

A Year in Normandie 2020-2021 (detail), 2020-21, Composite iPad painting, 100 x 9000 cm, Collection of the artist © David Hockney

L’opera minimale ed aggraziata di Ann Veronica Janssens capace di mettere in evidenza gli animi indomiti e le inclinazioni romantiche

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Capace di scolpire la luce e creare ingannevoli e complessi giochi di specchi, l’opera di Ann Veronica Janssens, è minimale e mutevole. Al confine tra ricerca artistica e scientifica. Talvolta effimera, a momenti inafferrabile, incorpora il movimento e le emozioni del visitatore con cui instaura un dialogo serratissimo. Al centro della sua attenzione, la percezione della realtà.

Per “Grand Bal”, l’importante personale in corso al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, Ann Veronica Janssens, ha cominciato col pensare allo spazio architettonico in cui l’esposizione è ospitata. Un edificio di archeologia industriale in cui un tempo si costruivano locomotive: grande (sia per estensione che in altezza), buio, lineare. Poi l’ha modificato, in maniera transitoria e se vogliamo sottile, ma decisamente sostanziale.

L’artista originaria di Folkestone (Regno Unito), infatti, ha rimosso alcune delle porte d’uscita, sostituendo i battenti con una rete in PVC porosa e trasparente, che permette alla luce naturale, così come a suoni, aria e altri elementi esterni, di penetrare nell’ esposizione. Il risultato è drammatico e lo spazio architettonico appare trasformato. La luce che arriva dalle pareti si diffonde dolcemente nell’ambiente ma quella che dal soffitto raggiunge il suolo taglia il vuoto. L’effetto è quello di una serie di riflettori capaci di generare fasci di luce diretta che da lontano sembrano colonne (come quelle di un tempio o di una cattedrale). L’intervento si chiama “Waves” ed è stato ideato per la mostra.

Che si apre con una serie di 12 specchi circolari a pavimento (“Drops”, 2023). Somigliano a delle grandi gocce d’acqua come dice il titolo, ma fanno pensare anche alle pozzanghere, e riflettono il soffitto (o meglio la parte dell’edificio non utilizzata dalle persone). Il dialogo con l’architettura è stretto, quasi intimo, mentre quello con lo spettatore si apre in sordina (per crescere passo a passo), generando nuovi punti di vista, meraviglia e un vago spaesamento.

I lavori in cui Janssens si interroga sull’architettura, o comunque, le assegna un ruolo fondamentale nel corpo a corpo che via via si crea tra l’artista e il pubblico, sono molti ancora. Non a caso il video “Oscar” del 2009, è centrato sull’architetto modernista brasiliano, Oscar Niemeyer (1907-2012), radicale portavoce di ideali sociali. Mentre “Area” (2023), una piattaforma percorribile in mattoni, mette in discussione il netto confine che separa scultura ed architettura.

Un lavoro asciutto, persino troppo, ma su cui “Swings” (2000-2023), fa bella mostra di se. Si tratta, infatti, di altalene che oltre a citare soggetti pittorici del passato, introducono il tema del ludico e del meraviglioso che accompagna tutta la mostra. Quest’ultima, infatti, altro non è che una grande scenografia, in cui il visitatore si muove liberamente, guidato dal senso di stupore e da un giocoso spirito d’avventura (anche se inconsapevolmente indirizzato dall’artista).

Sulle altalene, lascia traccia del proprio passaggio, attraverso una pellicola termoreagente che muta di tonalità a contatto con il calore del corpo. Per trovarsi poi a cospetto con l’assenza di punti di riferimento spazio-temporali, ne “L’espace infini” (1999) (l’opera è una struttura concava rettangolare, priva di angoli e bordi, l’ambiente è bianco, talmente bianco che per un effetto ottico lo sguardo non riesce più a distinguere dimensioni e limiti). Simile ma peggiore l’esperienza di o “MUKHA, Anvers” (1997-2023), un ambiente isolato dal resto della mostra che da fuori sembra un grande ma banalissimo cubo bianco. Quando si entra però la musica cambia, Janssens, ha riempito la stanzetta di fitta nebbia artificiale e ha lasciato che l’illuminazione naturale rendesse ancora più vaghi i confini dello spazio e più sfumate le forme dei corpi in movimento. Risultato? Il completo spaesamento. Ci si sente alla deriva, spesso irrazionalmente incapaci di fare un passo ma la sensazione che si prova non è del tutto sgradevole. L’artista, ha spesso raccontato di stupirsi per i messaggi che le mandano le persone che hanno affrontato quest’opera, diverse volte ha persino ricevuto ringraziamenti da parte di donne che tra la nebbia di “MUKHA, Anvers” hanno incontrato quello che sarebbe diventato il loro marito.

Meno votate a mettere in evidenza gli animi indomiti e le inclinazioni romantiche, ma altrettanto suggestive, le opere che si soffermano sul colore. Fasci di toni primari che pulsano nello spazio finchè il visitatore non vede bianco (“Rouge 106, Bleu 132 -Scale Model”), o si ricorrono senza mai combaciare (“Bitter, Salty, Acid and Sweet #2”) e poi un piccolo prisma che cattura la luce e porta l’arcobaleno in mostra (“Untitled - Prism”). Oltre ad opere che attraverso finiture di nuova generazione sviluppano cromie cangianti apparentemente irreali.

Va detto che l’opera di Janssens è stata spesso associata al lavoro dei “Light & Space” (gruppo di artisti americani degli anni Sessanta come Robert Irwin e James Turrell) da cui discendono figure più recenti come Olafur Eliasson. Tuttavia l’artista britannica (ma trapiantata in Belgio) ha sempre avuto un linguaggio ed una ricerca squisitamente personali.

La grande retrospettiva “Grand Bal” di Ann Veronica Janssens, curata da Roberta Tenconi, proseguirà fino al 30 luglio 2023 al Pirelli Hangar Bicocca di Milano. In contemporanea a quella dedicata a Gian Maria Tosatti.

Ann Veronica Janssens Magic Mirrors (Pink & Blue), 2013-2023 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Alfonso Artiaco, Napoli © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti

Ann Veronica Janssens MUHKA, Anvers, 1997-2023 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Collection 49 Nord 6 Est – Frac Lorraine © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens La pluie météorique, 1997 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Collezione M HKA / Museum of Contemporary Art Antwerp © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens waves, 2023 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Commissionata e prodotta da Pirelli HangarBicocca, Milano © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens Drops, 2023 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens Pink Coco Lopez, 2010 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista ed Esther Schipper, Berlino/Parigi/Seoul © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti

Ann Veronica Janssens for PHB, 2004-23 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens Ritratto Courtesy Esther Schipper Gallery © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto © Andrea Rossetti

L'allegra malinconia dei mosaici di galloni gialli di Serge Attukwei Clottey sospesi sulla laguna di Venezia per la Biennale d'Architettura

Serge Attukwei Clottey, Time and Chance 18. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, The laboratory of the Future Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Inserito nella sezione "Dangerous liaisons" della Biennale d'Architettura di Venezia 2023, l'artista di Accra Serge Attukwei Clottey, ha presentato uno dei suoi mosaici di taniche di plastica gialla (i galloni Kufuor). L’opera si intitola "Time and Chance" ed è stata sospesa alle Gaggiandre (Arsenale), direttamente sull’acqua della laguna. consentendole di riflettersi nelle onde. La scultura allude ai problemi di approviggionamento idrico dei popoli africani ma anche alla circolarità della Storia ed alla coesione delle comunità ghanesi.

Viste da lontano le opere di Serge Attukwei Clottey sembrano sontuose, ricordano ad un tempo i mosaici bizantini, gli strascichi di antiche regine o gli abiti di arcani cavalieri. Possono dare persino l’impressione di incorporare pagine scritte in uno stratificarsi di segni ricco di storia. Ma si tratta di un’illusione. Serge Attukwei Clottey, infatti, ultilizza soltanto vecchie taniche di plastica gialla, tagliate, forate e legate insieme con fili di rame e altri elementi di recupero. Anche se questo non impedisce, comunque, al materiale di raccontare vicende umane e narrare la sua ormai pluridecennale storia.

Chiamati galloni Kufuor (dal nome di un ex-presidente ghanese, sotto il cui mandato il paese africano conobbe una severa crisi idrica), o più semplicemente galloni (di qui, Attukwei Clottey. ha ricavato il nome di “Afrogallonism” per descrivere la sua pratica artistica), questi contenitori, di litri ne raccolgono ben 10 e sono diffusissimi nel Ghana ma anche in altre parti dell’Africa. Usati originariamente per trasportare olio, sono giunti lì da Occidente. La gente da allora li usa per recuperarare acqua qua e là, quando i rubinetti smettono di funzionare (pare che accada spessissiamo), e poi li abbandona in giro, certa che di lì a pochi giorni ritorneranno nuovamente utili. Ma a volte, tanti e talmente malmessi sono, finiscono nei fiumi e poi negli oceani, contribuendo all’inquinamento.

Serge Attukwei Clottey, sulla loro storia, ha costruito una serie di sculture, dalle dimensoni monumentali e dai risvolti epici. Non sempre, certo, ma nel tempo ne ha create di grandissime, le ha appese ad un’alta formazione rocciosa nel deserto dell’Arabia Saudita, gli ha dato forme architettoniche nella valle di Coachella in California, oltre ad averle usate per lastricare le strade di un’ampia zona di Accra. Spesso ha pagato per i galloni, coinvolgendo intere comunità nella sua opera, mettendone in luce la resilienza ma anche l’allegra malinconia. Le dinamiche che regolano la società africana, infatti, sono uno degli argomenti al centro della sua pratica.

Non più, naturalmente, dei problemi nell’approvvigionamento idrico, dell’ecologia, del rapporto tra Africa e Occidente e dell’urbanistica di città come Accra.

Curata dall’architetto ghanese-scozzese, Lesley Lokko, la 18esima Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, ha un focus particolare sull’Africa.  Con 89 partecipanti (di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana), "The Laboratory of the Future", si divide in sei parti. Una delle quali è appunto "Dangerous liaisons", in cui sono raccolti i progetti speciali della curatrice.

Serge Attukwei Clottey, con il suo stile semplice ma dall’estetica ricercata, capace di parlare allo stesso tempo di una serie di argomenti importanti per definire l’Africa contemporanea, in questo capitolo della Biennale stà benissimo. E oltre alla grande installazione a pelo d’acqua delle Gaggiandre, ha anche collocato uno dei suoi mosaici all’interno dell’Arsenale. Le opere si potranno visitare per tutta la durata della Biennale d’Architettura (fino a domenica 26 novembre 2023).

Serge Attukwei Clottey, Time and Chance 18. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, The laboratory of the Future Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Serge Attukwei Clottey, Time and Chance 18. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, The laboratory of the Future Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Serge Attukwei Clottey, Time and Chance 18. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, The laboratory of the Future Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Serge Attukwei Clottey, Time and Chance 18. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, The laboratory of the Future Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia