La pittura senza confini di David Hockney in Giappone dopo 27 anni

The Arrival of Spring in Woldgate, East Yorkshire in 2011 (twenty eleven), 2011, Oil on 32 canvases (91.5 x 122 cm each), 365.6 x 975.2 cm, Centre Pompidou, Paris. Musée national d'art moderne-Centre de création industrielle © David Hockney Photo: Richard Schmidt

Convinto libertario, figura controcorrente, artista sperimentatore, viaggiatore e immenso pittore, David Hockney, che in luglio compirà 86 anni. è tornato ad esporre in Giappone dopo una lunga pausa. La vasta retrospettiva intitolata semplicemente "David Hockney", in corso al Museo d'Arte Contemporanea di Tokyo (o Mot Art Museum), infatti, arriva 27 anni dopo il suo precendente show nella capitale del Giappone.

E lo fa in grande stile con 120 opere (alcune delle quali davvero molto rappresentative), divise in otto sezioni. Inoltre, la mostra presenta per la prima volta in Asia il dipinto del 2011 "The Arrival of Spring in Woldgate, East Yorkshire in 2011 (twenty eleven)" (la rappresentazione di un bosco in primavera su una pergamena lunga 90 metri). Per la prima volta in Giappone poi, anche 12 disegni per iPad di grandi dimensioni stampati su carta. Ma soprattutto, l’intera seconda metà della mostra, è una novità (dal vivo s’intende) per il popolo del Sol Levante.

Nel lasso di tempo che separa questo appuntamento da quello precedente di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Per l’Hocknay artista poi, che è sempre stato in costante movimento, ancora di più. Basti pensare che la Royal Academy di Londra (nel 2012) e il Centre Pompidou di Parigi (nel 2017) gli hanno dedicato una personale, ed entrambe le mostre hanno superato i 600mila visitatori, facendone uno degli artisti più popolari al mondo. Nel 2018 l’opera di Hockney è diventata anche la più preziosa, quando il dipinto del ‘72 "Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)" (una delle sue tante immagini della vita in Califormia durante quel periodo, quando Hockney cercava avidamente di catturare ogni riflesso di luce nell'acqua delle piscine), è stato battuto dalla casa d’aste Christie’s di New York per 90 milioni di dollari, superando il record del "Balloon Dog (Orange)" di Jeff Koons. Koons quel record se lo sarebbe ripreso un anno dopo, ma per un solo milione. Nel 2017 Hockney ha anche esposto per la prima volta in Italia (alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia).

Nato a Bradford nel Regno Unito, David Hockney, nel corso della sua carriera è stato un pittore, disegnatore, incisore, scenografo e fotografo. Amante delle nuove opportunità offerte dalla tecnologia per sviluppare il suo lavoro, ha sperimentato i materiali più vari: dal fax alla pasta di carta, dalle applicazioni per computer ai programmi di disegno per iPad (le sue performance con questo insolito medium sono diventate famose ma Hockney dopo un po’ è ritornato alla pittura ad olio). Non ha mai fatto Nft, però.

Gay dichiarato dall’età di 23 anni, è stato anche uno dei primi a dipingere la quotidianità degli omosessuali senza drammi o particolari rivendicazioni. Il suo lungo periodo di vita nella East-Cost è sottolineato da tutte le sue biografie, insieme alle opere che ne sono nate (il sole abbacinante della California, le piscine sfavillanti animate da onde placide e luci, sopratutto luci; ma anche oggetti più anonimi come gli irrigatori), ma Hockney è stato un grande viaggiatore. Visitando e lavorado (talvolta anche comprando casa) in tanti luoghi diversi: Colorado, Iowa, l'Artico a nord della Norvegia, la Francia rurale, ma pure Parigi, Londra, New York e Kyoto, oltre a Bridlington e Los Angeles. Ed attingendo dalle sollecitazioni e dalla storia di ognuno di questi luoghi per creare. Nell’elenco compare persino Lucca. Adesso l’artista però vive prevalentemente in Normandia, con il compagno di lunga data Jean-Pierre Gonçalves de Lima (detto JP) e da anni ha problemi d’udito, anche se non ha mai perso l’ironia, una certa bizzarra e ricercata eleganza, insieme all’amore per i piccoli piaceri della vita fra i quali il fumo (di cui è rimasto un acceso sostenitore).

Sovente torna in Inghilterra, dov’è celebrato come una sorta di sovrano, non a caso è accademico reale (uno solo della sfilza di riconoscimenti attribuitigli dalla sua patria). E a ragione, perchè l’opera di Hockney affonda le sue radici nelle rappresentazioni del paesaggio del natio Yokshire e della campagna inglese in generale. Risuona di riferimenti ad artisti del Regno Unito, amati in Gran Bretagna come in nessuna altra parte del mondo (come, ad esempio, Turner e Constable). Pure se a cadenza ciclica si sono imposte le sue rivisitazioni di altri generi classici, come il ritratto, l’autoritratto e la natura morta. E anche se, tutto sommato, l’animo inquieto di Hockney ha esplorato, nel tempo, interi libri di storia dell’arte, stabilendo che le proprie stelle polari risiedessero altrove. Da giovane venne colpito dalla pittura di Jackson Pollock (fece persino l’autostop per andare a vedere una sua mostra a Londra), ma nel corso degli anni non ha mai fatto mistero di stimare l’opera di Vermeer, Degas e van Gogh, come quella di nessun altro. A parte il suo eroe prediletto, ovviamente: Pablo Picasso.

E poi c’è la storia della sua epifania: avvenuta di fronte alla pittura cinese, quando ha superato per sempre la gabbia della prospettiva rinascimentale e della fotografia. Ritrovandosi in un punto di vista più realistico, morbido, labile e decisamente meno geometrico.

Impossibile non soffermarsi un secondo sui ritratti, spesso strettamente realistici, a volte inseriti in un ambiente volto a mettere in luce e a terminare di raccontare i protagonisti, altre lasciando il soggetto da solo in un corpo a corpo, amichevole, ma serrato con l’artista. Hockney, infatti, oltre a dipingere ‘en plain air’, ha ritratto anche le persone dal vivo, facendole posare nel suo studio, come praticamente non faceva più nessuno, grosso modo dall’invenzione della fotografia in poi.

Per i ritratti realizzati in tempi relativamente recenti, in occasione di una mostra alla Royal Accdemy of Arts (Londra), l’artista ha dichiarato di domandare almeno tre giorni di posa alle persone ma di arrivare a volte a sei o più. Tuttavia, nell’ormai iconico "Mr and Mrs Clark and Percy", in cui il pittore ha lavorato con la fotografia (anche se i Signori Clarck hanno posato per lui molte volte), alcune difficoltà tecniche insieme alla ferma volontà di raggiungere il massimo, hanno gonfiato i tempi a dismisura. Tanto che Hockney ha cominciato a scattare immagini e fare bozzetti nel 1969, a lavorare sulla tela nella primavera del’70 per terminarla solo nel ‘71. L’opera rappresenta l’amico stilista Ossie Clarck insieme alla moglie Celia Birtwell (disegnatrice di motivi per le stoffe e cara amica di David a sua volta) e alla loro micetta Percy. Hockney ha dipinto la testa di Ossie Clarck ben 12 volte prima di esserne soddisfatto.

La gattina Percy (che può essere letta come un simbolo del comportamento libertino di Ossie), ha anticipato i bellissimi ritratti dell’artista ai suoi cani (alcuni attualmente in mostra nella collettiva "Portraits of Dogs: From Gainsborough to Hockney" alla Wallace Collection di Londra).

Anche "Mr and Mrs Clark and Percy" adesso è esposto al Museum of Contemporary Art di Tokyo (Mot). L’importante retrospettiva nipponica dedicata a David Hockney si concluderà il 5 novembre 2023.

Mr and Mrs Clark and Percy, 1970-71, Acrylic on canvas, 213.4 x 304.8 cm, Tate: Presented by the Friends of the Tate Gallery 1971 © David Hockney

No. 118, 16th March 2020, from "The Arrival of Spring, Normandy, 2020", 2020, iPad painting printed on paper, 56.3 x 75.0 cm, Collection of the artist © David Hockney

A Lawn Sprinkler, 1967, Acrylic on canvas, 125.8 x 123.8 cm, Museum of Contemporary Art Tokyo © David Hockney

A Year in Normandie 2020-2021 (detail), 2020-21, Composite iPad painting, 100 x 9000 cm, Collection of the artist © David Hockney

Il designer Yasuhiro Suzuki ha creato una nave-zip per aprire le acque del fiume Sumida come un k-way

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In tempi di scombussolati dalla pandemia, in attesa di un domani talmente prossimo da essere quasi oggi, ma ancora informe, è normale che i designers si approprino della zip, simbolo di velocità, comodità, viaggio e modernità. Ma anche di capovolgimenti perhè unisce e separa ciò che era diviso o annesso.

Lo aveva fatto, preveggentemente, Alex Chinneck in occasione della Milan Design Week 2019, e oggi il giapponese. Yasuhiro Suzuki, nel corso del DESIGNART di Tokyo torna a giocare con una zip, enorme e innaspettata. L’ artista, infatti, ha trasformato una barca in una grande zip per farla poi sfrecciare sulla superficie del fiume Sumida di Tokyo. Il progetto si chiama “Zip-Fastener Ship”.

L’impressione, è che la zip apra le correnti del corso d’acqua, come fosse il tessuto di una giacca sportiva. Il progetto, più complictato a livello concettuale di quello di Chinneck, fa riferimento all’unico fiume che attraversava (e quindi accomunava) ma separa anche, le antiche province di Musashi e Shimousa. Una sorta di riferimento ai mutamenti non sempre positivi della Storia e al dinamismo virtuoso e secolare della Natura.

A Yasuhiro Suzuki, l’idea per “Zip-Fastener Ship”, è venuta guardando dal finestrino di un aereo le navi che attraversavano la Baia di Tokyo. Le imbarcazioni che solcano il fiume, inoltre, secondo il designer cambiano il moto ondoso, modificando il modo inn cui si percepisce la vista della città. (via Designboom)

Images Courtesy of Sumiyume

Images Courtesy of Sumiyume

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Un' installazione iperrealista al Mori Art Museum di Tokyo riproduce un paesaggio di mare tempestoso

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Il collettivo giapponese (si pronuncia Mé) ha recentemente realizzato un’installazione scenografica e romantica . Uno spicchio di mare aperto incapsulato in una stanza del Mori Art Museum di Tokyo, che a chi non avesse avuto modo di vedere “Petite Loire” del designer francese, Mathieu Lehanneur, potrebbe sembrare un miraggio. In realtà si chiama Contact ed è un paesaggio iperrealista a grandezza naturale. Una scultura che trae gran parte della sua somiglianza con l’originale da un effetto ottico.

Contact, infatti, è stata posizionata davanti a una finestra in modo da sfruttare i riflessi della luce per simulare il moto delle delle onde e il mutare della superficie dell’acqua nel corso della giornata.

Il collettivo Mé è composto dall’artista Haruka Kojin, dal regista Kenji Minamigawa e dal direttore di produzione Hirofumi Masui. Il loro lavoro, si focalizza sulla manipolazione del mondo ingannando la percezione dell’osservatore.

Il Mori Art Museum di Tokyo, con un’architettura avveniristica che svetta verso l’alto, ospita sia grandi mostre di artisti consolidati (attualmente alla Mori Arts Center Gallery si possono ammirare ben 480 opere di Katsushika Hokusai) che esposizioni temporanee centrate sul Giappone di oggi. E’ il caso di Rappongi Crossing (il Mori si trova appunto nel quartiere di Rappongi) in cui a cadenza triennale va in scena il panorama artistico contemporaneo. Tra i lavori che compongono questa collettiva c’è anche Contant. E lì rimarrà fino al 26 maggio. (via Spoon & Tamago)

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