L’eleganza sfarzosa della neve sull’isola di Hokkaido nelle fotografie di Toshihiko Shibuya al Consolato del Giappone di Milano

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 12. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

I francesi nel cuore della vecchia Milano sembrano fare di tutto per farsi notare: hanno i militari davanti all’ingresso e un’insegna in ottone con scritto ‘Francia’ a caratteri cubitali. Il Consolato giapponese, letteralmente alla porta accanto, pare aver scelto l’approccio opposto: la targa non si nota quasi mentre si varca la soglia del palazzo discreto ed elegante che li ospita per visitare la mostra di fotografie dell’artista Toshihiko Shibuya.

È una tiepida giornata autunnale quella dell’inaugurazione, in una zona del capoluogo lombardo dove i rappresentanti amministrativi di Paesi europei ed extra-europei abbondano, e Toshihiko Shibuya ha lavorato fin dalla prima mattina per preparare l’esposizione intitolata “Snow Pallet Fotografica” che occuperà l’atrio del Consolato Generale del Giappone fino al 28 di novembre 2025.

Lo spazio non è molto perché gli strumenti necessari ai controlli di sicurezza ne riempiono una gran parte, ma questo non l’ha scoraggiato. Una volta ha detto: “Se l’ambiente è piccolo non è un problema: ci sono tecniche precise di allestimento”. Ed effettivamente la serie di fotografie che documentano e reinterpretano la sua opera più nota, una sorta di saga scultorea minimale con cui da oltre dieci anni a questa parte sottolinea la bellezza transitoria e mutevole dell’inverno nell’estremo nord dell’arcipelago nipponico, conquista questo strano interregno ambiguamente sospeso tra Italia e Giappone in maniera garbata.

Selezionare le immagini dev’essere stata un’impresa titanica vista la mole di materiale accumulatosi nel tempo, ma la cernita ha dato buoni frutti e la stampa arricchisce di sfumature e suggestioni il racconto, congelando istanti fugaci e invitando a guardare più da vicino. Nel dettaglio.

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet (particolare dell’installazione). Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

Nato e cresciuto sull’isola di Hokkaido, Toshihiko Shibuya riporta l’incanto di questa terra costiera che dista appena 3,7 chilometri dal confine marittimo con la Russia (e ultimamente ne suggerisce anche la fragilità). In genere, infatti, noi siamo abituati a pensare al Giappone come a un corpo omogeneo mentre l’arcipelago che racchiude è vasto (come una mezza luna allungata punteggiata tutt’attorno da migliaia di minuscole isolette). Il sud ha un clima piuttosto mite anche durante i mesi freddi, mentre il nord è conosciuto per gli sport invernali e le epiche nevicate, con uno sbalzo termico di una decina di gradi tra i due estremi.

È in questo quadro che oltre dieci anni addietro il signor Shibuya mise in scena la prima edizione di “Snow Pallet”. L’idea era quella di rendere visibile a tutti, anche a chi era di corsa o preoccupato, la bellezza quotidiana e prossima della natura, attraverso un intervento minimo da parte dell’artista. Ci riuscì usando dei supporti metallici simili a tavolini o sgabelli a tratti colorati (in genere sotto il piano d’appoggio) con tinte vivaci e zuccherose, capaci di dilatarsi in laghetti dai toni pastello sulla coltre bianca all’accumularsi dei primi fiocchi. L’opera, di cui il signor Shibuya ogni anno ha prodotto almeno una variante (moltiplicando i supporti, variando le altezze degli elementi, cambiando l’ambientazione e l’esposizione alla luce) da allora a oggi, mette in evidenza i volumi, le forme casuali e transitorie create dalle nevicate nel corso della stagione rigida ma nel tempo ha assunto anche la funzione di documentare la trasformazione del clima. Tratteggiando questa narrazione di riferimenti nostalgici, poetici e filosofici (non c’è dubbio che l’antica attitudine orientale ad osservare la volubilità del paesaggio abbia influito), insieme a considerazioni di carattere diverso come una riflessione sul confine che separa architettura e natura, o la ricerca dell’equilibrio tra installazione artistica e contesto.

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 15. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

A Milano, il signor Shibuya, tuttavia non espone l’opera in sé ma una serie anche piuttosto ristretta di fotografie che la ritraggono. Il che potrebbe scoraggiare chi ha già visto sullo schermo dello smartphone o del computer altre riproduzioni delle installazioni. Stranamente invece le immagini stampate riescono ad alterare il tono della storia quel tanto che basta per modificarla in modo sottile (un po’ come quando si dice la stessa cosa con allegria o serietà). Il messaggio è lo stesso, il soggetto è il medesimo ma i chiaroscuri raffinati restituiti dalle fotografie mentre ombre sobrie ma ben visibili si allungano ai piedi delle sculture o la neve assume forme totemiche, danno un senso di meraviglia completamente diverso all’osservatore. La bellezza minuta della fotografia prende il sopravvento e chi guarda viene guidato verso un istante memorabile all’interno di un lungo processo di trasformazione costante.

Nel contesto del Consolato poi, le opere assumono pure significati diversi da quelli originali che hanno a che fare con il senso d’identità nazionale e personale ma soprattutto su come questi sentimenti si modificano via via che ci allontaniamo da casa. Sulla scoperta dell’alterità e persino sulla globalizzazione.

Snow Pallet Fotografica” distorce un po’ le proporzioni nel momento in cui mette in involontario confronto l’autunno nella Pianura Padana con il rigido inverno di Hokkaido (uno squilibrio a cui una mostra dell’artista alla Gola Gallery di Milano in dicembre porrà rimedio). Poco tempo dopo aver installato la sua piccola personale, mentre il tepore di un pomeriggio soleggiato lasciava il posto a una serata ugualmente mite, Toshihiko Shibuya ha commentato: “Ho sospeso la neve in Consolato”.

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 13. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 4. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 9. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 13. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 2. Courtesy: the Artist. © Toshihiko Shibuya

Due bambine guardano la mostra al Consolato del Giappone di Milano

Toshihiko Shibuya (il primo sulla destra) al Consolato del Giappone di Milano

L’artista della globalizzazione e del nazionalismo Yukinori Yanagi tornerà sulla scena internazionale al Pirelli Hangar Bicocca nella nuova era post-globale

Yukinori Yanagi Hinomaru Illumination, 2010 Neon, neon transformer, programming circuit, painted steel, mirror, water 220 x 450 x 660 cm Permanent installation, ART BASE MOMOSHIMA, Hiroshima Photo Road Izumiyama

All’apice della fama tra gli anni ’90 e i primi del 2000 (non a caso, proprio nel momento di prima maturità della globalizzazione), Yukinori Yanagi sta tornando ad esporre a livello internazionale dopo aver passato un lungo periodo della sua vita su isole asiatiche remote (in cui ha costruito musei ridando slancio ad architettura, economia, turismo e demografia, oltre a consegnare ai posteri la sua opera).

E una delle tappe più importante di questa ripartenza sarà proprio in Italia il mese prossimo, quando si inaugurerà “Icarus”. La mostra, che si terrà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, infatti, sarà la prima antologica mai dedicata in Europa al sessantacinquenne giapponese.

Originario della prefettura di Fukuoka, nel Giappone meridionale, il signor Yanagi, con le sue opere concettuali ma visivamente accattivanti, esplora temi complessi come globalizzazione, tecnologia, nazionalismo, dinamiche governative e paradossi delle società attuali. Senza dimenticare materie particolarmente sensibili (in Giappone) come il sistema imperiale e la costituzione dell’arcipelago nipponico (non nacque spontaneamente ma venne imposta dagli americani alla fine della guerra). Per questo è considerato uno dei primi artisti contemporanei ad essere stati apertamente critici nei confronti della società e della politica governativa giapponese.

A regalargli il successo internazionale però furono le formiche.

Yukinori Yanagi The World Flag Ant Farm, 1990 Ants, colored sand, plastic boxes, plastic tubes, plastic pipes, monitors 180 boxes, 24 x 30 cm (each) Installation view, Benesse House Museum, Naoshima, Kagawa, Japan, 2008 Photo YANAGI STUDIO Collection of Benesse Holdings, Inc., Okayama

Intenti a scavare gallerie nelle bandiere di sabbia, erodendole e portando granelli dell’una in quelli dell’altra, i minuscoli insetti, protagonisti della serie “Ant Farm”, gli permisero di aggiudicarsi il premio Aperto (allora Aperto era la sezione dedicata agli artisti più attuali) alla Biennale di Venezia del ’93. Da quel momento in avanti il signor Yanagi si era guadagnato un posto sul palco globale dell’arte contemporanea; da cui avrebbe affrontato gli argomenti che gli stavano a cuore, attraverso un linguaggio capace di fondere cultura alta e bassa (sono frequenti i riferimenti ad insegne, personaggi di fantasia e anime). Tuttavia questa posizione privilegiata gli avrebbe portato anche delle grane (a cominciare dalla resistenza in patria verso alcune sue opere che toccavano nervi scoperti della rappresentazione dell’identità giapponese).

Ai tempi Yukinori Yanagi abitava negli Stati Uniti, dove aveva affrontato parte dei suoi studi (è stato borsista d’arte a Yale con Vito Acconci e Frank Gehry) e dove si era trasferito stabilmente dopo aver vinto Aperto alla Biennale. Del resto non avrebbe potuto fare altrimenti, visto che al principio della sua carriera aveva la sensazione di “essere intrappolato in una gigantesca bandiera giapponese, in una gabbia, inghiottito dall'identità nazionale”. In quel periodo le sue opere furono acquisite dal Moma di New York, dal Virginia Art Museum e della Tate di Londra. Ma quel ciclo era destinato a concludersi e se ne tornò in Giappone.

In un’intervista ha detto: "In un certo senso, avevo raggiunto un certo livello di successo in Occidente, ma sono sfuggito dalle 'restrizioni' che derivavano dalla fama che avevo acquisito lì e sono finito su un'isola in Giappone”.

Inujima Seirensho Art Museum, Japan, 2008 Photo YANAGI STUDIO

Prima c’è stata Inujima, un'isola nel Mare interno di Seto (al largo della costa della città di Okayama nel Giappone centro-meridionale) che nel 2017 contava una popolazione di 47 abitanti, dove c’erano i resti di una raffineria di rame abbandonata all’inizio del ‘900 e che “veniva utilizzata per depositare rifiuti”. Il signor Yanagi lì ha costruito un museo innovativo e completamente ecosostenibile (mantiene la stessa temperatura tutto l’anno attraverso l’energia di terra, vento e sole che lo illuminano pure). Al Inujima Smelter Museum è seguito il Momoshima Art Base sulla minuscola isola di Momoshima (al largo della città di Onomichi nella prefettura di Hiroshima) e poi un altro sull’isola di Anjwa in Corea del Sud (probabilmente si chiamerà Museo Galleggiante e dovrebbe essere inaugurato nella primavera di quest’anno).

Riguardo il suo impegno verso delle isolette sperdute ha spiegato: “Ho sempre amato le navi e sono il tipo di persona che non riesce a creare arte se non è vicino al mare. Penso che le isole siano come una versione in miniatura del Giappone”.

Se lo spirito provocatorio e la predilezione per temi politici del signor Yanagi, si possono leggere come dirette conseguenze della sua storia famigliare (il padre si arruolò volontario come pilota kamikaze durante la seconda guerra mondiale), l’interesse per i confini si deve alla posizione geografica della loro casa (vista la vicinanza della costa di Fukuoka alla Corea, il piccolo Yukinori raccoglieva oggetti trasportati dal mare da un Paese straniero). Nipote dell’artista d’avanguardia Miyazaki Junnosuke, fin da bambino era abituato all’arte contemporanea e, spesso, si inventava giochi che includevano la partecipazione delle formiche e di altri insetti.

A Milano oltre a dipinti in cui lui ha seguito con il pennello il percorso di una formica, ci sarà una grande versione di Ant Farm: “The World Flag Ant Farm 2025” (composta da duecento bandiere di sabbia in scatole di plexiglass che rappresentano i 193 Stati riconosciuti dalle Nazioni Unite e 7 stati che non sono membri delle Nazioni Unite come Taiwan, Tibet e Palestina. Le bandiere saranno collegate da tubi in cui si muoveranno migliaia di formiche). Altre installazioni fondamentali nel percorso dell’artista giapponese ma soprattutto un gruppo di opere completamente nuove completeranno l’importante antologica.

La mostra “Icarus” (il nome, ispirato al mito greco, fa riferimento ai pericoli della tecnologia) di Yukinori Yanagi sarà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano dal 27 marzo al 27 luglio 2025. Un periodo particolarmente azzeccato, se si pensa che solo da poco il mondo è entrato in una nuova era post-globale.

Yukinori Yanagi Icarus Cell, 2008 Iron corridor, mirrors, frosted glass, video, sound Permanent installation, “Hero Dry Cell,” Inujima Seirensho Art Museum, Okayama, Japan, 2008 Photo Road Izumiyama Collection of Fukutake Foundation, Naoshima

Yukinori Yanagi Wandering Position, 1997 Ant, steel angle, wax-crayon, monitor 520 x 520 cm Installation view, Chisenhale Gallery, London, 1997 Photo YANAGI STUDIO

Yukinori Yanagi Article 9, 1994 Neon, plastic box, print on transparency sheet, acrylic frame Dimensions variable Installation view, 8. Busan Biennale, 2016 Photo Road Izumiyama

Yukinori Yanagi Absolute Dud, 2007 Iron 305 x ⌀ 76 cm Installation view, BankART Studio NYK, Yokohama, Kanagawa, Japan, 2016 Photo Road Izumiyama

Yukinori Yanagi Project God-Zilla Onomichi U3, 2017 Mixed media, scraps from a demolished house, mirrors, acrylic, video, sound Installation view, Nishigosho Prefectural Warehouse No.3, Hiroshima, Japan, 2017 Photo YANAGI STUDIO

Yukinori Yanagi Banzai Corner, 1991 Plastic toys, mirror 112 x 239 x 241 cm Permanent installation, ART BASE MOMOSHIMA, Hiroshima, Japan Photo Road Izumiyama

Yukinori Yanagi The World Flag Ant Farm, 1990 Ants, colored sand, plastic boxes, plastic tubes, plastic pipes, monitors 180 boxes, 24 x 30 cm (each) Installation view, Benesse House Museum, Naoshima, Kagawa, Japan, 2008 Photo YANAGI STUDIO Collection of Benesse Holdings, Inc., Okayama

Yukinori Yanagi Portrait Photo Hideyo Fukuda

Tra cumuli di neve e colori fluo “Snow Pallet 18” di Toshihiko Shibuya racconta come il grande inverno di Hokkaido sia sempre meno grande

Toshihiko Shibuya, Snow Pallet 18, 2024-25. All images Courtesy Toshihiko Shibuya ©Toshihiko Shibuya

Nel momento in cui viene redatto quest’articolo, a Sapporo, nel Giappone settentrionale, il sole si alterna alle nevicate. Sarà così anche nei prossimi giorni. E fintanto che la neve cadrà, si accumulerà, ghiaccerà o si scioglierà, le due installazioni che compongono “Snow Pallet 18” di Toshihiko Shibuya continueranno a cambiare aspetto; sia nella forma che nel colore.

E’ normale che nevichi anche nelle belle giornate, durante l’inverno sull’isola di Hokkaido, quando le temperature sono basse e il vento siberiano spinge i turisti a cercare riparo mentre trasforma le precipitazioni in spettacoli senza eguali; con minuscoli fiocchi di neve che danzano nell’aria come innumerevoli piccole lucciole prima di ammucchiarsi in una spessa coltre bianca. D’altra parte tutta la zona è uno ‘yuki-guni’, cioè un ‘paese della neve’, in cui l’architettura, l’economia e la vita di tutti i giorni sono influenzate dai rigori invernali (una caratteristica dell’isola in particolare che ha fortemente influenzato l’opera del signor Shibuya, come ha spiegato lui stesso in una recente intervista ad Artbooms). Dove si rinforzano gli alberi con canne di bambù e corde affinché sopportino il peso dei fiocchi (‘yukitsuri’), dov’è comune la pratica dello ‘yukimi’ (cioè ’guardare la neve’), e dove lo Snow Festival è uno degli eventi più popolari da decine d’anni a questa parte.

Eppure, anche lì, il clima sta cambiando. Lo sa bene Toshihiko Shibuya che da oltre dieci anni a questa parte, ogni inverno, mette in scena una diversa versione dell’installazione “Snow Pallet”. L’opera, caratterizzata dalle forme minimali e dai colori vivi che la neve rifrange e amplifica, è diventata nel tempo un diario scultoreo (e fotografico) delle nevicate all’estremo nord dell’arcipelago nipponico: “Utilizzando Snow Pallet- spiega - mostro i ricordi dei paesaggi passati insieme alle date degli eventi meteorologici”.

Paesaggi, che secondo il signor Shibuya, starebbero perdendo parte del loro fascino: “Lo scrittore tedesco Goethe, che era anche uno scienziato naturalista, scrisse nel suo libro ‘Teoria dei colori’: ‘Tutti i colori intensi esistono nel cielo nuvoloso, che si trova tra la luce e l'oscurità. Con l'alba, appare il giallo, seguito dall'arancione, dal rosso e da altri colori vivaci, e quando il sole tramonta la sera, appare il blu. Il blu esiste proprio accanto all'oscurità’. Questo fenomeno può essere rappresentato osservando Snow Pallet. Ho iniziato il progetto nel 2011. Da allora le nevicate sono diminuite di anno in anno. Ultimamente ne abbiamo spesso di irregolari, che variano da forti a niente neve nel giro di un breve lasso di tempo”.

Quello che invece non è cambiato è lo spirito del progetto, teso a sottolineare la bellezza transitoria del paesaggio, la sua fragilità e mutevolezza, senza tradire le composizioni create dal caso. Per raggiungere questo risultato, il signor Shibuya utilizza dei supporti industriali di metallo dalle forme semplici, pensati come superfici d’appoggio per la neve. Tinti di bianco per mimetizzarsi nei paesaggi invernali, nascondendo però colori intensi, spesso fluorescenti, nei piani ciechi. In genere somigliano a dei tavolini, ma non quest’anno.

Composta da due installazioni realizzate dal signor Shibuya in altrettante differenti locations, “Snow Pallet 18” infatti, sembra ribaltare il solito paradigma: in un’opera i supporti sono triangoli rovesciati che compaiono per la prima volta; nell’altra i piccoli piani orizzontali sono retti da gambe lunghe come trampoli e i colori non sono più nascosti ma laccati direttamente nell’area su cui cadrà la neve.

La scultura formata dal succedersi di triangoli capovolti è stata posizionata di fronte ad un ingresso del campus Muruyama dell’Università Hokusho. L’altra, è invece collocata sulla terrazza panoramica della caffetteria giapponese Nichigetsu, così da dialogare con il cielo e lo skyline della città ma soprattutto con la TV Tower (alta oltre 143 metri, la torre costruita nel ’57 dall’architetto Tachū Naitō, è un’attrazione turistica). Entrambe le opere sono state realizzate a Sapporo.

Come già in altre occasioni il confronto serrato con l’architettura, a tratti avveniristica, della città, ha condizionato il lavoro, che riecheggia di motivi ricorrenti ed elementi portanti dell’ambientazione urbana. All’ingresso del campus, ad esempio, i triangoli rovesciati sono fissati a strutture fatte di listelli che risuonano delle linee chiare e scure di finestre e pareti, strade e rami. Senza contare che la parte superiore dei triangoli somiglia parecchio proprio all’atrio sotto cui le sculture sono posizionate. Qui la neve, complice il vento della zona, si ferma in angoli inaspettati dei ‘pallet’ e, di momento in momento, riverbera i colori in maniera nuova.

Sulla terrazza panoramica invece, il signor Shibuya, attraverso gli elementi verticali delle sculture evoca canneti o vegetazione fluviale in genere, ma anche grattacieli. Mentre i piccoli piani verticali vicini tra loro, permettono al vento e al sole di giocare con la neve, facendole assumere forme bizzarre in costante mutamento, in cui, di attimo in attimo, tutti possono vedere cose diverse. Come fossero macchie di rothschild o nuvole passeggere.

Ad esempio, il proprietario della caffetteria Nichigetsu ha affermato: "Sono felice che le montagne innevate raffigurate su questi oggetti assomiglino al monte Fuji. Questo perché ogni anno raccolgo il tè a Shizuoka (città e prefettura del Giappone centro-meridionale n.d.r.), da dove posso vedere il monte Fuji."

Ciò svela l’aspetto psicologico della serie “Snow Pallet”, che ha ruoli rigidamente attribuiti: la natura regala il proprio spettacolo, l’artista lo mette in evidenza, l’osservatore lo interpreta sulla base della ragione, dell’esperienza e del suo stato d’animo. Così oltre a considerazioni generali, le opere spingono lo spettatore in un territorio squisitamente personale (la nostalgia, i ricordi dell’infanzia e di tutti quei momenti che un evento occasionale anche se ricorrente portano con se).

L’artista ha invece spiegato (riferendosi alle sculture sulla terrazza panoramica): “A differenza del solito Snow Pallet questi oggetti alti hanno un rivestimento fluorescente sulla superficie superiore. Se la neve si accumulasse semplicemente, i colori vividi non sarebbero visibili. Con il rapido aumento della temperatura, la neve si scioglie e si trasforma in una fanghiglia. La luce del sole penetra attraverso le piccole montagne innevate trasformate in ghiaccio, permettendoci di vedere la luce vivida che le attraversa”.

Ha poi aggiunto: “La mia arte è resa possibile dal cambiamento climatico, con forti nevicate e temperature in aumento. Questo è piuttosto ironico. Le persone che vedranno le meravigliose masse di neve che cambiano colore sull'oggetto saranno ispirate a riflettere sul problema del cambiamento climatico?

Snow Pallet 18” di Toshihiko Shibuya sarà all’ingresso del campus Muruyama (Università Hokusho di Sapporo) fino al 4 febbraio 2025, mentre sulla terrazza panoramica vicino alla Sapporo TV Tower l’installazione rimarrà fino a primavera.