Mentre il mercato dell’arte flette il Qatar avrà Art Basel e un padiglione permanente ai Giardini della Biennale:

Un immagine dell’edizione 2024 di Art Basel a Basilea. Courtesy Art Basel

Art Basel (la più importante fiera d’arte al mondo) a febbraio del prossimo anno inaugurerà la sua prima esposizione in Qatar. Si tratterà della quinta sede (dopo Basilea, Miami Beach, Hong Kong e Parigi) per la rassegna fondata da un gruppo di galleristi svizzeri nel 1970 e della prima nel Medio Oriente. Sarà una evidente risposta alla crisi che affligge il mercato dell’arte da alcuni anni a questa parte e che secondo il rapporto “Art Basel and UBS Global Art Market Report” (considerato il più attendibile indicatore della salute delle transazioni artistiche ed edito dalla stessa Art Basel) avrebbe portato a una perdita del 12 per cento nel solo 2024. Ma anche di una scommessa in un’area del mondo in cui più Paesi (in rapporti non sempre idilliaci tra loro) si contendono il primato culturale con investimenti milionari.

Il Qatar comunque non se la cava male in questa competizione, visto che, oltre ad essersi aggiudicato Art Basel, istituirà anche un padiglione permanente ai Giardini della Biennale di Venezia.

Ad annunciare l’ingresso di Art Basel nel Golfo Persico sono stati la società svizzera madre della fiera, MCH Group, insieme alla governativa mediorientale Qatar Sport Investments e alla QC+ (sempre con sede in Qatar).

La Sceicca Al Mayassa Bint Hamad bin Khalifa Al Thani, che, oltre ad essere presidente dei musei del Qatar, dal 2006 supervisiona il programma di progetti culturali del paese, ha dichiarato: “Nell'ambito della Visione Nazionale 2030 di Sua Altezza l'Emiro, il Qatar si sta trasformando in un'economia basata sulla conoscenza, con la cultura e le industrie creative che contribuiscono a guidare la strada”. Un obiettivo per cui il Qatar compete con l’Arabia Saudita (tra l’altro entrambi auspicano di raggiungerlo nello stesso anno).

La Sceicca ha anche spiegato in un’intervista rilasciata ad un importante quotidiano statunitense: “È logico che Art Basel arrivi nella nostra regione. È il momento giusto. Questo offre ai commercianti di Art Basel l'opportunità di incontrare nuovi acquirenti. Il Qatar ha buoni contatti con l'Asia centrale, l'India e la Turchia. L'Africa non è poi così lontana”.

Fino ad ora la fiera di punta dell’area è stata Art Dubai (negli Emirati Arabi Uniti) che ha raggiunto la sua 18esima edizione lo scorso aprile. Mentre le case d’aste più importanti hanno scommesso sull’Arabia Saudita (da Sotheby’s all’inizio di quest’anno c’è stata un’asta che ha fruttato oltre 17 milioni; invece Christie’s, che ha già un ufficio a Riyadh, ha annunciato di essere in procinto di fare altrettanto). Sempre in Arabia Saudita si tiene anche la prestigiosa rassegna di land art internazionale “Desert X AlUla” (che si svolge appunto nei pressi della città di Al-'Ula, in pieno deserto sull’antica Via dell’Incenso, dove sorge anche Mada’in Salih primo sito patrimonio UNESCO in Arabia Saudita).

Il Qatar invece, dopo essere stato sede dei Mondiali di Calcio 2022, ha portato a termine un fitto programma di eventi culturali (“ha riunito collezioni d'arte di fama mondiale- dice il comunicato- sviluppato un numero crescente di celebri musei e mostre, fondato festival di design e fotografia e creato incubatori per l'industria cinematografica, della moda e del design”) e si accinge a inaugurare due nuovi musei (si chiameranno Art Mill Museum e Lusail Museum). Ma soprattutto inaugurerà un padiglione permanente alla Biennale di Venezia. Il chè potrebbe non sembrare strano, visto l’aumentare costante dei Paesi presenti in laguna e l’ampliarsi della manifestazione fino quasi a coprire l’intera città, ma il Padiglione Qatar sorgerà ai Giardini (la sede più ambita e già da decenni completamente occupata) insieme ai grandi.

Art Basel Qatar si terrà nello hub creativo M7 e nel Doha Design District della capitale non lontano dal Museo Nazionale del Qatar.

L’amministratore delegato di Art Basel, Noah Horowitz, ha salutato l’evento dicendo: “Il panorama artistico nella regione ha registrato una crescita esponenziale negli ultimi decenni, con la nascita di istituzioni di livello mondiale, il lancio di eventi culturali di spicco e la crescita di una vivace comunità di artisti, gallerie e professionisti. Siamo profondamente motivati dalla visione unica di Sua Eccellenza la Sceicca Al Mayassa bint Hamad bin Khalifa Al Thani per l'ecosistema artistico in Qatar".

All’inizio tuttavia la fiera non sarà molto grande. Si prevede, infatti, che parteciperanno solo cinquanta gallerie selezionate dal direttore che dovrebbe essere eletto nelle prossime settimane. Per fare un paragone Art Basel Parigi ha debuttato nel 2022 con 156 gallerie.

La gente riempie gli stand di Art Basel a Basilea nel 2024. Image courtesy: Art Basel

Il nuovo rinascimento del Louvre e la sala privata per la Gioconda

Nel cuore del centro parigino il Louvre è più di un museo ma un icona francese. La piramide da cui si accede al palazzo da vista da una delle stanze del museo. Photo ©artbooms

Martedì scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che il Louvre verrà sottoposto a un’importante progetto di rinnovamento. Si chiamerà “Louvre New Renaissance” e prevede sia opere di restauro che lavori di costruzione ed ampliamento. Durerà dieci anni (nel corso dei quali il museo continuerà a rimanere aperto), per una spesa che gli assistenti del Signor Macron hanno detto indicativamente compresa tra i 700 e gli 800 milioni di euro (per avere un metro di paragone molto più di quanto servito per costruire lo Stadio olimpico di Atene e la sede di Bilbao del Guggenheim insieme).

A fare notizia però è stato soprattutto il fatto che la Gioconda avrà uno spazio espositivo tutto per lei "accessibile in modo indipendente rispetto al resto del museo" e con "un suo pass di accesso". Anche il nuovo ingresso, che verrà creato nella facciata est del complesso (vicino alla Senna), è stato argomento di discussione ma con meno entusiasmo di quello dimostrato per lo spostamento del capolavoro di Leonardo.

Del resto il Louvre, con un pubblico di circa 9 milioni di visitatori annui (come se tutti gli abitanti di New York più qualche altro centinaio di migliaio di persone si spostassero in un singolo edificio parigino almeno una volta all’anno), è il museo più visto al mondo. Ovviamente ci sono molti francesi ma la maggioranza del pubblico è composto da stranieri (soprattutto statunitensi e cinesi ma a seguire: inglesi, italiani, tedeschi e spagnoli). E si stima che l’80 per cento di loro sia lì solo per vedere la Monna Lisa (e farsi un selfie con l’iconico ritratto). Nonostante la collezione vasta e spettacolare del museo (circa 500mila pezzi di cui solo 30mila in esposizione).

Per questo era da tempo che si parlava di spostare l’opera. Sempre per questo si pensava ad un biglietto ad hoc. Alla fine l’annuncio è arrivato e le opinioni espresse sul progetto non sono state univoche. Il critico britannico Jonathan Jones ha ad esempio scritto: “È vero che la Monna Lisa rende difficile prestare attenzione ai dipinti di Veronese, Tiziano e altri nella stessa stanza. Ma non è per via della folla. È per la Monna Lisa che è così avvincente. Nella mia esperienza, la folla non rovina il Louvre. Gli dà vita. Un'altra misura pianificata, l'apertura di un nuovo ingresso, sembra più utile perché può esserci una coda lenta per entrare nella piramide di IM Pei”. Mentre molti altri hanno espresso soddisfazione. In fondo, sarà anche bello condividere con altri l’esperienza di ammirare un’opera d’arte, ma da soli, con calma, è meglio.

Effettivamente invece l’unico ingresso attuale, creato negli anni ’80 dallo scomparso architetto cino-statunitense Ieoh Ming Pei su commissione dell’allora presidente François Mitterrand, era uno dei punti critici segnalati al governo dal direttore del Louvre, Laurence des Cars, in un memorandum che era arrivato, non si sa come, alla stampa e che il quotidiano Le Parisien aveva pubblicato. Perché è piccolo rispetto alla mole di persone attese giornalmente al museo e la natura della sua struttura (la forma e i materiali della piramide che lo sovrastano) lo rende rumoroso e caldissimo. Caratteristiche molto fastidiose per i visitatori ma addirittura debilitanti per lo staff (composto da 2mila e 500 persone: cioè più della popolazione dei comuni di Madonna di Campiglio, Portofino e Monterosso messi assieme).

Gli altri problemi segnalati andavano dalle perdite d'acqua alle variazioni di temperatura che mettono a rischio le opere d'arte, dalla mancanza di impermeabilizzazione di alcune aree ai bagni obsoleti, fino alle insufficienti strutture di ristorazione. E poi la segnaletica (il museo, nato come palazzo reale, è un dedalo in cui perdersi è facilissimo; forse anche per questo il ritratto di Leonardo è così visitato: seguire gli altri è più facile che orientarsi da soli). Il signor Macron ha però assicurato che il progetto di restauro sarà “colossale” e che, in sostanza, presto sarà tutto risolto.

Il Louvre, che ogni anno dispone di 323 milioni per mantenere l’edificio (per il 60 per cento provenienti da risorse proprie (come biglietti, merchandising, resa del marchio cui ha fortemente contribuito il museo di Abu Dabi), finanzierà buona parte del progetto (il secondo ingresso, i nuovi spazi e la sala dedicata alla Gioconda). Per poterselo permettere aumenterà i biglietti ai visitatori extraeuropei. Lo Stato, in questo momento in crisi finanziaria, contribuirà invece per 10 milioni soltanto

Il salone interno del Louvre da cui si raggiungono tutte le gallerie inganna e non è sempre facile arrivare dove si vorrebbe anche perchè la segnaletica è carente. Photo ©artbooms

Il Van Gogh scomparso da trent'anni sarebbe di proprietà di una famiglia italiana

“Il ritratto del dottor Gachet” di Vincent Van Gogh (particolare). foto tramite Staedel Museum

L’ultima volta in cui “Il ritratto del dottor Gachet” di Vincent Van Gogh apparve in pubblico fu nella sede newyorkese di Christie's. Era il 1990 e il dipinto, di cui esiste una sola copia (molto meno apprezzata dell’originale) conservata al Musée d’Orsay di Parigi, diventò un record d’asta. Se lo aggiudicò un magnate giapponese della carta per 82 milioni e mezzo di dollari (oggi gli esperti sostengono che ne valga 300). Da allora, fatta eccezione per i proprietari (ammesso che non lo tengano in un deposito climatizzato), nessuno l’ha più visto. Anzi da qualche decennio nessuno sa proprio dove sia. Un inchiesta comparsa ieri su New York Times però sembra aver diradato la nebbia che avvolge il mistero de “Il ritratto del dottor Gachet”.

Da quanto è emerso, infatti, il dipinto sarebbe a Lugano e dovrebbe appartenere ad una famiglia italiana. Voci insistenti, già pubblicate in altri approfondimenti sull’argomento, parlano di un nome famoso nel settore agroalimentare. Qualcuno aveva chiamato in causa Barilla, ma secondo gli isider contattati dal un gruppo di giornalisti del quotidiano statunitense, non di pasta ma di formaggio si tratterebbe.

Van Gogh dipinse l’opera a Auvers-sur-Oise nel giardino del medico con cui il fratello Theò aveva stretto amicizia e che aveva accettato di posare per lui dal vivo. Era il 1890, poche settimane dopo, l’artista si sarebbe suicidato. Paul Gachet era uno psichiata dalle molte passioni (l’omeopatia e la lettura dei tarocchi oltre alla pittura) e il suo ritratto è un primo esempio di rilettura moderna di un genere classico delle arti visive. Sarà lo stesso Vincent a descrivere così l’aria pensosa e malinconica di Gachet nel quadro: "espressione disillusa del nostro tempo".

Secondo la versione della storia più accreditata, fu proprio Gachet a volere che Van Gogh gli facesse una copia del ritratto (attualmente conservato al Musée d’Orsay di Parigi), ma non molto tempo fa alcuni critici "pur con fondamenti debolissimi" (ha scritto Wikipedia) ne hanno messo in dubbio l’autenticità.

A vendere per prima “Il ritratto del dottor Gachet” fu la vedova del fratello dell’artista, Johanna van Gogh-Bonger, nel 1897. Sembra che la transazione le sia fruttata 300 franchi (circa 54 euro). Ad ogni modo, il valore delle opere di Van Gogh aumentò in fretta e il dipinto passò di mano in mano velocemente, finchè non arrivò nella collezione del Städelsches Kunstinstitut di Francoforte nel 1911 (il museo tedesco è rimasto molto legato al dipinto al punto da redarre una pagina internet e costruire un podcast nel tentativo di ritrovarlo) e alcuni decenni dopo non venne confiscato dai nazisti come esempio di ‘arte degenerata’. Qui c’è un colpo di scena però, perchè l’opera viene venduta in segreto da un gallerista tedesco al banchiere olandese Franz Koenigs (i cui eredi sostengono che il nonno si sia separato dal dipinto solo per metterlo temporaneamente al sicuro), che lo cede all’amico e collega ebreo Siegfried Kramarsky in fuga verso New York.

Il signor Kramarsky, di quando in quando (ma soprattutto se partiva per le vacanze), lo lasciava in in prestito al Metropolitan Museum of Modern Art e alla sua morte l'opera è stata custodita dal museo fino a quando i proprietari non l’hanno messa all'asta da Christie's.

Il collezionista Ryoei Saito ce vince l’asta, però, aveva già qualche problema prima dell’acquisto multimilionario del dipinto e se ne libera relativamente in fretta. Di lì de “Il ritratto del dottor Gachet” si perdono le tracce, finchè la giornalista di Wall Street Journal,  Lee Rosenbaum, non individua nel gestore di fondi d’investimento di origine austriaca, Wolfgang Flöttl, il nuovo proprietario. Anche Flöttl a sua volta si rende conto di non potersi permettere di mantenere il ritratto. E lo vende, ma a “a chi?” o “dove?” sono rimaste a lungo domande senza risposta.

Adesso New York Times sembra individuare con un margine piuttosto alto di fondamento in Lugano il luogo in cui “Il ritratto del dottor Gachet” è conservato. Anche le voci che lo vedono in mani italiane sembrano piuttosto numerose ed accreditate. L’inchiesta azzarda anche l’ipotesi che il dipinto sia stato comperato da Antonio Invernizzi alla fine degli anni ‘90 e che tutt’ora sia nella collezione (pare piuttosto ampia) della famiglia la cui fortuna è legata all’industria casearia, ma senza sbilanciarsi troppo. Gli Invernizzi, contattati dal quotidiano statunitense, nella maestosa Villa Favorita a Lugano (residenza seicentesca affacciata direttamente sul lago, un tempo di proprietà del barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza), si sono rifiutati di commentare in qualsiasi modo la notizia e attraverso il loro avvocato si sono opposti alla possibilità di parlare dell’argomento. Non hanno ne confermato ne smentito. Lo stesso articolo, del resto, è molto aperto all’ipotesi che quella degli Invernizzi sia una falsa pista.

Sia come sia, la storia de’ “Il ritratto del dottor Gachet” di Vincent Van Gogh pone domande molto concrete sulla liceità della proprietà privata senza nessun tipo di restrizioni di opere d’arte che costituiscono il patrimonio di tutti noi (soprattutto sapendo che i musei non si potrebbero mai permettere di acquistarle). Da una parte, imporre a chi le compra di esporle ogni tanto in un museo per esempio, violerebbe la libertà dei legittimi proprietari e metterebbe in difficoltà un mondo che si sostine sul mercato. Dall’altra, il pubblico in genere e gli studiosi in particolare perdono tanto nel non poterle ammirare mai.

E poi c’è l’affermazione del signor Saito. L’ultimo proprietario del ritratto di Vincent Van Gogh ad essersi aggiudicato l’opera in un’asta infatti, una volta disse che un giorno avrebbe voluto essere cremato insieme alle cose che gli erano più care. Incluso il dipinto.

“Il ritratto del dottor Gachet” di Vincent Van Gogh , olio su tela 67 cm x 56 cm . Collezione privata