“Ground Break”: Performances e sculture impossibili di oggetti trovati in giro per Harlem da Nari Ward, tra poco a Milano

Nari Ward Hunger Cradle, 1996 (particolare) Filo, corda e materiali trovati Installazione site specific Dimensioni variabili Veduta dell'installazione, "Global Vision: New Art From The '90s (Part II)", Fondazione Deste, Atene, 1998 Collezione privata Courtesy the artist Foto: Fanis Vlastaras and Rebecca Constantopoulou

Artista newyorkese di origine giamaicana attivo fin dai primi anni ’90, Nari Ward, crea complesse installazioni, composizioni fatte di oggetti trovati in giro per il suo quartiere (Harlem), con cui riconfigura l’estetica del quotidiano e intesse di riferimenti alla storia dell’arte più recente un viscerale sentimento di nostalgia. Si potrebbe addirittura dire “nostalgia del presente”, parafrasando l’artista Pop britannica Pauline Boty, per il continuo rinnovamento che impone agli scarti attraverso il suo lavoro (non si limita a usarli per le sue sculture ma li giustappone in maniere sempre differenti, li fa diventare parte di performances, osserva le reazioni che suscitano in pubblici provenienti da contesti diversi ecc.), se non fosse che Ward usa la sua opera per parlare di problemi sociali.

A volte di vere e proprie tragedie. Ad esempio, “Amazing Grace” (una delle installazioni con cui si è importo al pubblico internazionale già nel ’93), composta da centinaia di passeggini ammassati lasciati in penombra mentre il pubblico si muove in mezzo ad essi su un vialetto tortuoso fatto di manichette d’idranti, parla dell’impatto dell’AIDS sulle comunità afroamericane, la giornalista Marta Schwendener ha scritto a proposito: “Ward ha trovato tutti i passeggini per questo lavoro abbandonati nelle strade di Harlem all'inizio degli anni '90, al culmine della crisi dell'AIDS e di un'epidemia di droga che colpì in modo sproporzionato i residenti”.

Gli sono più cari i temi che toccano la comunità nera come il colonialismo, la gentrificazione dei quartieri storicamente black, oltre a diseguaglianze ed emarginazione. Nel corso del tempo, tuttavia, Ward ha affrontato anche argomenti molto meno penosi come la spiritualità o la necessità di esprimere e stessi in modi apparentemente bizzarri. Gli piace anche porsi domande sul confine che separa pubblico e privato, o su quello che passa tra arte e creatività individuale fine a se stessa. Alla base del suo lavoro c’è naturalmente il consumismo, visto che le sue sculture sono spesso fatte di rifiuti, ma lui punteggia l’analisi della società dei consumi con osservazioni allo stesso tempo ironiche e spiazzanti. Come quando tratta i materiali: Ward, infatti, ha l’abitudine di invecchiare o semplicemente modificare la tessitura di alcuni di essi in modo paziente e laborioso, utilizzando dei prodotti apparentemente innocui come zucchero e bevande a base di soda (che oltre a corrodere indicano gruppi sociali del presente e abitudini del passato).

Nato nel ’63 a St. Andrew in Giamaica, Nari Ward, è arrivato negli Stati Uniti quando aveva solo 12 anni, dove ha studiato, fino a completare la sua formazione all’Hunter College, prima e al Brooklyn College, poi (lì ha conseguito un master in fine arts). Già da parecchi anni vive in una ex caserma dei pompieri di Harlem dove aveva inizialmente esposto le sue opere. E, nonostante il successo raggiunto in giovane età ne abbia fatto un cittadino del mondo, lui continua a mantenere un legame profondo con il suo quartiere, con la città e la comunità afroamericana, che si percepisce anche in opere recenti.

Dal prossimo 28 marzo Nari Ward sarà protagonista di un’importante retrospettiva al Pirelli Hangar Bicocca di Milano intitolata “Ground Break”. L’esposizione, curata da Roberta Tenconi e Lucia Aspesi, sarà modellata intorno al concetto di “memoriale di strada” cioè “uno spazio devozionale e spirituale di scambio non connotato da simbologia religiosa e reso tale dalle memorie collettive” che sarà anche il fulcro dell’opera realizzata su commissione dello spazio espositivo milanese, da cui prende il nome la mostra: “Groud Break”, appunto. Quest’ultima, concepita anche come un palcoscenico, sarà composta da 4mila mattoni rivestiti di rame posti a terra a comporre dei disegni astratti e sarà la versione ampliata di un lavoro precedente. Per dargli vita è previsto un programma di spettacoli che verranno eseguiti da vari performers e musicisti. D’altra parte, la mostra sarà centrata su collaborazione e performatività nel lavoro di Ward, quindi non avrebbe potuto essere altrimenti. Ma ci saranno anche tanti lavori capaci di fare una panoramica della storia artistica dello statunitense: ben 30 tra installazioni, sculture e video (verranno proposte anche opere grandi dal forte impatto spettacolare e evocativo come “Hunger Cradle” (del 1996, una ragnatela di corde sospende a mezz’aria una varietà di oggetti pesanti che i visitatori sono chiamati ad attraversare), o poco esposte al pubblico come le scenografie per la performance “Geography Trilogy” di Ralph Lemon.

Ground Break” di Nari Ward procederà in abbinata alla mostra già in corso, Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse.” dell’italiana Chiara Camoni fino alla pausa estiva del Pirelli Hangar Bicocca di Milano (il vasto spazio espositivo èad accesso gratuito anche durante gli eventi).

Nari Ward Carpet Angel, 1992 The Museum of Contemporary Art, Los Angeles Dono di Jennifer McSweeney in onore di Joan "Penny" McCall Foto Matthew Hermann

Nari Ward Happy Smilers: Duty Free Shopping, 1996 Tenda da sole, bottiglie di soda, manichette antincendio, scala antincendio, sale, elementi domestici, registrazione audio, altoparlanti e pianta di aloe Dimensioni variabili Veduta dell'installazione, “Nari Ward: Happy Smilers”, Deitch Projects, New York, 1996 Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seul, e Londra, e GALLERIA CONTINUA

Nari Ward Savior, 1996Carrello, sacchi della spazzatura di plastica, stoffa, bottiglie, recinzione metallica, terra, ruota, specchio, sedia e orologi 325,1 x 91,4 x 58,4 cm Institute of Contemporary Art, Boston Collection; Acquistato grazie alla generosità di un donatore anonimo. Veduta dell'installazione, "Nari Ward: RePresence", Nerman Museum of Contemporary Art, Johnson County Community College, Overland Park, Kansas, 2010. Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seul, e Londra Fotografia di EG Schempf

Nari Ward  Ground (In Progress), 2015 Rame, patina oscurante, 702 mattoni 9 sezioni da 78 mattoni 6,4 x 121,9 x 121,9 cm (ogni sezione) 6,4 x 365,8 x 365,8 cm (complessivamente come installato)Veduta dell'installazione, "Nari Ward: Breathing Directions", Lehmann Maupin, New York, 2015 Courtesy l'artista e Lehmann Maupin, m New York, Hong Kong, Seoul e Londra, e GALLERIA CONTINUA Foto Max Yawney

Nari Ward Ground (In Progress), 2015 (particolare) Rame, patina oscurante, 702 mattoni 9 sezioni da 78 mattoni 6,4 x 121,9 x 121,9 cm (ogni sezione) 6,4 x 365,8 x 365,8 cm (complessivamente) Courtesy l'artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seoul e Londra, e GALLERIA CONTINUA Foto Max Yawney

Nari Ward Apollo/Poll, 2017 Acciaio, legno, vinile e luci LED  914 x 365,8 x 121,9 cm Veduta dell’installazione, Socrates Sculpture Park, New York, 2017 Commissionato da Socrates Sculpture Park, New York Courtesy l’artista e Lehmann Mauping, New York, Hong Kong, Seoul e Londra

Nari Ward Crusader, 2005 Sacchetti di plastica, metallo, carrello della spesa, elementi per trofei, bitume, lampadario e contenitori di plastica 279,4 x 129,5 x 132,1 cm Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seul, e Londra Foto EPW Studio / Maris Hutchinson

Nari Ward Ritratto Courtesy l’artista e Lehmann Maupin, New York, Hong Kong, Seoul e Londra Foto Axel Dupeux

Chiara Camoni "una delle artiste più importanti della sua generazione" al Pirelli Hangar Bicocca

Chiara Camoni, Sister (Capanna), 2022 (particolare) Ferro, terracotta nera, fiori freschi e fiori secchi 220 x 140 x 150 cm Courtesy l’artista Nicoletta Fiorucci Collection Foto Camilla Maria Santini

Laboriose sculture in porcellana, tessuti tinti con piante o bacche raccolte qua e là, fiori veri, elementi architettonici che richiamano un sito archeologico e oggetti trovati, sono solo alcuni dei pianeti che convivono nell’universo artistico di Chiara Camoni. Un mondo insieme fiabesco e poetico, bizzarro e misterioso, dove gli elementi di critica sociale si diluiscono in un’atmosfera magica e giocosa, che, dal 15 febbraio sarà protagonista della mostra “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” (e con un titolo così) al Pirelli Hangar Bicocca di Milano.

Nata nel ’74 a Piacenza, Camoni ha alle spalle un lavoro costante e ininterrotto, senza corsie agevolate o drastici colpi di fortuna, che nel tempo (si laurea all’Accademia di Brera nel ‘99 e inizia subito a dedicarsi all’arte a tempo pieno) si è evoluto, fino a diventare stratificato e complesso, capace di racchiudere al suo interno riflessioni e suggestioni multiformi. E i risultati hanno cominciato ad arrivare. Tanto che Pirellli Hangar Bicocca sul suo sito la definisce “una delle artiste italiane di maggior rilievo della sua generazione”.

Camoni, che adesso abita in provincia di Lucca con la famiglia (a Serravezza, un paese di 12mila abitanti sull’Appennino, non lontano dalle cave di marmo), usa vari medium espressivi (scultura, disegno, video); ha una particolare predilezione per la ceramica e spesso ottiene o modifica i colori delle opere attraverso elementi naturali (fiori, piante e bacche appunto, ma anche diversi tipi di argilla e ceneri). A volte non lavora da sola ma organizza delle riunioni con altri (parenti o amici ma non solo) chiamati a svolgere un particolare compito. D’altra parte, la dimensione rituale che si crea durante questi eventi e le diverse sfumature psicologiche che confluiscono nelle opere plasmandole in maniera impercettibile, sono aspetti che si ritrovano in tutta la sua pratica. E poi i raduni aiutano a ricordare.

Alla memoria, infatti, fanno riferimento sia le citazioni di antiche civiltà che si ritrovano disseminate nelle sue sculture, sia fiabe e racconti vari, da lei evocati. Come pure gli oggetti trovati che inserisce nelle sue opere, che possono essere industriali, o, più spesso, naturali (ad esempio foglie secche o ossicini).

Anche il titolo della mostra sembra una filastrocca o una formula magica (magari più da strega della Disney che da vera e propria occultista), ma declinata al femminile. Ed è anche una maniera ironica e faceta di evocare il femminismo. Del resto, Camoni rivendica con decisione il diritto di fare arte con strumenti tradizionalmente più usati dalle donne (fino a pochi anni fa relegati dalla critica nel campo di serie b delle arti applicate), di citare artiste e scrittrici donne ma soprattutto di risolvere l’opera con una sensibilità e un gusto del tutto femminili. Lei a tal proposito ha detto:

Come artista donna, la mia identità nasce in modo archeologico, in un tempo e uno spazio lontano, dove torno sempre per poi trovare la mia collocazione nel presente. Così hanno origine le opere, che hanno una loro vita autonoma, muovendosi nel tempo e nello spazio che viene dopo, quello futuro. Comincia quella dualità che le rende mutevoli, ambigue, dedite al cambiamento”.

L’opera, in generale, è una rivisitazione del tema del paesaggio, anche se a volte si sovrappone e si intreccia alla natura morta e, persino al ritratto (non prima però di aver fatto un viaggio a ritroso nella storia dell’arte verso volti e forme archetipiche). Tutto è molto tattile. Non a caso l’artista utilizza quasi esclusivamente l’artigianato nella sua pratica: disegna, modella l’argilla, tinge i tessuti ecc. Il contatto diretto con la materia, talvolta ripetitivo, diventa una forma di meditazione e una maniera per far emergere l’inconscio. Oltre a un modo per portare alla luce legami, citazioni e inaspettate assonanze, con altre civiltà, talvolta lontane nel tempo altre nello spazio. Mentre le forme organiche insieme alla cangiante bellezza della natura, dominano la composizione.

Questi aspetti daranno forma anche all’allestimento della mostra al Pirelli Hangar Bicocca, che, ispirato al giardino all’italiana tardo-rinascimentale e agli antichi anfiteatri, si svilupperà come un percorso: “Il disegno- spiega il comunicato del museo milanese- simmetrico e radiale della pianta crea corridoi e stanze, strade e ambienti, che dividono lo spazio dello Shed in aree dove i visitatori possono sostare o dialogare. Il centro vuoto è il fulcro attorno a cui ruota il progetto di mostra: le opere sono infatti disposte come sugli spalti di un’arena, trasformando l’esposizione in un raduno o uno spettacolo”.

Per lasciare che l’ambiente (i giochi della luce, le ombre serali, il particolato, la brezza) faccia la sua parte, esaltando il ciclo naturale e la mutevolezza del paesaggio, le finestre dello spazio espositivo rimarranno aperte (quest’ultimo è stato uno stabilimento industriale, dove all’inizio del secolo scorso si costruivano e assemblavano locomotive).

Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” (a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli) al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, aprirà in abbinata alla mostra di James Lee Byars (la sede è molto grande e ospita sempre due esposizioni contemporaneamente), per poi sposarsi a quella del giamaicano Nari Ward (dal 28 marzo; quella di lei si concluderà però sette giorni prima di quella di Ward: il 21 luglio). Raccoglierà il numero più ampio di opere di Chiara Camoni mai presentato in Italia, insieme ad una serie di nuovi lavori.

Chiara Camoni Sister #04, 2021 Terracotta nera, ferro 85 x 150 x 80 cm Veduta dell'installazione, “Io dico Io – I say I” Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2021 Courtesy l’artista  Collezione 54, Milano Foto Monkeys Video Lab

Chiara Camoni Barricata #1, 2016 (particolare) Terracotta policroma, acqua, fiori Dimensioni variabili Courtesy  l’artista e SpazioA Pistoia Foto Camilla Maria Santini

Chiara Camoni Serpentessa ‒ parte di Ipogea, 2021 Pietra Installazione site specific permanent  Courtesy l’artista e Palazzo Bentivoglio, Bologna Foto Camilla Maria Santini

Chiara Camoni Sister (Capanna), 2022 Ferro, terracotta nera, fiori freschi e fiori secchi 220 x 140 x 150 cm Courtesy l’artista Nicoletta Fiorucci Collection Foto Camilla Maria Santini

Chiara Camoni Senza Titolo, Mosaico #04, 2018 Marmo Dimensioni variabili Courtesy l’artista Collezione Agovino Foto Studio Gonella, Torino

Chiara Camoni Sister (degli Scarti), 2023 Terracotta policroma, ferro, vegetale secco, plastica e materiali vari 150 x 220 x 150 cm Courtesy l’artista e SpazioA Pistoia Foto Camilla Maria Santini

Chiara Camoni Vasi Farfalla, 2020 Grès smaltato, elementi vegetali Dimensioni variabili Courtesy l’artista e SpazioA, Pistoia Foto Camilla Maria Santini

Chiara Camoni Ritratto Foto Lorenzo Bottari 

Le opere poetiche ed eversive di Thao Nguyen al Pirelli Hangar Bicocca di Milano

Thao Nguyen Phan, “Reincarnations of Shadows”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

L’artista vietnamita Thao Nguyen Phan si pone domande su passato, presente e futuro del suo paese natale, attraverso un linguaggio poetico e delicato, quasi aereo; come i mezzi espressivi che predilige (video, pittura, lacche e acquerelli su seta ecc.), con cui mixa miti, folklore e memoria ad urgenze della contemporaneità (inquinamento, industrializzazione), per tessere narrazioni stratificate ed affascinanti.

Non è mai diretta ma non per questo questo le sue storie sono meno dure. Anzi.

Ne è un esempio la grande installazione “No Jute Cloth for the Bones”, formata da centinaia di fusti di juta grezzi, lasciati pendere dal soffitto gli uni accanto agli altri. A vedersi infatti, prima ancora di conoscerne il titolo, l’opera è piacevole, sembra quasi un riparo, dotato, tuttavia, di un allure naturale che spinge ad ammirarlo come si farebbe con un paesaggio. E’ quasi rilassante. Salvo poi scoprire che fa riferimento alla Grande Depressione che colpì il Vietnam nel ’44 e fece morire un numero di persone impressionante, oggi stimate tra 400mila e 2 milioni (il motivo principale fu che durante l’occupazione giapponese dell’Indocina i campi di riso vennero convertiti in piantagioni di juta per produrre divise militari).

Thao Nguyen Phan No Jute Cloth for the Bones, 2019 – in corso Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

No Jute Cloth for the Bones” è solo una delle opere che Thao Nguyen ha presentato a Milano dov’è in corso la sua personale al Pirelli Hangar Bicocca. E sono tutte caratterizzate da una sorta di onirico distacco. Intitolata “Reincarnations of Shadows”, la mostra (a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli), è la prima esposizione dedicata all’artista vietnamita da un’istituzione italiana e conta diversi lavori inediti. Come la video installazione “Reincarnations of Shadows (moving-image-poem)” da cui deriva il titolo dell’evento (commissionata da Pirelli HangarBicocca e co-prodotta da Fondazione In Between Art Film).

In quest’utima Nguyen fa riferimento alla figura dell’artista Diem Phung Thi (1920-2002) che fu una delle prime donne a fare scultura modernista (visse tra Francia e Vietnam) e riflette sulle relazioni intergenerazionali tra artiste in contesti post-coloniali. Di Diem Phung Thi, l’evento, coglie l’occasione per esporre parecchie opere

Diem Phung Thi Selezione di sculture per la mostra “Reincarnations of Shadows” by Thao Nguyen Phan, 1960 1970 circa (particolare) Collezione privata, Vietnam Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Nata a Ho Chi Minh City nell’87, Thao Nguyen ha avuto una formazione cosmopolita (ha studiato a Ho Chi Minh City ma anche a Singapore e Chicago). Subito dopo ha contribuito a fondare il collettivo vietnamita Art Labor (esplora pratiche interdisciplinari e sviluppa progetti artistici a beneficio della comunità locale) di cui fa parte anche il marito, l’artista Truong Cong Tung (in mostra a Milano c’è anche un’opera che ha realizzato in collaborazione con lui), da cui ha avuto due figli. Adesso, dopo aver vinto riconoscimenti prestigiosi riservati ai giovani artisti come l’Hugo Boss Asia Art Award ma soprattutto dopo aver partecipato a mostre di rilievo internazionale come quella di Cecilia Alemani nella scorsa edizione della Biennale di Venezia, il successo di Nguyen sembra consolidato e destinato a crescere.

Questo malgrado le restrizioni che gli artisti vietnamiti sono ancora costretti a subire in patria. Una pubblica esposizione, infatti, è considerata un’occasione di comunicare messaggi sgraditi o controversi e le autorità si tutelano esigendo l’autorizzazione del Ministero della Cultura e del Turismo prima di ogni evento. Inutile dire che ottenerla non è affatto scontato e un rifiuto causerebbe guai. Così a domandarla sono in pochi e non prima di aver contattato dei consulenti legali. Anche Nguyen quando in passato ha esposto a Ho Chi Minh City ha scelto di scendere a compromessi.

Thao Nguyen Phan Voyages de Rhodes, 2014-2017 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

D’altra parte il lavoro di Nguyen, se pur addolcito dalla carica poetica e dalla maniera sognante che sceglie per raggiungere la meta, dice cose forti. Uno dei temi forse più presenti ed eversivi è quello del vero e del falso, della Storia riscritta per essere consegnata alla memoria.

Mi interessa la narrativa- ha detto tempo fa- perché ad un certo punto mi sono resa conto che il Vietnam stesso è come una grande finzione. Non sai cosa è vero e cosa non lo è."

Per dare il suo contributo alla ricerca della verità, lei, spesso, si fa raccontare vecchie storie o spulcia antichi documenti. Lo ha fatto anche a Roma qualche anno fa, quando ha consultato l’Archivio dei Gesuiti, incontrando lettere e testi del VII secolo in cui si parlava del periodo misconosciuto della storia vietnamita. La colpa del mistero su ciò che succedeva in Vietnam in quegli anni e prima di essi è del missionario gesuita francese Alexandre de Rhodes che traslitterò la scrittura vietnamita, fino ad allora basata sui caratteri cinesi, in alfabeto latino rendendo i vecchi manoscritti incomprensibili ai più. Nguyen su questa vicenda ha costruito varie opere, ma quando parla del popolo vietnamita privato del proprio passato, si capisce che il riferimento è anche a una riscrittura dei fatti avvenuta in tempi molto più recenti.

Thao Nguyen Phan Becoming Alluvium, 2019 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Prodotto da Han Nefkends Foundation in collaborazione con Fundació Joan Miró, Barcellona; WIELS Contemporary Art Centre, Bruxelles; Chisenhale Gallery, Londra Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

L’emergenza ambientale entra invece in gioco, quando fa riferimento al ruolo e ai cambiamenti avvenuti nel fiume Mekong, dopo l’industrializzazione che ha preso le mosse dalla liberalizzazione del Vietnam (1985). E a voler ben guardare anche in questi lavori sempre di perdita della memoria collettiva si parla.

Reincarnations of Shadows” di Thao Nguyen rimarrà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano fino al 14 gennaio 2024. E’ stata concepita in collaborazione con la Kunsthal Charlottenborg di Copenaghen (dove una versione dello stesso progetto verrà presentata nella primavera-estate 2024). Adesso si può visitare insieme alla personale dedicata allo scomparso James Lee Byars (al 12 ottobre al 18 febbraio 2024 sempre all’Hangar).

Thao Nguyen Phan, “Reincarnations of Shadows”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan, “Reincarnations of Shadows”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy dell’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan First rain, Brise-soleil, 2021 – in corso Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Prodotto da Han Nefkens Art Foundation in collaborazione con Kochi Biennale, con il support  di Tate St Ives Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan Dream of March and August, 2018 – in Corso (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista; Galerie Zink Waldkirchen e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan, Mute Grain, 2019Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Commisionato da Sharjah Art Foundation con il support di Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan Perpetual Brightness, 2019 – in corso In collaborazione con Truong Cong Tung Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista; Galerie Zink Waldkirchen e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan Perpetual Brightness, 2019 – in corso In collaborazione con Truong Cong Tung Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Courtesy l’artista; Galerie Zink Waldkirchen e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Thao Nguyen Phan First rain, Brise-soleil, 2021 – in corso Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 Prodotto da Han Nefkens Art Foundation in collaborazione con Kochi Biennale, con il support  di Tate St Ives Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio