"America" di Cattelan che va a una catena di musei delle bizzarrie per 12 milioni e tutti i record delle aste di novembre

Lo scorso martedì “Ritratto di Elisabeth Lederer” di Gustav Klimt è diventato il secondo dipinto più costoso mai venduto all’asta, capace di oscurare con i suoi 236,4 milioni di dollari ogni precedente quotazione dell’artista austriaco. Più o meno nelle stesse ore “America”, il water d’oro di Maurizio Cattelan, entrava a far parte della collezione del popolare marchio americano di intrattenimento per famiglie “Ripley's Believe It or Not!” per 12,1 milioni di dollari. Ma ci sono stati altri momenti memorabili come gli oltre 9 milioni raggiunti da “High Society” della pittrice britannica Cecily Brown nel corso di una gara di offerte combattutissima da Sotheby’s. Giovedì infine è stato un autoritratto di Frida Kahlo a raggiungere i 55 milioni e a segnare un record per la surrealista messicana.

C’era molta attesa per questo appuntamento nella nuova sede newyorkese di Sotheby’s dopo un periodo di contrazione del mercato dell’arte (il 12 percento lo scorso anno, secondo l'ultimo rapporto sul collezionismo globale condotto da Art Basel e UBS) e i risultati sono stati positivi: la sera le aste hanno fruttato 706 milioni di dollari in totale, il doppio dello scorso anno. “Ritratto di Elisabeth Lederer” è stato la star ma, complice una carrellata di capolavori, altre opere hanno raggiunto quotazioni ragguardevoli. Le aste serali (quelle in cui vengono messe in vendita quelle più desiderate e costose) sia di moderno che contemporaneo sono state per lo più un successo e gli appuntamenti pomeridiani hanno tenuto il punto. Qualche lotto è rimasto invenduto, certo, e qualche pezzo stimato nell’ordine dei milioni di dollari ha deluso le aspettative ma quasi sempre le opere di qualità sono state accolte con entusiasmo e senza badare troppo al portafoglio.

Frida Kahlo, El sueño (La cama), 1940. Ha raggiunto il record di 55 milioni di dollari Image: Sotheby's

I record di “Il sogno (Il letto)” e “Ritratto di Elisabeth Lederer”:

Proveniente dalla collezione del miliardario filantropo e collezionista d’arte, Leonard A. Lauder, erede insieme al fratello Ronald (che gli sopravvive) della fortuna accumulata con il marchio cosmetico Estée Lauder e scomparso lo scorso giugno a 91 anni, “Ritratto di Elisabeth Lederer” era stimato circa 150 milioni.

Varie testimonianza raccontano che il signor Lauder tenesse il dipinto nella cucina del suo appartamento sulla Fifth Avenue con il tavolo accanto per poter mangiare guardandolo; rappresenta una bella ragazza ventenne vestita in maniera stravagante eppure raffinata, con le guance rosee, il colorito pallido e lo sguardo fieramente rivolto verso lo spettatore. La giovane ritratta da Klimt era appunto Elisabeth Lederer, figlia dell’industriale ebreo August Lederer e della moglie Serena, entrambi i genitori erano mecenati del pittore viennese. Un particolare che salvò la vita alla ragazza e le permise di rimanere in Austria durante gli anni bui del regime nazista. Elisabeth, infatti, con la complicità della madre e un pezzo di carta firmato dall'artista, si finse sua figlia illegittima (quindi non ebrea). Prima di ottenere quel documento però, il ritratto insieme ad altre opere di proprietà dei Lederer venne sequestrato dai soldati e rischiò di andare perduto in un incendio. Alla fine della guerra venne restituito allo zio di Elisabeth che lo conservò fino a quando decise di venderlo a Lauder.

Si ritiene che “Ritratto di Elisabeth Lederer” sia uno dei due soli ritratti di Klimt a rimanere in mani private ed è a tutti gli effetti un capolavoro. Ma non è stato solo questo a fargli superare la massima quotazione mai raggiunta dal simbolista morto alla fine della prima guerra mondiale e a farne la seconda opera più pagata di sempre (prima di lui solo “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci che è andato in Arabia Saudita nel 2017 per 450,3 milioni di dollari). Altri fattori fondamentali sono stati la provenienza specchiata, l’esiguo numero di mani in cui è passato, la stima di cui godeva lo scomparso Lauder ma soprattutto un particolare raro per le opere appartenute a collezionisti ebrei in quegli anni: non si porta dietro né il rischio di costose e incerte cause legali né l’onta di una storia ambigua. In quel periodo, infatti, anche quando non venivano confiscati, non era raro che i dipinti venissero venduti a prezzi irrisori per racimolare il denaro necessario a fuggire negli Stati Uniti.

Tutte le opere di Klimt andate all’asta a inizio settimana hanno raggiunto buoni risultati. Tra loro uno splendido paesaggio del 1908 (sempre appartenuto a Leonard A. Lauder) è arrivato a 86 milioni.

Gustav Klimt, Blumenwiese (Blooming Meadow) circa 1908. Anche questo dipinto di Klimt appartenuto a Lauder è arrivato ad 86 milioni.

Il discorso per “El sueño (La cama)” (“Il sogno (Il letto)” dipinto da Frida Kahlo nel 1940 è leggermente più complesso. Infatti, nonostante abbia fatto toccare all’artista scomparsa nel ’54 il suo record d’asta (il precedente per “Diego and I” del ’49 era di 34,9 milioni) e si sia attestato come lavoro di una latinoamericana più pagato di sempre, si è comunque fermato intorno alla media della forbice di stima.

Il fatto che la tribolata esistenza di Frida Kahlo sia entrata a far parte della cultura pop già fa capire quanto una sua opera possa essere desiderabile per un collezionista e il numero limitatissimo di pezzi sul mercato ha cooperato a rafforzare l’attesa intorno al dipinto venduto giovedì scorso. In Messico i quadri di Kahlo sono considerati patrimonio nazionale dal ’84 e non possono essere venduti né esportati; “Il sogno (Il letto)”, che dall’80 era nelle mani del produttore discografico turco-statunitense Nesuhi Ertegun (Atlantic Records), era uno dei pochi commercializzati prima che queste restrizioni entrassero in vigore (si dice che l’abbia comprato per soli 51 mila dollari ma in merito non esistono certezze).

Ci si sarebbe anche potuti aspettare quindi che l’opera arrivasse a una cifra ancora maggiore. Una persona informata però ha spiegato al New York Times: "Se una tela di queste dimensioni fosse stata riempita con un ritratto completo di Frida, ingrandito, la stima sarebbe stata probabilmente di 80-100 milioni di dollari, oltre. E credo che il mercato avrebbe risposto in un batter d'occhio". A conferma di questa dichiarazione va detto che l’asta per aggiudicarsi l’autoritratto è stata combattutissima.

 Maurizio Cattelan, America, 2016. Il wc in oro 18 carati è stato venduto per 12 milioni a “Ripley’s Belive it or not!” via Stheby’s

“America” di Maurizio Cattelan va da "Ripley's Belive It or Not" e "High Society" fa il botto:

Il traguardo raggiunto da “America”, il wc in oro zecchino che riproduce fedelmente la toilette del Guggenheim Museum di New York e cita apertamente l’iconico orinatoio di Marcel Duchamp, non è stato ugualmente entusiasmante. Stimato 10 milioni di dollari (la casa d’aste aveva deciso di stabilirne il valore solo in base al peso dell’oro necessario per realizzarlo), se n’è andato per lo stesso prezzo più commissioni per un totale di poco più di 12 milioni di dollari. I media hanno di fatti riferito di una certa delusione filtrata dopo l’evento.

Il signor Cattelan era l’unico artista italiano vivente presente con un’opera a questo importante appuntamento e resta uno dei pochi artisti-star nel mondo, tuttavia, insieme ad altri colleghi diventati famosi già qualche decennio fa, potrebbe scontare un leggero cambiamento del gusto e una minor propensione alla speculazione del mercato (l’abilità nel mestiere, la collocabilità dei pezzi e persino l’artigianalità sembrano oggi spesso prevalere sul colpo di genio). Ma “America” è una questione a sé stante.

Certo ha fatto il suo bravo show (con file di persone in strada che aspettavano di entrare per potersi fare un selfie vicino all’opulento wc) contribuendo a mantenere alto l’interesse intorno all’artista e al mercato dell’arte ma non è un capolavoro. La questione l’ha ben sintetizzata il consulente d’arte Tod Levin in un’intervista: "Il problema per me è che Cattelan usa materiali semplici e non raggiunge un obiettivo importante". Resta lontano insomma dalla complessità giocosa e provocatoria eppure fulmineamente comprensibile di “Him” (l’Hitler col corpo da bambino inginocchiato in preghiera) che stabilì il suo record di 17,2 milioni nel 2016.

Anche la collocazione dell’unica versione attualmente in circolazione di “America” (l’altra è stata rubata durante una mostra nel Regno Unito e probabilmente fusa) potrebbe non essere considerata delle migliori. Acquistata dal franchise americano di stranezze all’apparenza incredibili “Ripley's Believe It or Not!”, la scultura in oro probabilmente verrà esposta in uno dei loro musei (ne hanno moltissimi, un po’ in tutto il mondo, inclusi Europa e Regno Unito).

Cecily Brown, High Society, 1997-98. via Sotheby's

Il contemporaneo comunque in generale se l’è cavata bene con alcuni risultati degni di nota. È il caso dello splendido dipinto realizzato tra il ’97 e ’98 “High Society” della britannica Cecily Brown che alla fine di una lunga battaglia di offerte è stato portato a casa da un collezionista (di cui non è noto il nome), per 9 milioni e 800 mila: oltre 2 milioni più della stima massima e un record per la signora Brown.

A inizio settimana sono andati all’asta anche parecchi paesaggi di David Hockney: tutti, nessuno escluso, sono stati venduti per cifre al di sopra della loro valutazione massima.

Sorprendente, infine, il risultato di “Alvorada - Música Incidental Black Bird” del brasiliano quarantaduenne Antonio Obá: stimato da Sotheby’s tra i 100 e i 150mila dollari è arrivato a superare il milione.

Antonio Obá Alvorada, Música Incidental Black Bird via Stheby’s

Mentre il mercato dell’arte flette il Qatar avrà Art Basel e un padiglione permanente ai Giardini della Biennale:

Un immagine dell’edizione 2024 di Art Basel a Basilea. Courtesy Art Basel

Art Basel (la più importante fiera d’arte al mondo) a febbraio del prossimo anno inaugurerà la sua prima esposizione in Qatar. Si tratterà della quinta sede (dopo Basilea, Miami Beach, Hong Kong e Parigi) per la rassegna fondata da un gruppo di galleristi svizzeri nel 1970 e della prima nel Medio Oriente. Sarà una evidente risposta alla crisi che affligge il mercato dell’arte da alcuni anni a questa parte e che secondo il rapporto “Art Basel and UBS Global Art Market Report” (considerato il più attendibile indicatore della salute delle transazioni artistiche ed edito dalla stessa Art Basel) avrebbe portato a una perdita del 12 per cento nel solo 2024. Ma anche di una scommessa in un’area del mondo in cui più Paesi (in rapporti non sempre idilliaci tra loro) si contendono il primato culturale con investimenti milionari.

Il Qatar comunque non se la cava male in questa competizione, visto che, oltre ad essersi aggiudicato Art Basel, istituirà anche un padiglione permanente ai Giardini della Biennale di Venezia.

Ad annunciare l’ingresso di Art Basel nel Golfo Persico sono stati la società svizzera madre della fiera, MCH Group, insieme alla governativa mediorientale Qatar Sport Investments e alla QC+ (sempre con sede in Qatar).

La Sceicca Al Mayassa Bint Hamad bin Khalifa Al Thani, che, oltre ad essere presidente dei musei del Qatar, dal 2006 supervisiona il programma di progetti culturali del paese, ha dichiarato: “Nell'ambito della Visione Nazionale 2030 di Sua Altezza l'Emiro, il Qatar si sta trasformando in un'economia basata sulla conoscenza, con la cultura e le industrie creative che contribuiscono a guidare la strada”. Un obiettivo per cui il Qatar compete con l’Arabia Saudita (tra l’altro entrambi auspicano di raggiungerlo nello stesso anno).

La Sceicca ha anche spiegato in un’intervista rilasciata ad un importante quotidiano statunitense: “È logico che Art Basel arrivi nella nostra regione. È il momento giusto. Questo offre ai commercianti di Art Basel l'opportunità di incontrare nuovi acquirenti. Il Qatar ha buoni contatti con l'Asia centrale, l'India e la Turchia. L'Africa non è poi così lontana”.

Fino ad ora la fiera di punta dell’area è stata Art Dubai (negli Emirati Arabi Uniti) che ha raggiunto la sua 18esima edizione lo scorso aprile. Mentre le case d’aste più importanti hanno scommesso sull’Arabia Saudita (da Sotheby’s all’inizio di quest’anno c’è stata un’asta che ha fruttato oltre 17 milioni; invece Christie’s, che ha già un ufficio a Riyadh, ha annunciato di essere in procinto di fare altrettanto). Sempre in Arabia Saudita si tiene anche la prestigiosa rassegna di land art internazionale “Desert X AlUla” (che si svolge appunto nei pressi della città di Al-'Ula, in pieno deserto sull’antica Via dell’Incenso, dove sorge anche Mada’in Salih primo sito patrimonio UNESCO in Arabia Saudita).

Il Qatar invece, dopo essere stato sede dei Mondiali di Calcio 2022, ha portato a termine un fitto programma di eventi culturali (“ha riunito collezioni d'arte di fama mondiale- dice il comunicato- sviluppato un numero crescente di celebri musei e mostre, fondato festival di design e fotografia e creato incubatori per l'industria cinematografica, della moda e del design”) e si accinge a inaugurare due nuovi musei (si chiameranno Art Mill Museum e Lusail Museum). Ma soprattutto inaugurerà un padiglione permanente alla Biennale di Venezia. Il chè potrebbe non sembrare strano, visto l’aumentare costante dei Paesi presenti in laguna e l’ampliarsi della manifestazione fino quasi a coprire l’intera città, ma il Padiglione Qatar sorgerà ai Giardini (la sede più ambita e già da decenni completamente occupata) insieme ai grandi.

Art Basel Qatar si terrà nello hub creativo M7 e nel Doha Design District della capitale non lontano dal Museo Nazionale del Qatar.

L’amministratore delegato di Art Basel, Noah Horowitz, ha salutato l’evento dicendo: “Il panorama artistico nella regione ha registrato una crescita esponenziale negli ultimi decenni, con la nascita di istituzioni di livello mondiale, il lancio di eventi culturali di spicco e la crescita di una vivace comunità di artisti, gallerie e professionisti. Siamo profondamente motivati dalla visione unica di Sua Eccellenza la Sceicca Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al Thani per l'ecosistema artistico in Qatar".

All’inizio tuttavia la fiera non sarà molto grande. Si prevede, infatti, che parteciperanno solo cinquanta gallerie selezionate dal direttore che dovrebbe essere eletto nelle prossime settimane. Per fare un paragone Art Basel Parigi ha debuttato nel 2022 con 156 gallerie.

La gente riempie gli stand di Art Basel a Basilea nel 2024. Image courtesy: Art Basel

Il nuovo rinascimento del Louvre e la sala privata per la Gioconda

Nel cuore del centro parigino il Louvre è più di un museo ma un icona francese. La piramide da cui si accede al palazzo da vista da una delle stanze del museo. Photo ©artbooms

Martedì scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che il Louvre verrà sottoposto a un’importante progetto di rinnovamento. Si chiamerà “Louvre New Renaissance” e prevede sia opere di restauro che lavori di costruzione ed ampliamento. Durerà dieci anni (nel corso dei quali il museo continuerà a rimanere aperto), per una spesa che gli assistenti del Signor Macron hanno detto indicativamente compresa tra i 700 e gli 800 milioni di euro (per avere un metro di paragone molto più di quanto servito per costruire lo Stadio olimpico di Atene e la sede di Bilbao del Guggenheim insieme).

A fare notizia però è stato soprattutto il fatto che la Gioconda avrà uno spazio espositivo tutto per lei "accessibile in modo indipendente rispetto al resto del museo" e con "un suo pass di accesso". Anche il nuovo ingresso, che verrà creato nella facciata est del complesso (vicino alla Senna), è stato argomento di discussione ma con meno entusiasmo di quello dimostrato per lo spostamento del capolavoro di Leonardo.

Del resto il Louvre, con un pubblico di circa 9 milioni di visitatori annui (come se tutti gli abitanti di New York più qualche altro centinaio di migliaio di persone si spostassero in un singolo edificio parigino almeno una volta all’anno), è il museo più visto al mondo. Ovviamente ci sono molti francesi ma la maggioranza del pubblico è composto da stranieri (soprattutto statunitensi e cinesi ma a seguire: inglesi, italiani, tedeschi e spagnoli). E si stima che l’80 per cento di loro sia lì solo per vedere la Monna Lisa (e farsi un selfie con l’iconico ritratto). Nonostante la collezione vasta e spettacolare del museo (circa 500mila pezzi di cui solo 30mila in esposizione).

Per questo era da tempo che si parlava di spostare l’opera. Sempre per questo si pensava ad un biglietto ad hoc. Alla fine l’annuncio è arrivato e le opinioni espresse sul progetto non sono state univoche. Il critico britannico Jonathan Jones ha ad esempio scritto: “È vero che la Monna Lisa rende difficile prestare attenzione ai dipinti di Veronese, Tiziano e altri nella stessa stanza. Ma non è per via della folla. È per la Monna Lisa che è così avvincente. Nella mia esperienza, la folla non rovina il Louvre. Gli dà vita. Un'altra misura pianificata, l'apertura di un nuovo ingresso, sembra più utile perché può esserci una coda lenta per entrare nella piramide di IM Pei”. Mentre molti altri hanno espresso soddisfazione. In fondo, sarà anche bello condividere con altri l’esperienza di ammirare un’opera d’arte, ma da soli, con calma, è meglio.

Effettivamente invece l’unico ingresso attuale, creato negli anni ’80 dallo scomparso architetto cino-statunitense Ieoh Ming Pei su commissione dell’allora presidente François Mitterrand, era uno dei punti critici segnalati al governo dal direttore del Louvre, Laurence des Cars, in un memorandum che era arrivato, non si sa come, alla stampa e che il quotidiano Le Parisien aveva pubblicato. Perché è piccolo rispetto alla mole di persone attese giornalmente al museo e la natura della sua struttura (la forma e i materiali della piramide che lo sovrastano) lo rende rumoroso e caldissimo. Caratteristiche molto fastidiose per i visitatori ma addirittura debilitanti per lo staff (composto da 2mila e 500 persone: cioè più della popolazione dei comuni di Madonna di Campiglio, Portofino e Monterosso messi assieme).

Gli altri problemi segnalati andavano dalle perdite d'acqua alle variazioni di temperatura che mettono a rischio le opere d'arte, dalla mancanza di impermeabilizzazione di alcune aree ai bagni obsoleti, fino alle insufficienti strutture di ristorazione. E poi la segnaletica (il museo, nato come palazzo reale, è un dedalo in cui perdersi è facilissimo; forse anche per questo il ritratto di Leonardo è così visitato: seguire gli altri è più facile che orientarsi da soli). Il signor Macron ha però assicurato che il progetto di restauro sarà “colossale” e che, in sostanza, presto sarà tutto risolto.

Il Louvre, che ogni anno dispone di 323 milioni per mantenere l’edificio (per il 60 per cento provenienti da risorse proprie (come biglietti, merchandising, resa del marchio cui ha fortemente contribuito il museo di Abu Dabi), finanzierà buona parte del progetto (il secondo ingresso, i nuovi spazi e la sala dedicata alla Gioconda). Per poterselo permettere aumenterà i biglietti ai visitatori extraeuropei. Lo Stato, in questo momento in crisi finanziaria, contribuirà invece per 10 milioni soltanto

Il salone interno del Louvre da cui si raggiungono tutte le gallerie inganna e non è sempre facile arrivare dove si vorrebbe anche perchè la segnaletica è carente. Photo ©artbooms