Si chiamerà “In Minor Keys” la Biennale di Venezia 2026 e alla fine la curerà la scomparsa Koyo Kouoh

Koyo Kouoh in una foto di © Antoine Tempé

La biennale 2026 la curerà la scomparsa Koyo Kouoh
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La sessantunesima Esposizione Internazionale d’Arte si chiamerà “In Minor Keys” Un titolo scelto da Koyo Kouoh, scomparsa lo scorso 10 maggio, che alla fine resta l’unica curatrice della Biennale di Venezia 2026.

Ieri, durante la conferenza di presentazione di “In Minor Keys”, si è capito che sul vuoto di leadership ha prevalso la commozione per la morte improvvisa e prematura di Koyo Kouoh, stroncata da un tumore a soli 57 anni. E’ stato evidente nelle parole dei rappresentanti della Biennale, ma anche nei volti di chi l’aveva conosciuta bene e nella voce rotta del suo assistente mentre recitava i versi di una poesia da lei composta nel 2022.

La Biennale fa oggi quello che da 130 anni fa- ha detto per anticipare eventuali domande, il presidente della Fondazione La Biennale di Venezia, Pietrangelo Buttafuoco- realizza, mette a terra, edifica l’idea di un curatore che oggi, con Koyo Kouoh nell’assenza è presente per suggerire da quell’altrove una strada. Ed è una strada precisa, è il futuro”.

Mentre la responsabile dell’Ufficio Stampa dei settori Architettura e Arti Visive e, in quest’occasione, portavoce della Biennale, Cristiana Costanzo, ha sottolineato che “con il pieno sostegno della famiglia di Koyo”, l’istituzione lagunare “immediatamente dopo la notizia della sua scomparsa, ha deciso di realizzare la sua mostra”. Aggiungendo che: “Lo farà secondo il progetto così come definito da lei stessa, anche per preservare, valorizzare e diffondere il più possibile le sue idee e il lavoro svolto con dedizione fino all’ultimo”.

La signora Kouoh, che avrebbe dovuto essere la prima donna di colore, oltre alla prima curatrice ad operare in un museo del sud del mondo, al timone della Biennale di Venezia, mancata ad un anno dall’allestimento della mostra e dopo soli sei mesi di lavoro (si suppone non ininterrotto visto che è morta per malattia), avrebbe lasciato infatti una ricca eredità di appunti e idee. Anzi, secondo quanto dichiarato alla presentazione, “da ottobre 2024 a maggio 2025” sarebbe arrivata a “definire il testo teorico, selezionando artisti e opere, individuando gli autori del catalogo, determinando l’identità grafica della mostra e l’architettura degli spazi espositivi”. Oltre ad avviare un dialogo con gli artisti invitati a partecipare.

In merito tuttavia a questi ultimi, la Biennale, è stata ferma nel lasciare cadere ogni richiesta di indiscrezione. Verranno elencati insieme ai Paesi partecipanti (tra le novità ci sarà il padiglione permanente del Qatar ai Giardini) a febbraio del prossimo anno. D’altra parte la discrezione della Biennale l’ha sottolineata lo stesso Buttafuoco, mentre cercava di rendere evidente la limpida bellezza della signora Kouoh: “Quando le ho chiesto se voleva curare la prossima edizione, ancora prima di rispondere, posto il vincolo di riservatezza, posto il bisogno di non far trapelare al di fuori di quelle mura in cui ci trovavamo, mi chiese: ‘però posso dirlo a mia mamma?’”

Nonostante l’impegno e l’abnegazione della curatrice nata in Camerun nel ’67 e al momento della scomparsa alla guida del museo di Città del Capo Zeitz MOCAA, è verosimile tuttavia che gran parte del peso della Biennale di Venezia 2026 cadrà sul team da lei composto. Tra loro il nome più famoso è quello della ricercatrice, scrittrice e produttrice canadese, Rasha Salti, anche se pure l’editore capo, lo scrittore d’arte, Siddhartha Mitter non se la cava male (attualmente pubblica sulle pagine di New York Times ma ha un passato in riviste e quotidiani in lingua inglese conosciuti in tutto il mondo). Un po’ meno noto quello della storica e curatrice londinese, Gabe Beckhurst Feijoo (specializzata in fotografia, performance e immagini in movimento) e del giovane assistente della signora Kouoh, Rory Tsapayi (cresciuto in Zimbabwe si è laureato in giornalismo e storia dell’arte negli Stati Uniti, ha scritto di sé che il suo lavoro “è guidato dal desiderio di collegare le storie nere del XX secolo, dentro e fuori il continente” africano). Mentre, con ogni probabilità, la curatrice africana, Marie Hélène Pereira (particolarmente interessata alla storia delle migrazioni e alle politiche d’identità), potrà essere molto utile a portare avanti la mostra che avrebbe voluto la signora Kouoh, visto il loro rapporto di collaborazione di lunga data.

Riguardo alla sessantunesima Esposizione Internazionale d’Arte “In Minor Keys”, Koyo Kouoh, ha scritto: “Una mostra sintonizzata sulle tonalità minori; una mostra che invita ad ascoltare i segnali persistenti della terra e della vita, in connessione con le frequenze dell’anima. Se nella musica le tonalità minori sono spesso associate alla stranezza, alla malinconia e al dolore, qui si manifestano anche nella loro gioia, consolazione, speranza e trascendenza”. In sintonia con il messaggio trasmesso da altre sue longeve esposizioni (come When We See Us. A Century of Black Figuration in Paintings, originariamente creata per lo Zeitz MOCAA è stata allestita anche in altre sedi e adesso è in mostra al Bozar di Bruxelles fino al prossimo 10 agosto).

La curatrice ha anche detto che “In Minor Keys” sarà una mostra fatta dagli artisti: “una partitura collettiva, composta insieme ad artisti che hanno costruito universi dell’immaginazione. Artisti che operano ai confini della forma, le cui pratiche possono essere intese come melodie complesse, da ascoltare sia collettivamente che secondo una propria autonomia”. Mentre lo scorso dicembre a chi le aveva chiesto se la sua Biennale sarebbe stata una “Biennale africana”, aveva risposto: “Sarà una Biennale internazionale, come sempre!

Alla presentazione di “In Minor Keys” è stata anche recitata una poesia di Koyo Kouoh, alla quale lei teneva molto: “Sono stanca/ La gente è stanca/ Siamo tutti stanchi/ Il mondo è stanco/ Persino l’arte stessa è stanca/ Forse il tempo è venuto/ Abbiamo bisogno di qualcos’altro/ Abbiamo bisogno di guarire/ Abbiamo bisogno di amare/ Abbiamo bisogno di stare con la bellezza e in tanta bellezza/ Abbiamo bisogno di giocare/ Abbiamo bisogno di stare con la poesia/ Abbiamo bisogno di amare ancora/ Abbiamo bisogno di danzare/ Abbiamo bisogno di fare e dare cibo/ Abbiamo bisogno di riposare e ristorarci/ Abbiamo bisogno di respirare/ Abbiamo bisogno della radicalità della gioia/ Il tempo è venuto”.

KoyoKouoh in un immagine di Mirjam Kluka

Mentre il mercato dell’arte flette il Qatar avrà Art Basel e un padiglione permanente ai Giardini della Biennale:

Un immagine dell’edizione 2024 di Art Basel a Basilea. Courtesy Art Basel

Art Basel si espande in Madio Oriente e sceglie il Qatar
Art Basel aprirà in Qatar che avrà anche un padiglione ai Giardini della Biennalr

Art Basel (la più importante fiera d’arte al mondo) a febbraio del prossimo anno inaugurerà la sua prima esposizione in Qatar. Si tratterà della quinta sede (dopo Basilea, Miami Beach, Hong Kong e Parigi) per la rassegna fondata da un gruppo di galleristi svizzeri nel 1970 e della prima nel Medio Oriente. Sarà una evidente risposta alla crisi che affligge il mercato dell’arte da alcuni anni a questa parte e che secondo il rapporto “Art Basel and UBS Global Art Market Report” (considerato il più attendibile indicatore della salute delle transazioni artistiche ed edito dalla stessa Art Basel) avrebbe portato a una perdita del 12 per cento nel solo 2024. Ma anche di una scommessa in un’area del mondo in cui più Paesi (in rapporti non sempre idilliaci tra loro) si contendono il primato culturale con investimenti milionari.

Il Qatar comunque non se la cava male in questa competizione, visto che, oltre ad essersi aggiudicato Art Basel, istituirà anche un padiglione permanente ai Giardini della Biennale di Venezia.

Ad annunciare l’ingresso di Art Basel nel Golfo Persico sono stati la società svizzera madre della fiera, MCH Group, insieme alla governativa mediorientale Qatar Sport Investments e alla QC+ (sempre con sede in Qatar).

La Sceicca Al Mayassa Bint Hamad bin Khalifa Al Thani, che, oltre ad essere presidente dei musei del Qatar, dal 2006 supervisiona il programma di progetti culturali del paese, ha dichiarato: “Nell'ambito della Visione Nazionale 2030 di Sua Altezza l'Emiro, il Qatar si sta trasformando in un'economia basata sulla conoscenza, con la cultura e le industrie creative che contribuiscono a guidare la strada”. Un obiettivo per cui il Qatar compete con l’Arabia Saudita (tra l’altro entrambi auspicano di raggiungerlo nello stesso anno).

La Sceicca ha anche spiegato in un’intervista rilasciata ad un importante quotidiano statunitense: “È logico che Art Basel arrivi nella nostra regione. È il momento giusto. Questo offre ai commercianti di Art Basel l'opportunità di incontrare nuovi acquirenti. Il Qatar ha buoni contatti con l'Asia centrale, l'India e la Turchia. L'Africa non è poi così lontana”.

Fino ad ora la fiera di punta dell’area è stata Art Dubai (negli Emirati Arabi Uniti) che ha raggiunto la sua 18esima edizione lo scorso aprile. Mentre le case d’aste più importanti hanno scommesso sull’Arabia Saudita (da Sotheby’s all’inizio di quest’anno c’è stata un’asta che ha fruttato oltre 17 milioni; invece Christie’s, che ha già un ufficio a Riyadh, ha annunciato di essere in procinto di fare altrettanto). Sempre in Arabia Saudita si tiene anche la prestigiosa rassegna di land art internazionale “Desert X AlUla” (che si svolge appunto nei pressi della città di Al-'Ula, in pieno deserto sull’antica Via dell’Incenso, dove sorge anche Mada’in Salih primo sito patrimonio UNESCO in Arabia Saudita).

Il Qatar invece, dopo essere stato sede dei Mondiali di Calcio 2022, ha portato a termine un fitto programma di eventi culturali (“ha riunito collezioni d'arte di fama mondiale- dice il comunicato- sviluppato un numero crescente di celebri musei e mostre, fondato festival di design e fotografia e creato incubatori per l'industria cinematografica, della moda e del design”) e si accinge a inaugurare due nuovi musei (si chiameranno Art Mill Museum e Lusail Museum). Ma soprattutto inaugurerà un padiglione permanente alla Biennale di Venezia. Il chè potrebbe non sembrare strano, visto l’aumentare costante dei Paesi presenti in laguna e l’ampliarsi della manifestazione fino quasi a coprire l’intera città, ma il Padiglione Qatar sorgerà ai Giardini (la sede più ambita e già da decenni completamente occupata) insieme ai grandi.

Art Basel Qatar si terrà nello hub creativo M7 e nel Doha Design District della capitale non lontano dal Museo Nazionale del Qatar.

L’amministratore delegato di Art Basel, Noah Horowitz, ha salutato l’evento dicendo: “Il panorama artistico nella regione ha registrato una crescita esponenziale negli ultimi decenni, con la nascita di istituzioni di livello mondiale, il lancio di eventi culturali di spicco e la crescita di una vivace comunità di artisti, gallerie e professionisti. Siamo profondamente motivati dalla visione unica di Sua Eccellenza la Sceicca Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al Thani per l'ecosistema artistico in Qatar".

All’inizio tuttavia la fiera non sarà molto grande. Si prevede, infatti, che parteciperanno solo cinquanta gallerie selezionate dal direttore che dovrebbe essere eletto nelle prossime settimane. Per fare un paragone Art Basel Parigi ha debuttato nel 2022 con 156 gallerie.

La gente riempie gli stand di Art Basel a Basilea nel 2024. Image courtesy: Art Basel

ll mondo dell’arte è in lutto per la morte di Koyo Kouoh mentre la Biennale di Venezia sta per prendere decisioni difficili

Koyo Kouoh. In un ritratto di ©Mehdi Benkler, BAK

Mondo dell'arte in lutto per koyo kouoh
scomparsa la curatrice la Biennale dovrà secidere cosa fare

L’annuncio della scomparsa di Koyo Kouoh, a soli 57 anni, l’ha dato proprio la Biennale di Venezia. E quest’ultima di qui a poco sarà chiamata a prendere decisioni difficili.

Improvvisamente, sabato scorso, mentre la diciannovesima Mostra Internazionale d’Architettura (“Intelligens. Natural. Artificial. Collective.” Di Carlo Ratti) apriva al pubblico e la giuria assegnava i Leoni d’oro (tra loro quello memorabile alla filosofa femminista statunitense Donna Haraway), il sito della manifestazione lagunare pubblicava queste parole: “La Biennale di Venezia apprende con profondo dolore e sgomento la notizia della improvvisa e prematura scomparsa di Koyo Kouoh”.

In quel momento non si sapeva ancora né dove fosse morta la signora Kouoh né perché; quel che era certo invece, era che lo scorso dicembre fosse stata scelta per curare la 61esima Esposizione Internazionale d’Arte. Sarebbe stata anzi la prima curatrice di origini africane al timone della manifestazione che inaugurerà il 9 maggio 2026 e di cui entro una decina di giorni avrebbe dovuto annunciare sia il titolo che i temi portanti.

La Biennale di Venezia, infatti, si compone di una grande mostra collettiva il cui argomento orienta tutte le altre esposizioni (organizzate dai padiglioni nazionali) e commenta il tempo presente arrivando, a volte, a predire il futuro.

Notizie più precise su quanto avvenuto invece sono arrivate durante il fine settimana, quando il New York Times, dopo aver parlato con il marito della curatrice Philippe Mall, ha fatto sapere che la morte della signora Kouoh è avvenuta in ospedale a Basilea per un cancro che le era stato diagnosticato di recente.

Malgrado la signora Kouoh fosse nata nel 1967 (nel giorno che per noi è la vigilia di Natale), a Douala in Camerun, è la Svizzera (dove si è trasferita quando aveva 13 anni) il luogo in cui è cresciuta sia umanamente che professionalmente e dove non aveva mai smesso del tutto di abitare.

Lì ha studiato scienze bancarie ed economia aziendale e ha lavorato con donne migranti come assistente sociale. Lì ha incontrato un gruppo di artisti e intellettuali che avrebbero influenzato la sua visione futura. Anche se dopo essere diventata madre decise di tornare in Africa: “Non riuscivo a immaginare di crescere un ragazzo nero in Europa”, disse in un’intervista.

Ma scelse un Paese diverso da quello in cui era nata e nel ’95 si trasferì a Dakar in Senegal: E’ “il mio tuttoha detto di recente – (…) Dakar mi ha reso quello che sono oggi. C'è un'eleganza naturale nella cultura e nella gente senegalese. Certo, c'è un elemento sartoriale e materiale, ma io parlo dell'eleganza dello spirito e della mente. Il Senegal ha questa cultura ancestrale estremamente accogliente e pacifista. Ora sono a Città del Capo, ma mentalmente vivo a Dakar. È l'unico e solo posto per me”. In Senegal si fece le ossa come curatrice e fondò la residenza per artisti Raw Material. Sempre in quel periodo lavorò nei team curatoriali di Documenta 12 e 13 e di altre manifestazioni e mostre internazionali d’arte. Per poi diventare direttore dello Zeitz MOCAA di Città del Capo in Sud Africa, uno dei più grandi musei di arte contemporanea africana al mondo (il cui nucleo principale è stato raccolto dal filantropo tedesco ed amministratore di Harley- Davidson, Jochen Zeitz).

Tuttavia, quando la signora Kouoh arrivò, il museo attraversava un brutto periodo e lei lo rimise in piedi fino a farlo prosperare (nuove idee, riallestimento, attrarre investitori, modificare la governance e formalizzare la donazione della collezione, sono solo alcune delle cose che fece).

Sabato lo Zeitz MOCAA ha annunciato tre giorni di chiusura per lutto (ha riaperto ieri) e ha invitato le persone a “onorare e rendere omaggio alla straordinaria eredità, alla leadership e alla dedizione di Koyo Kouoh” sia online (anche se mentre questo articolo viene redatto non è facile farlo) che lasciando biglietti in una sala dell’edificio.

La Biennale di Venezia invece, dopo aver sottolineato che lei “ha lavorato con passione, rigore e visione alla realizzazione” della prossima edizione ha aggiunto che: “La sua scomparsa lascia un vuoto immenso nel mondo dell’arte contemporanea e nella comunità internazionale di artisti, curatori e studiosi che hanno avuto modo di conoscere e apprezzare il suo straordinario impegno intellettuale e umano”.

Un pensiero simile a quello della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha sottolineato come la morte della signora Kouoh “lascia un vuoto nel mondo dell'arte contemporanea".

Nel corso della sua carriera Koyo Kouoh si è impegnata per restituire al mondo un punto di vista africano del presente. Spesso sottintendendo che gli artisti di colore a prescindere dalla nazionalità si guardano e influenzano a vicenda, proponendo una prospettiva dalle radici comuni. In un’intervista ha detto: “Ho sempre concepito l'arte come un oggetto, una materialità mercificata. Con Issa (Samb artista concettuale senegalese ndr), sono entrato in questa dimensione di comprensione dell'arte come filosofia di vita, come qualcosa che può essere intangibile. Questo mi ha portato alla mia posizione attuale, in cui la vedo come un'estensione della vita”.

La signora Kouoh ha anche curato mostre longeve e di grande successo come “When We See Us. A Century of Black Figuration in Paintings” (allestita originariamente allo Zeitz MOCAA; adesso in mostra al Bozar di Bruxelles fino al prossimo 10 agosto).

Riguardo alle sue convinzioni spirituali più profonde ha dichiarato: “Credo nella vita dopo la morte perché provengo da un'educazione ancestrale nera, dove crediamo in vite e realtà parallele. Non esiste un ‘dopo la morte’, un ‘prima della morte’ o un ‘durante la vita’. Non ha poi così tanta importanza. Credo nelle energie (vive o morte) e nella forza cosmica”.

La prematura scomparsa di Koyo Kouoh, a un anno dall’inaugurazione della Biennale di Venezia che avrebbe dovuto curare, è una circostanza eccezionale, senza precedenti nella storia (almeno quella recente) della manifestazione lagunare. Che imporrà decisioni complesse divise tra la commozione e la necessità di una leadership incisiva. Per ora si sa che il Consiglio d’Amministrazione ha tentato di rispondere a questa crisi velocemente. La conferenza stampa in cui avrebbe dovuto essere presentato il titolo della mostra, infatti, non è stata rimandata. Si terrà come da programma il 20 maggio e, con ogni probabilità, servirà soprattutto per far sapere al mondo come si intende procedere (le possibilità sono varie, e vanno da un team curatoriale composto da figure poco conosciute a un curatore unico di peso cui passare la staffetta a metà corsa, con diverse soluzioni intermedie tra un estremo e l’altro).

Comunque sia, quasi certamente l’intelaiatura portante dell’esposizione costruita dalla signora Kouoh non andrà perduta. E’ anzi possibile che il titolo e una rosa centrale di artisti siano il lascito di questa curatrice, mancata proprio nel momento culminante della sua carriera, alla Biennale di Venezia 2026. Sempre ammettendo che la malattia le abbia lasciato il tempo per fare almeno alcune di queste scelte.

AGGIORNAMENTO: La Biennale ha appena comunicato (17 e 40 di mercoledì 14 maggio) che la conferenza stampa di presentazione della 61esima Esposizione Internazionale d’Arte si terrà il 27 maggio cioè una settimana dopo la data fissata prima della scomparsa di Koyo Kouoh.

Koyo Kouoh, avrebbe dovuto essere la curatrice della Biennale di Venezia 2026. Ritratto di: Mirjam Kluka