Kazimir malevich, quadrato rosso (realismo del pittore di una campagnola in due dimensioni), 1915
Questo autunno a Kiev si sono celebrate in grande le origini ucraine di Kazimir Malevich (Malevič). La patria del pittore e architetto d’avanguardia del XX secolo che ha consegnato alla Storia tele radicali come “Quadrato nero” su fondo bianco (arrivando a influenzare con le sue opere artisti saldamente contemporanei come Anish Kapoor), infatti, è solo l’ultimo capitolo di un’aspra guerra culturale tra Russia e Ucraina. Che ha visto la prima danneggiare siti e rubare sculture, artefatti, dipinti e reperti archeologici per un valore ritenuto attualmente incalcolabile e la seconda difendersi trasferendo pezzi all’estero oltre a tentare una sistematica decolonizzazione del proprio patrimonio.
Malevich, ritenuto un emblema del clima di fervore culturale negli anni immediatamente precedenti alla Rivoluzione d’ottobre e fino a pochi anni fa universalmente considerato russo (anche se nacque non lontano da Kiev da una famiglia polacca), è un obbiettivo particolarmente ambizioso da raggiungere. Per questo tutti i cinema della capitale ucraina hanno proiettato un film biografico su di lui mentre un ristorante alla moda proponeva “un menu a tema Malevich- ha scritto il reporter di New York Times Constant Méheut- che comprendeva una torta salata servita su una tavolozza da pittore cosparsa di macchie di burro. Per spalmare il burro, bisognava usare un pennello”. Nel frattempo sui vagoni della metropolitana erano state riprodotte opere del padre del Suprematismo e una mostra si concentrava sul restituirle alle tre dimensioni sotto forma di installazioni plastiche. I produttori del film hanno persino creato una maglietta con scritto: “Sono ucraino”, firmato “Malevich”.
Per quanto dall’esterno possa sembrare di secondaria importanza rivendicare le origini ucraine del famoso pittore che venne carcerato e torturato dai comunisti per essersi rifiutato di abbozzare quadri propagandistici, la guerra culturale è una parte importante del conflitto russo-ucraino. E lo è fin dall’inizio.
Già un anno prima dell’invasione il presidente Vladimir V. Putin ha affermato che l’Ucraina non abbia mai avuto una propria identità al di fuori di quella che fu l’Unione Sovietica e che, proprio di quest’ultima sarebbe stata un’invenzione. Priva di una propria lingua (che ha definito un “dialetto russo”) e in definitiva di una cultura propria. Anzi, secondo vari esperti, la pratica di fiaccare l’autonomia creativa e intellettuale dei Paesi satellite da parte dei russi sarebbe precedente, affondando le sue radici nella Storia.
“Ivan Gave the Landlord a Ride in his Gig and Fell Inside” (1983), gouache on paper, 61.5 x 86.3 cm
Lo scontro armato non ha fatto altro che acuire questo aspetto. E se i colorati dipinti di Maria Prymachenko sono stati fortunosamente salvati agli albori del conflitto, il Museo di storia locale di Ivankiv dove erano conservati è andato distrutto anni fa, insieme a numerosi altri palazzi, cattedrali, siti ed edifici che si sono sommati nel corso del tempo (a gennaio l'UNESCO ha verificato danni a 476 beni culturali, ma gli osservatori internazionali riferiscono che il loro numero sia verosimilmente molto più alto). In gran parte, sembra, colpiti da attacchi non casuali. Halyna Chyzhyk, un'esperta legale che lavora per proteggere i siti culturali rimasti in Ucraina, ricordando la distruzione della dimora storica e del museo del famoso poeta e filosofo ucraino Hryhorii Skovoroda (entrambi in un paesino lontano da obiettivi militari e strategici) ha detto in un’intervista: Questi crimini hanno "una grande importanza simbolica. L'obiettivo non sembra essere un monumento o una struttura in particolare. Piuttosto è apparentemente quello di distruggere il maggior numero possibile di reperti storici e culturali, anche quelli che interessano solo le piccole comunità”.
Ma è sulle opere d’arte e sui reperti archeologici (che possono essere spostati) che si è spesso concentrato l’interesse dei russi. È il caso del Museo d'Arte Regionale di Kherson (Kherson Art Museum) e di altri musei della città da cui sono state rubate tra le 10 e i 15 mila opere. Il saccheggio, svoltosi durante l’occupazione militare della città, sarebbe stato compiuto dai soldati su indicazione del personale di un museo in Crimea (in cui gran parte dei manufatti sono stati poi individuati). Prima di Kherson, un elmo d'oro del IV secolo risalente al regno scita era stato portato via da Melitopol.
Per definire l’atteggiamento dei russi verso il patrimonio ucraino si è parlato di “genocidio culturale”, mentre altri hanno detto che il conflitto ha consentito "il più grande furto d'arte collettivo da quando i nazisti saccheggiarono l'Europa nella Seconda guerra mondiale".
Quello delle opere sottratte è anche un nodo di cui per ora non si parla, ma che con il procedere dei piani di pace verrà al pettine.
Meno concreta e dall’esito altrettanto incerto è la lotta degli ucraini per la decolonizzazione del proprio patrimonio. Un capitolo della guerra culturale che potrebbe anche vederli vincitori ma che difficilmente restituirà loro la figura di Kazimir Malevich i cui dipinti superstiti (in gran parte furono distrutti dai bolscevichi ai tempi della detenzione dell’artista), escluso un nucleo allo Stedelijk Museum di Amsterdam, sono quasi interamente conservati nella Federazione Russa.
Kazimir Malevich, 1915, Black Suprematic Square, oil on linen canvas, 79.5 x 79.5 cm, Tretyakov Gallery, Moscow
