Biennale Venezia| Lo straordinario Padiglione Australia di Archie Moore dove un albero genealogico tracciato a mano risale fino agli albori della civiltà

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Entrando nel Padiglione dell’Australia della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, dapprima, ci si sente smarriti. E’ questione di qualche secondo, il tempo necessario agli occhi per adattarsi alla penombra dell’ambiente accentuata dal bianco e nero dell’installazione di Archie Moore. Poi si vedono i candidi volumi scultorei al centro della sala e via via l’acqua che li circonda e pian piano anche il groviglio di segni che invade i muri. Solo la fenditura alla base delle pareti del grande ambiente firmato dallo studio di architettura di Melbourne Denton Corker and Marshall, come una luminosa scheggia verde-azzurre, ricorda a chi entra di essere ancora in laguna, per giunta, nel pieno della bella stagione. Con il suo vago odore di lavagna e carta stampata, il silenzio che riempie il vuoto dolente, “Kith and Kin”, l’installazione che si è aggiudicata il Leone d’Oro per le Partecipazioni Nazionali (facendo di Moore il primo artista australiano a portare in patria il prestigioso riconoscimento), non fa sospettare una simile collocazione spazio-temporale. D’altra parte si tratta di un memoriale, opera che per definizione implica la perdita.

Ed è proprio il lutto, sotto forma di pile e pile di documenti dattiloscritti, ad invadere il campo visivo di chi entra nel Padiglione Australia. Si tratta dei rapporti redatti da vari medici legali per documentare la morte di 557 aborigeni in custodia della polizia dal 1991 ad oggi (i nomi sono cancellati). Alcuni di questi documenti fanno riferimento alla storia personale dell’artista (c’è la storia del suo prozio che uccise accidentalmente un uomo durante una lite per il magro salario e dei suoi nonni cui vennero negati dal protettore degli aborigeni i diritti di cui godevano tutti gli altri cittadini). Chili di carta che Moore ha raccolto e disposto gli uni accanto agli altri, posati su una sorta di enorme tavolo, che li innalza appena al di sopra dell’acqua intorno a loro. L’effetto non è molto dissimile (fatte le dovute distinzioni di scala) da quello del Memoriale dell’Olocausto di Berlino, il rettangolo d’acqua poi richiama alla mente pure il World Trade Center Memorial di New York. Ma il lavoro dell’artista nato nel Queensland non si limita ad essere dolente, e riflette tutta l’amarezza che i dati impietosi sulla carcerazione di indigeni australiani possono suscitare: “Siamo il 3,8% della popolazione, ma il 33% della popolazione carceraria- ha detto a The Guardian - E gli aborigeni vanno in prigione più facilmente per reati banali come gettare rifiuti o bere in pubblico”.

Le pareti e il soffitto del padiglione sono state invece interamente ricoperte da un fitto groviglio di nomi legati l’uno all’altro. Si tratta di un albero genealogico speculativo che, secondo Moore dovrebbe risalire addirittura di 65mila anni. Fino a un passato talmente remoto che ci lega gli uni agli altri: "Sto cercando di includere tutti nell'albero- ha detto, sempre nella stessa intervista- perché se torni indietro di 3.000 anni abbiamo tutti un antenato comune”. Mentre la curatrice Ellie Buttrose l’ha paragonato a una “mappa celeste”. Per costruirlo, Moore, ha fatto effettivamente ricerche d’archivio, tra i suoi parenti, all’interno della sua comunità e i gruppi di persone ad essa collegati, ma poi ha lavorato sostanzialmente sulla data in cui si pensa siano esistiti i primi australiani (pare siano uno dei popoli più antichi del mondo) e ha inserito antenati sia reali che ipotetici. “I sistemi di parentela aborigeni- ha spiegato durante la cerimonia di premiazione- includono tutti gli esseri viventi dell’ambiente in una più ampia rete di interrelazione. La terra stessa può essere un mentore, un genitore o un figlio”. Tuttavia nell’albero genealogico ci sono dei buchi che corrispondono ad epidemie, lacune nella conoscenza, massacri e disastri naturali.

Moore ha tracciato a mano con il gesso l’albero genealogico che occupa le pareti (trasformate in lavagne alte 5 metri e lunghe 60) e il soffitto del padiglione. Da solo, in un esercizio d’artigianato monumentale, in bilico tra meditazione e scoperta di se. Gli sono stati necessari mesi di lavoro per terminare.

Siamo tutti uno- ha aggiunto alla cerimonia- e condividiamo la responsabilità di prenderci cura di tutti gli esseri viventi, ora e in futuro”.

Il titolo dell’installazione “Kith and Kin” (“Amici e Parenti”) fa proprio riferimento a questo.

Classe 1970, dal carattere riservato, di madre Kamilaroi /Bigambul e padre britannico (che ha tuttavia perso prestissimo rimanendo all’interno della cerchia famigliare materna durante tutto il periodo della formazione), Archie Moore, è stato il secondo artista aborigeno a rappresentare l’Australia. Lavora spesso con materiali effimeri (come gesso e fogli di carta), rievocando la propria infanzia. Ma afferma di non farlo per nostalgia: “Se la nostalgia- ha detto alla giornalista Paris Lettau lo scorso anno- è il desiderio di tornare a un periodo precedente della vita, non credo di averla a meno che non sia per capire chi sono adesso”. In passato ha ricostruito interamente le stanze della casa di quando era bambino, per “mettere lo spettatore nei miei panni, permettergli di vivere la mia esperienza”. Con tanto di odori come quello di sapone igienizzante (la madre aveva paura che le togliessero i figli perché poco puliti, quindi li lavava continuamente). Ma ha anche lavorato con un maestro profumiere per ricreare una serie di fragranze della sua infanzia, come il profumo di grafite, quello di suo padre e delle sue zie. Rilegge poi simboli come le bandiere. La forza della sua opera, che parla spesso di razzismo ma anche della ricerca di sé stessi, sta nella capacità dell’artista di riuscire a sovrapporre perfettamente le proprie memorie con il passato collettivo ed utilizzarle per influenzare il futuro.

Kith and Kin”, lo straordinario (nonché premiato col Leone d’oro) Padiglione Australia di Archie Moore rimarrà ai Giardini per tutta la durata della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia,Stranieri-Ovunque- Foreigners Everywere” (cioè fino al 24 novembre 2024).

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Archie Moore / kith and kin 2024 / Australia Pavilion at Venice Biennale 2024 / Photographer: Andrea Rossetti / © the artist / Image courtesy of the artist and The Commercial

Under the Weather la monumentale opera d'arte pubblica di Olafur Eliasson porta a Palazzo Strozzi anamorfosi ed effetto moiré

Olafur Eliasson, Nel tuo tempo. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO studio. Courtesy: the artist and Palazzo Strozzi

Arrivando nel cortile di Palazzo Strozzi non si può non notare Under the Weather la monumentale installazione site specific ideata da Olafur Eliasson in occasione della importante mostra Olafur Eliasson: Nel tuo Tempo in corso a Firenze. L’opera è decisamente grande ma lieve. Eppure, con la sua sobria grazia, trasporta chi vi posa lo sguardo sopra in un mondo di ambiguità visiva, dove anamorfosi ed effetto moiré fanno la loro comparsa, per instillare almeno un dubbio nei pensieri del passante frettoloso.

L’universo di Olafur Eliasson è fatto di meraviglia e rigore conseguenziale, che trovano una sintesi tanto perfetta quanto inaspettata, come può esserlo soltanto quella tra arte e scienza. Ciò vale anche per Under the Weather. Composta da una grande struttura ellittica di 11 metri sospesa a 8 metri di altezza con dei tiranti, al centro del cortile rinascimentale, la scultura, non sembra incombere su chi alza gli occhi al cielo. Non gli nega la luce che filtra della grande struttura, ne la vista del cielo che incornicia l’installazione con generosi scampoli d’azzurro. Anzi, con il suo titolo sembra rendere omaggio al succedersi delle condizioni metereologiche e allo scorrere del tempo. Senza dimenticare che schermando quel rettangolo di cielo, libero al centro del palazzo, l’artista danese-islandese gli dà un certo risalto.

Ma chi guarda non ha neppure un momento per farci caso. Mentre si muove vede solo l’installazione che cambia forma ad ogni suo passo, prima ellisse poi cerchio. E sfarfallii di linee in bianco e nero

E’ l’effetto moiré. Si tratta di un fenomeno ottico che si crea quando due o più griglie (motivi simili), si sovrappongono generando un effetto di sfarfallio o interferenza visiva. Mentre a rendere fluida la forma dell’opera di Olafur Eliasson ci ha pensato l’anamorfosi.

"Il precedente più illustre di questa anamorfosi- ha scritto nel catalogo il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore, Arturo Galasino- è la pavimentazione della piazza del Campidoglio a Roma, su progetto di Michelangelo, ma l’ellisse si ritrova spesso anche a Firenze, dall’anfiteatro romano che lascia la sua traccia, come un fossile, all’interno del tessuto urbano, agli archi del Ponte Santa Trìnita, progettato da Bartolomeo Ammanati (1511-1592), che si riflettono nelle acque dell’Arno"

Olafur Eliasson crea Under the Weather per il cortile di Palazzo Strozzi con l’obbiettivo di mettere a confronto l’ambiguità e la mutevolezzala dell’opera con la rigida architettura rinascimentale dell’edificio quattrocentesco.

"L’installazione- scrive ancora Galasino- attraverso l’effetto moiré, destabilizza l’impressione della rigida architettura ortogonale di Palazzo Strozzi, mettendo in discussione la sua percezione di struttura storica stabile e immutabile. L’opera invita quindi i visitatori a muoversi e interagire con lo spazio."

In questo modo chi posa gli occhi su Under the Weather è spinto a compiere una serie di azioni: guardare verso l’alto, muoversi intorno alla scultura e prendere coscienza dei limti della propria percezione. L’esperienza in se non è fastidiosa ma leggermente destabilizzante. E molto personale: l’opera muta ad ogni passo e reagisce alla velocità del movimento di ognuno. A momenti è ipnotica.

"Cosa accade quando uno schermo ovale- ha scritto invece Olafur Eliasson- posto orizzontalmente sopra le nostre teste, crea effetti moiré che destabilizzano il nostro equilibrio (...) In breve: cosa emerge da queste trasformazioni spaziali? Spero di suscitare simili domande nei visitatori di questa mostra, poiché ritengo che una simile riflessione possa portarci a riconoscere il fatto che la nostra interazione consapevole e presente con gli spazi espositivi costituisce a tutti gli effetti una reinterpretazione attiva degli stessi."

Under the Weather di Olafur Eliasson rimarrà nel cortile di Palazzo Strozzi di Firenze per tutta la durata della mostra Olafur Eliasson: Nel tuo Tempo (fino al 22 gennaio 2023). L’installazione, ideata appositamente dal famoso artista nord europeo per la sede espositiva italiana, è un opera d’arte pubblica. Accessibile a tutti gratuitamente. Solo a chi ha il biglietto è, invece, rivolta la serie divisite guidate condotte da un educatore museale e da un fisico, intitolata appunto “Effetto Moiré”.

Olafur Eliasson, Nel tuo tempo. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO studio. Courtesy: the artist and Palazzo Strozzi

Olafur Eliasson, Nel tuo tempo. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO studio. Courtesy: the artist and Palazzo Strozzi

Olafur Eliasson, Nel tuo tempo. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO studio. Courtesy: the artist and Palazzo Strozzi

Noor Riyadh, il festival delle installazioni luminose dell'Arabia Saudita. Tra ambiente, intelligenza artificiale e droni

SpY, Earth, 2021. Image courtesy the artist. Copyright Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program.

Da oggi nella capitale dell’Arabia Saudita va in scena l’esposizione annuale di installazioni luminose Noor Riyadh. Si tratta di una mostra estesa, costituita per lo più di opere d’arte pubblica (accessibili gratuitamente), che colpisce sia per il numero di artisti chiamati a partecipare (130 tra sauditi e internazionali), che per la quantità (190 lavori) e qualità dei progetti realizzati.

Il tema su cui gli artisti sono stati chiamati a portare il loro contributo è: "We Dream of New Horizons". Gli organizzatori della manifestazione spiegano: "E' incentrato su un senso di speranza per il futuro, con connotazioni positive, ottimistiche e che riflettono una fiducia nel rinnovamento e nella trasformazione". In effetti, Noor Riyadh, non si limita a mettere in mostra installazioni luminose ma fa anche un massicio uso di nuove tecnologie come droni, intelligenza artificiale (IA o AI a seconda se si preferisca fare ricorso all’abbreviazione italiana o inglese) e realtà virtuale. Oltre a sculture effimere, percorsi d'arte e proiezioni su edifici.

Tra i punti forti della manifestazione ci sono ben 90 opere realizzate su commissione appositamente per Noor Riyadh. Tra questi The Garden of Light dello scozzese Charles Sandison, (una video proiezione che indaga l'orizzonte virtuale creatosi tra la storiae il mondo digitale). O Amplexus della peruviana-statunitense Grimanesa Amorós (una scultura di luce che avvolge e abbracciando l'architettura).

Ci sono poi due impressionanti spettacoli di droni dello statunitense Marc Brickman. Il primo si intitola The Order of Chaos: Chaos in Order e vede esibirsi nel cielo di Riyadh ben 2.000 velivoli.

Alcuni artisti, oltre a esplorare le potenzialità creative della luce, focalizzano il loro interessse sul vetro e su come può modificare la percezione dello spettatore. Lo fanno con pezzi monumentali. E come si potrebbe pensare il contrario visto che si tratta di nomi del calibro di: Larry Bell, Sabine Marcelis, Daniel Buren e Douglas Gordon.

Tra questi ultimi anche la polacco-tedesca Alicja Kwade di cui abbiamo già parlato su Artbooms, insieme ai giapponesi di Eness, al designer olandese Daan Roosegaarde e all’artista turco-statunitense Refik Anadol. Due artisti al Noor Riyadh, infine, stanno rappresentando il loro paese alla Biennale di Venezia 2022: Muhannad Shono (Arabia Saudita) e Zineb Sedira (Francia è stata anche premiata)

La manifestazione si sviluppa in tutti i luoghi d’interesse della città saudita. Ed è affiancata dalla mostra "From Spark to Spirit" al JAX 03 (nel distretto JAX) che si protrarrà fino al 4 febbraio 2023.

Noor Riyadh- ha detto direttore del programma artistico di Riyadh, architetto o Khalid Al-Hazan- è una parte importante dei piani per trasformare in modo creativo la capitale del regno in una città globale vibrante e cosmopolita, attraverso l'arte e la cultura".

Il festival della light art dell’Arabia Saudita Noor Riyadh è curato da a Hervé Mikaeloff, Dorothy Di Stefano e Jumana Ghouth. Durerà fino al prossimo 19 novembre. E va sottolineato che presenta opere di un consistente numero di donne.

United Visual Artists, Vanishing Point 3_1, 2019. Image courtesy the artist. Photo © Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program

Grimanesa Amoros, Amplexus, 2022. Image courtesy the artist. Copyright Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program.

Bruno Ribeiro, Vibrance, 2022. Image courtesy the artist. Copyright Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program

Charles Sandison, The Garden of Light, 2022. Image courtesy the artist. Copyright Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program.

Eness, Cupid’s Koi Garden, 2022. Image courtesy the artist. Copyright Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program.

Eternal, Hika-Rakuyo, 2022. Image courtesy the artist. Photo © Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program

Muhannad Shono, I See You Brightest in the Dark, 2022. Image courtesy the artist. Photo © Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program

Zineb Sedira, Dreams Have No Titles #2, 2022. Image courtesy the artist. Photo © Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program

Zahra Bundakji, The Voice of Listening, 2022. Image courtesy the artist. Copyright Noor Riyadh 2022, a Riyadh Art program