Il fotografo Max Farina ricompone un’iconica veduta di Venezia con oltre 60mila fotografie scattate in 10 anni di lavoro

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

E’ un progetto gugantesco quello che inaugurerà oggi al Fondaco dei Tedeschi di Venezia (dal 7 febbraio 2024). Il fotografo e architetto milanese Max Farina per realizzarlo ha impiegato 10 anni in cui ha ritratto più di 16mila persone ma soprattutto nei quali ha collezionato 60.557 tasselli (cioè vedute parziali della città lagunare). Perché in “The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years”, il panorama più iconico di Venezia (la vista che si gode dal ponte di Rialto) si compone come in un puzzle su un grande monitor di migliaia di scatti, colti in orari diversi, in condizioni metereologiche disomogenee oltre che in giorni ed anni differenti.

Il progetto di Rivus Altus- ha scritto Farina sul suo account Instagram- è iniziato a Venezia 10 anni fa, ha partecipato a fiere internazionali, è sbarcato prima a Beverly Hills e poi a New York, ha iniziato a girare il mondo nei luoghi più inaspettati, per tornare infine a Venezia con questa mostra al Fondaco dei Tedeschi . Un viaggio fotografico attraverso le trasformazioni della città di Venezia, ogni scatto racconta una storia: un decennio di dedizione e passione per immortalare lo scorrere del tempo nella città galleggiante”.

Per realizzare l’opera Farina ha preso spunto dal testo dello scrittore francese Georges Perec “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” (Parigi, 1975), in cui l’autore osserva una piazza della capitale francese da differenti punti di vista e in diversi momenti, annotando ogni variazione. Farina si è poi interrogato sull’attenzione che le persone riservano a soggetti riprodotti talmente tante volte da risultare privi di qualsiasi mistero, e, nonostante questo o proprio a causa di ciò, visitati e fotografati più degli altri. In questo mondo il fotografo riflette contemporaneamente su ciò che scegliamo di ricordare e su come la nostra esperienza, spesso, sia manipolata e manchi di autenticità. Tuttavia, le persone che compaiono in questi scatti sono sempre diverse e la loro presenza insieme al loro punto di vista sul panorama, rendono la città sempre nuova seppur immutata. Dando quindi anche uno spunto per pensare al concetto di autorialità e domandarsi cosa significhi fotografare panorami urbani

The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years” ha richiesto a Farina 500 ore di appostamento (che il fotografo ha diligentemente interpretato, riprendendo ogni volta la stessa posizione del primo scatto). Ed è anche un’indagine sullo scorrere del tempo (come si capisce dal termine “cronorama”, coniato per titolare la serie), sulla maniera impercettibile in cui si insinua nei paesaggi urbani apparentemente immutabili come quello veneziano, oppure plasticamente su quelli ugualmente noti ma in continuo divenire. Farina, infatti, da anni fotografa pure piazza Duomo a Milano ma anche Time Square e Brooklyn a New York e poi Parigi, Los Angeles insieme ad altre città.

Nato a Milano nel 1974, Max Farina, è particolarmente interessato ad esplora l’impatto visivo dello scorrere del tempo su punti di vista iconici, architettonici e paesaggistici. E’ laureato in architettura al Politecnico di Milano e dal ‘91 si dedica alla fotografia di reportage, architettura e documentazione del territorio. Parallelamente al suo lavoro di architetto e fotografo, nel 2010 ha fondato lo studio di comunicazione Farina ZeroZero.

The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years” di Max Farina al Fondaco dei Tedeschi di Venezia è stata realizzata in collaborazione con la San Polo Art Gallery (che ospita una mostra di opere del fotografo milanese) e si potrà visitare fino al 7 aprile 2024 (ad ingresso gratuito).

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina al lavoro a Venezia

Come un labirinto, l’arte ingannevole e stupefacente di Leandro Erlich a Palazzo Reale di Milano:

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nella penombra che avvolge le sale della reggia milanese, i faretti che illuminano le nuvole intrappolate in una serie di composte teche da Leandro Erlich, sembrano strapparle per un momento ad una vita propria, mutevole e pigramente movimentata. Paiono immobili per strategia, più che per necessità. Tant’è vero che se lo sguardo si sofferma su di loro troppo a lungo, si potrebbe giurare di averle viste trasformarsi, abbandonarsi a un moto delicato e continuo. Eppure sono solo disegnate (in grandezze diverse), su lastre di vetro trasparenti, sovrapposte tra loro. Geometricamente ricomposte, certo, ma pur sempre sezionate.

Le nuvole nelle teche di Erlich - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Inganni percettivi che riempiono di meraviglia e sono una cifra distintiva dell’opera dell’artista argentino, Leandro Erlich, protagonista dell’importante mostra antologica “Oltre la Soglia” a Palazzo Reale di Milano. La prima con tante opere, così rappresentative, concentrate in un’unica sede, dedicatagli non solo in Italia ma in Europa. Esposizione, che ha richiesto un mese intero di lavoro, per la sola installazione delle sculture negli spazi dello storico edificio che sorge accanto al Duomo.

Ci sono opere degli anni ’90 insieme a lavori più recenti, alcune decisamente importanti, che tratteggiano una poetica che porta lo stupefacente nel cuore della quotidianità, che tramuta in straordinario l’ordinario. Ma Erlich fa di più: insinua il dubbio nelle minute certezze della vita d’ogni giorno. E rende il pubblico parte integrante ed elemento fondamentale dell’opera d’arte.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nato a Buenos Aires nel 1973, Leandro Erlich è stato un enfant prodige dell’arte contemporanea (la prima mostra la fa a 18 anni al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires). Dopo un periodo di studi conclusosi negli Stati Uniti, Erlich, ha già sviluppato alcune delle sue opere distintive. E nel 2001 rappresenta l’Argentina alla 49esima Biennale di Venezia con l’installazione “Swimming Pool”. La stessa che nel 2008 esporrà al MOMAPS1 di New York. Adesso vive tra Parigi, Buenos Aires e Montevideo, è un uomo magro e quasi sempre sorridente, che parla tra l’altro un perfetto italiano, segno dei costanti e ripetuti rapporti intrattenuti con l’Italia negli anni (è rappresentato dall’ormai internazionale Galleria Continua nata a San Gimignano, nei colli senesi, dove conserva tutt’ora la sua sede principale) e che si descrive così:

Mi piace presentarmi come un artista concettuale che lavora nel regno del reale e della percezione. Il mio soggetto è la realtà, i simboli e il potenziale di significato. Mi impegno a creare un corpo di opere - soprattutto nella sfera pubblica - che si apra all'immaginazione, sovverta la normalità, ripensi la rappresentazione e proponga azioni che costruiscano e decostruiscano situazioni per sconvolgere la realtà. Parlando in generale”.

Lost Garden, il giardino interno apparentemente a pianta quadrata con 4 finestre, che si scopre averne due ed essere triangolare- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Erlich viene da una famiglia di architetti, professione a cui sembrava predestinato e che senz’altro avrebbe intrapreso, se non avesse nutrito una così intensa passione per l’arte. Un elemento della biografia di cui si ritrovano le tracce in tutta la sua opera. Che è fondamentalmente urbana. Fatta di ascensori, facciate, pareti, specchi, perfino il traffico.

Capace di porre in modo giocoso domande di tipo filosofico, psicologico e sociale, ma che affonda le sue radici in città.

Gli elementi del paesaggio naturale, quando ci sono, danno l’impressione di essere visti dal fondo di un canyon di palazzi (l’ombra delle foglie di alberi inesistenti in “Shadows”, la pozzanghera che riflette edifici che non ci sono in “Sidewalk”, il giardino interno con piante e finestre apparentemente quadrato di “Lost Garden”, che girato l’angolo si scopre essere triangolare; e poi le nuvole, in tutte le loro molteplici declinazioni). O, a volte, sono forieri d’inquietudine, una sensazione che punteggia il lavoro di Erlich, dietro la costante apparente allegria, esattamente come si insinua nella trama di “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll (così una finestra sospesa su una scala ad incorniciare scampoli di paesaggio nasce dalla tragedia dell’uragano Katrina, la pioggia battente dietro i vetri in una notte immaginaria crea disagio, gli oblò degli aerei a parete risvegliano la paura di volare in chi ne soffre ecc.)

Elevator Pitch- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

E poi, gli elementi del paesaggio naturale non sono gli unici in grado di suscitare fastidio nel linguaggio di Erlich. Che è capace di produrre spaesamento, come in “Elevator Pitch” (il punto di accesso di un ascensore perfettamente riprodotto, installato a parete e quindi piatto, che quando si apre svela un video in cui compaiono gruppi sempre diversi di passeggeri), in cui l’inganno è chiaro, ma il primo impulso resta quello di entrare. O di risvegliare antiche fobie. Come la paura dell’altezza in “Ascensor” (un ascensore tridimensionale collocato in mezzo alla stanza, che attraverso un gioco di specchi sembra aprirsi all’interno su un precipizio infinito). Erlich, poi, ha pure esplorato il tema della videosorveglianza e quello del voyeurismo (in mostra, ad esempio, “The View”).

Il disagio sociale (capace, però, talvolta di tramutarsi in collaborazione da parte del pubblico che si scatta foto vicendevolmente) e quindi il tema delle regole non scritte che ci spingono a muoverci come automi in mezzo agli altri, viene sviluppato, invece, in opere esposte a Milano come “Hair Salon” (si entra in una stanza che sembra in tutto e per tutto il salone di un parrucchiere, con due specchi davanti e due dietro, ma quelli frontali sono cavi e si aprono su un vero spazio speculare; capita perciò di trovarsi di fronte anziché il proprio riflesso l’immagine di un estraneo).

le barche che si riflettono nel nulla e galleggiano senz’acqua di Port of Reflections - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Tuttavia, forse nessuna opera come “Port of Reflections” (in mostra) è capace di farci perdere fiducia nei nostri sensi. Qui Erlich ha ricostruito un porticciolo, con tanto di barche a grandezza naturale, che si specchiano nell’acqua e ondeggiano dolcemente. Nella penombra di Palazzo Reale sono davvero stupefacenti per verosimiglianza, pare di sentire l’odore di salsedine. Peccato che l’installazione non comprenda nessun tipo di liquido. Anche guardando in basso è impossibile distinguere la differenza tra queste barche che galleggiano nel vuoto e quelle vere, abbandonate alle onde, in un punto d’approdo. Erlich qui, oltre a farci dubitare di noi stessi, vuole focalizzare l’attenzione sulla realtà prefigurata (il nostro paesaggio interiore) e di conseguenza sulle aspettative illusorie.

La memoria, il senso d’identità (come singoli e parte di un gruppo), sono invece temi al centro di opere come “Classroom (anche questa in mostra, riproduce un’aula scolastica che i visitatori possono vedere attraverso un vetro e in cui il loro riflesso può prendere posto, solo da determinate posizioni, però).

Leandro Erlich, Classroom (2017) Two rooms of identical dimensions, wood, windows, desk, chairs, door, glass, lights, blackboard, school supplies and other classroom decorations, and black boxes Dimensions variable

D’altra parte l’opera di Leandro Erlich, dietro l’invito al gioco e il senso di meraviglia, nasconde un cuore concettuale poliedrico. E’ un po' come quei labirinti fatti di siepi talmente alte che da fuori sembrano percorsi lineari, di tutto riposo, salvo poi perdercisi dentro.

Oltre la Soglia” di Leandro Erlich, a cura di Francesco Stocchi, organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, e promossa da Comune di Milano-Cultura, rimarrà a Milano fino al 4 ottobre 2023.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

L’opera minimale ed aggraziata di Ann Veronica Janssens capace di mettere in evidenza gli animi indomiti e le inclinazioni romantiche

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Capace di scolpire la luce e creare ingannevoli e complessi giochi di specchi, l’opera di Ann Veronica Janssens, è minimale e mutevole. Al confine tra ricerca artistica e scientifica. Talvolta effimera, a momenti inafferrabile, incorpora il movimento e le emozioni del visitatore con cui instaura un dialogo serratissimo. Al centro della sua attenzione, la percezione della realtà.

Per “Grand Bal”, l’importante personale in corso al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, Ann Veronica Janssens, ha cominciato col pensare allo spazio architettonico in cui l’esposizione è ospitata. Un edificio di archeologia industriale in cui un tempo si costruivano locomotive: grande (sia per estensione che in altezza), buio, lineare. Poi l’ha modificato, in maniera transitoria e se vogliamo sottile, ma decisamente sostanziale.

L’artista originaria di Folkestone (Regno Unito), infatti, ha rimosso alcune delle porte d’uscita, sostituendo i battenti con una rete in PVC porosa e trasparente, che permette alla luce naturale, così come a suoni, aria e altri elementi esterni, di penetrare nell’ esposizione. Il risultato è drammatico e lo spazio architettonico appare trasformato. La luce che arriva dalle pareti si diffonde dolcemente nell’ambiente ma quella che dal soffitto raggiunge il suolo taglia il vuoto. L’effetto è quello di una serie di riflettori capaci di generare fasci di luce diretta che da lontano sembrano colonne (come quelle di un tempio o di una cattedrale). L’intervento si chiama “Waves” ed è stato ideato per la mostra.

Che si apre con una serie di 12 specchi circolari a pavimento (“Drops”, 2023). Somigliano a delle grandi gocce d’acqua come dice il titolo, ma fanno pensare anche alle pozzanghere, e riflettono il soffitto (o meglio la parte dell’edificio non utilizzata dalle persone). Il dialogo con l’architettura è stretto, quasi intimo, mentre quello con lo spettatore si apre in sordina (per crescere passo a passo), generando nuovi punti di vista, meraviglia e un vago spaesamento.

I lavori in cui Janssens si interroga sull’architettura, o comunque, le assegna un ruolo fondamentale nel corpo a corpo che via via si crea tra l’artista e il pubblico, sono molti ancora. Non a caso il video “Oscar” del 2009, è centrato sull’architetto modernista brasiliano, Oscar Niemeyer (1907-2012), radicale portavoce di ideali sociali. Mentre “Area” (2023), una piattaforma percorribile in mattoni, mette in discussione il netto confine che separa scultura ed architettura.

Un lavoro asciutto, persino troppo, ma su cui “Swings” (2000-2023), fa bella mostra di se. Si tratta, infatti, di altalene che oltre a citare soggetti pittorici del passato, introducono il tema del ludico e del meraviglioso che accompagna tutta la mostra. Quest’ultima, infatti, altro non è che una grande scenografia, in cui il visitatore si muove liberamente, guidato dal senso di stupore e da un giocoso spirito d’avventura (anche se inconsapevolmente indirizzato dall’artista).

Sulle altalene, lascia traccia del proprio passaggio, attraverso una pellicola termoreagente che muta di tonalità a contatto con il calore del corpo. Per trovarsi poi a cospetto con l’assenza di punti di riferimento spazio-temporali, ne “L’espace infini” (1999) (l’opera è una struttura concava rettangolare, priva di angoli e bordi, l’ambiente è bianco, talmente bianco che per un effetto ottico lo sguardo non riesce più a distinguere dimensioni e limiti). Simile ma peggiore l’esperienza di o “MUKHA, Anvers” (1997-2023), un ambiente isolato dal resto della mostra che da fuori sembra un grande ma banalissimo cubo bianco. Quando si entra però la musica cambia, Janssens, ha riempito la stanzetta di fitta nebbia artificiale e ha lasciato che l’illuminazione naturale rendesse ancora più vaghi i confini dello spazio e più sfumate le forme dei corpi in movimento. Risultato? Il completo spaesamento. Ci si sente alla deriva, spesso irrazionalmente incapaci di fare un passo ma la sensazione che si prova non è del tutto sgradevole. L’artista, ha spesso raccontato di stupirsi per i messaggi che le mandano le persone che hanno affrontato quest’opera, diverse volte ha persino ricevuto ringraziamenti da parte di donne che tra la nebbia di “MUKHA, Anvers” hanno incontrato quello che sarebbe diventato il loro marito.

Meno votate a mettere in evidenza gli animi indomiti e le inclinazioni romantiche, ma altrettanto suggestive, le opere che si soffermano sul colore. Fasci di toni primari che pulsano nello spazio finchè il visitatore non vede bianco (“Rouge 106, Bleu 132 -Scale Model”), o si ricorrono senza mai combaciare (“Bitter, Salty, Acid and Sweet #2”) e poi un piccolo prisma che cattura la luce e porta l’arcobaleno in mostra (“Untitled - Prism”). Oltre ad opere che attraverso finiture di nuova generazione sviluppano cromie cangianti apparentemente irreali.

Va detto che l’opera di Janssens è stata spesso associata al lavoro dei “Light & Space” (gruppo di artisti americani degli anni Sessanta come Robert Irwin e James Turrell) da cui discendono figure più recenti come Olafur Eliasson. Tuttavia l’artista britannica (ma trapiantata in Belgio) ha sempre avuto un linguaggio ed una ricerca squisitamente personali.

La grande retrospettiva “Grand Bal” di Ann Veronica Janssens, curata da Roberta Tenconi, proseguirà fino al 30 luglio 2023 al Pirelli Hangar Bicocca di Milano. In contemporanea a quella dedicata a Gian Maria Tosatti.

Ann Veronica Janssens Magic Mirrors (Pink & Blue), 2013-2023 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Alfonso Artiaco, Napoli © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti

Ann Veronica Janssens MUHKA, Anvers, 1997-2023 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Collection 49 Nord 6 Est – Frac Lorraine © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens La pluie météorique, 1997 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Collezione M HKA / Museum of Contemporary Art Antwerp © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens waves, 2023 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Commissionata e prodotta da Pirelli HangarBicocca, Milano © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens Drops, 2023 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens Pink Coco Lopez, 2010 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista ed Esther Schipper, Berlino/Parigi/Seoul © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti

Ann Veronica Janssens for PHB, 2004-23 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto Andrea Rossetti Courtesy the artist/ l’artista, Alfonso Artiaco, Napoli; Bortolami Gallery, New York; mennour, Paris/London; Esther Schipper, Berlin/Paris/Seoul; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerp; 1301PE, Los Angeles, and/e Pirelli HangarBicocca, Milan/Milano

Ann Veronica Janssens Ritratto Courtesy Esther Schipper Gallery © 2023 Ann Veronica Janssens / SIAE Foto © Andrea Rossetti