"I'm here": l'integralista riluttante di Sun Yuan & Peng Yu

Sun Yuan e Peng Yu, I am here, 2006-2010, Vetroresina, gel di silice / Fiberglass, silice gel, 200 x 130 cm, Edizione 3 di 3 / Edition 3 of 3 Collezione privata / Private collection

“I’m here” fa parte del vasto filone delle sculture iperrealiste firmate dal duo Sun Yuan e Peng Yu. Creata nell’ormai lontano 2006 è un opera più che mai attuale perchè invita a riflettere sul rapporto con il Medioriente. Rappresenta, appunto, un mediorientale, vestito con abiti tradizionali ed armato di tutto punto. L’uomo, concentrato e silenzioso, spia da un buco nel muro chi entra e chi esce.

“I’m here” di Sun Yuan & Peng Yu è stata inclusa nell’importante collettiva “Corpus Domini Dal Corpo Glorioso alle Rovine dell’Anima” (curata da Francesca Alfano Miglietti) che Palazzo Reale di Milano dedica al corpo (inteso in senso fisico e spirtuale; pensato sia come sinonimo di individuo che, per estensione, di società) accostando ad esponenti dell’Iperrealismo storico e della Body Art artisti più giovani.

Sun Yuan & Peng Yu realizzano spesso sculture iperrealiste, talvolta disturbanti, altre surreali. A un primo sguardo le opere sembrano spavaldamente provocatorie ma il loro scopo è solo quello di attirare l’attenzione spingendo chi guarda a una riflessione sull’argomento proposto. Come le loro sorelle robotiche (ad esempio “I can’t help myself” o “Dear”, entrambe esposte alla Biennale di Venzia) si prestano ad essere lette su più piani.

“I’m here” è meno criptica di altre e l’abbigliamento, con tanto di fucile d’assalto, del soggetto della scultura, fa subito pensare a una lettura politico-sociale. Ma pure qui, a ben guardare, quella psicologica non è per niente da scartare.

A Milano, come nelle precedenti installazioni dell’opera, lo spettatore entrando nella stanza non vede la scultura, ma un buco nella parete posta di fronte all’ingresso. Avvicinandosi, si rende conto che all’altro capo di quel foro c’è un occhio che lo sta spiando. E solo a quel punto, girerà intorno al muretto, per scoprire chi lo osserva con insistenza.

Ovviamente Sun Yuan & Peng Yu, spingono lo spettatore a riflettere sia sul soggetto della scultura che sulla propria reazione. E, come fanno spesso, mixano abilmente la sensazione di pericolo imminente ad un ironia asciutta, quasi crudele.

“I’m here”, però, ha una particolarità rispetto ad altre opere del duo di artisti cinesi: a seconda del luogo in cui viene esposta assume significati diversi. Com’è ovvio, infatti, un turco ci vedrà cose diverse, da un italiano, un americano, un cinese, un palestinese o un australiano.

“I’m here” di Sun Yuan & Peng Yu sarà a Palazzo Reale di Milano per tutta la durata di “Corpus Domini Dal Corpo Glorioso alle Rovine dell’Anima” (fino al 30 gennaio 2022). Un approfonndimento sulle sculture iperrealiste in mostra lo trovate qui. Altre opere di Sun Yuan e Peng Yu si possono vedere sul sito internet degli artisti o sull’account instagram della sola Peng Yu.

CorpusDomini, Foto Allestimento SunYuan&PengYu Shiota EdoardoValle

"Can't Help Myself" l'inquietante robot di Sun Yuan e Peng Yu fa impazzire TikTok

E’ boom su TikTok per l’inquietante scultura robotica di Sun Yuan & Peng Yu, “Can’t Help Myself”. Commissionata dal Guggenheim Museum al duo di artisti cinesi nel 2016 e presentata alla Biennale di Venezia nel 2019, l’opera, è diventata un fenomeno virale solo in questi giorni. A scoppio ritardato. Totalizzando milioni di visualizzazioni. Numeri degni della clip di un cantante famoso o di una star hollywoodiana

La dinamica, come spesso succede per le tendenze dei social media, è presumibile. Ma non è facile risalire all’evento che l’ha innescata, tale è la mole di materiale pubblicato sulla rete. I brevi video, spesso rimaneggiati, aggiungendo musiche, filtri e didascalie, sono tantissimi. E hanno dato il via a una discussione accesa e dai confini imprecisi. Anche geograficamente parlando. Tanto è vero che se “Can’t Help Myself” fa impazzire un’utenza prevalentemente giovane negli Stati Uniti, pure TikTok in Italia si appassiona all’argomento. Anzi in molti commenti le persone ricordano di averla vista in azione proprio a i Giardini della città lagunare.

Ma perchè l’installazione di Sun Yuan e Peng Yu è diventata così famosa a scoppio ritardato? Secondo la rete la scultura sarebbe invecchiata. Si mostrerebbe più lenta, meno sciolta nei movimenti e lascerebbe intravedere persino degli accenni di ruggine. Così in alcune brevi sequenze compare con in sottofondo una musica nostalgica o con qualche elemento che fa riferimento allo scorrere del tempo. Tuttavia in altre si esibisce con la consueta ruvida energia. E suscita commenti del tenore di: “Questo è in assoluto il mio pezzo d’arte preferito” o addirittura “Da quando l’ho vista in Biennale ne sono stata ossessionata”.

Per realizzare “Can’t Help Myself”, Sun Yuan e Peng Yu hanno lavorato con un robot industriale, sensori di riconoscimento visivo e sistemi software. Nell’opera un braccio robotico cerca instancabilmente di contenere l’espandersi di un liquido rosso e vischioso simile al sangue.

Pressochè tutte le installazioni di Sun Yuan e Peng Yu- Spiegava il catalogo della Biennale d’arte 2019- hanno lo scopo di suscitare meraviglia e tensione nel pubblico, e il gesto di guardare (talvolta sbirciare) compiuto dai singoli spettatori è un elemento costitutivo delle loro opere più recenti, che spesso prevedono la messa in scena di spettacoli che evocano un senso di minaccia”.

Infatti vista dal vivo “Can’t help Myself” lascia a bocca aperta per la forza, di cui la sensazione di pericolo è uno degli assi portanti. E malgrado gli autori, in un primo momento, abbiano scelto di sottolineare come la funzione di contenimento messa in pratica dal braccio robotico si colleghi al tema delle frontiere, l’opera ha molteplici chiavi di lettura (sociale, politica, psicologica e artistica). Ma è legata filo stretto ai concetti di automazione, intelligenza artificiale e tecnologia tout court.

Per ironia della sorte, nonostante recenti ricerche tendano a far risalire al lavoro dei bot gran parte dei fenomeni virali della rete, l’interesse degli utenti di TikTok nei confronti di “Can’t help Myself” di Sun Yuan & Peng Yu, invecchiata o meno, sembra sincero. E non poteva essere altrimenti con una scultura in grado di grattarsi e dimenare il sedere con naturalezza.

Sun Yuan and Peng Yu, Can’t Help Myself, 2016, Mixed media. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

"Allure of Matter": 26 Artisti Cinesi Contemporanei & il Fascino Discreto dei Materiali più Improbabili

Xu Bing, “1st Class” (2011), 500.000 sigarette di marca “1st Class”, adesivo spray e moquette.Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Xu Bing, “1st Class” (2011), 500.000 sigarette di marca “1st Class”, adesivo spray e moquette.Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Alcuni di loro hanno usato polvere da sparo, altri sigarette, Coca-Cola o capelli. Non c’è un materiale, anche il più improbabile, che non abbia trovato un artista cinese contemporaneo capace di padroneggiarlo fino al più alto livello di maestria.

La mostra The Allure of Matter: Material Art from China si sofferma proprio su questa caratteristica dell’arte cinese contemporanea, spingendo ad ipotizzare che sia l’importanza attribuita ai materiali utilizzati (anche i più umili) sia la capacità di farne opere monumentali, abbiano impresso una curvatura a tutto il panorama artistico internazionale.

Le opere introducono un quadro più ampio- dice il co-curatore Wu Hung- per comprendere l'arte contemporanea globale, che io chiamo 'Material Art' o caizhi yishu, in cui il materiale - piuttosto che l'immagine o lo stile - sia il veicolo fondamentale dell'espressione estetica, politica ed emotiva"

“The Allure of Matter” porta ad esempio 48 opere di 26 artisti cinesi diversi. Da Ai Weiwei (altro su di lui) a Cai Guo-Qiang (altro su di lui), da Peng Yu (altro su di lei) a Liu Wei (altro su di lui). I materiali che usano, spesso rubati alla quotidianità, stupiscono per come riescono a trasformarsi in qualcosa di diverso. E’ il caso delle 500mila sigarette di Xu Bing che si trasformano, come per magia, in un tappeto a forma di pelle di tigre. Dei capelli umani di Gu Wenda che si fanno edificio. O della carta Xuan di Zhu Jinshi che prende la forma di una maestosa e monumentale onda.

Gli artisti continuano a esplorare- spiega il sito della mostra- e sviluppare questa modalità creativa, con alcuni che hanno dedicato decenni della loro pratica a sperimentare un singolo materiale.”

La mostra si tiene allo Smart Museum e al Wrightwood 659 di Chicago (fino al 3 maggio). Poi si sposterà in altri musei degli Stati Uniti.

Zhu Jinshi, “Wave of Materials” (2007), carta Xuan, filo di cotone, bambù e pietre. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Zhu Jinshi, “Wave of Materials” (2007), carta Xuan, filo di cotone, bambù e pietre. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Xu Bing, “1st Class” (2011), 500.000 sigarette di marca “1st Class”, adesivo spray e moquette. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Xu Bing, “1st Class” (2011), 500.000 sigarette di marca “1st Class”, adesivo spray e moquette. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Ai Weiwei, “Tables at Right Angles” (1998), tavoli della dinastia Qing (1644–1911). Stockamp Tsai Collection, New York

Ai Weiwei, “Tables at Right Angles” (1998), tavoli della dinastia Qing (1644–1911). Stockamp Tsai Collection, New York

Ma Qiusha, “Wonderland: Black Square” (2016), cemento, calze di nylon, compensato, resina, ferro

Ma Qiusha, “Wonderland: Black Square” (2016), cemento, calze di nylon, compensato, resina, ferro

Liang Shaoji, “Chains: The Unbearable Lightness of Being” of Nature Series No.79 (2002–7), poliuretano, resina di pino, polvere di ferro, seta e bozzoli. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Liang Shaoji, “Chains: The Unbearable Lightness of Being” of Nature Series No.79 (2002–7), poliuretano, resina di pino, polvere di ferro, seta e bozzoli. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Liu Jianhua, “Black Flame” (2017), 8.000 pezzi in porcellana nera a forma di fiamma. Collection of the artist, courtesy of Pace Gallery. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Liu Jianhua, “Black Flame” (2017), 8.000 pezzi in porcellana nera a forma di fiamma. Collection of the artist, courtesy of Pace Gallery. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Gu Dexin, “Untitled” (1989), plastica fusa e accostata. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Gu Dexin, “Untitled” (1989), plastica fusa e accostata. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Shi Hui, “Float” (2000/2007/2013), rete metallica e pasta di carta xuan. Installation view at China Academy of Art, Hangzhou

Shi Hui, “Float” (2000/2007/2013), rete metallica e pasta di carta xuan. Installation view at China Academy of Art, Hangzhou

Gu Wenda, “United Nations: American Code” (2019), capelli umani e sintetici. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA

Gu Wenda, “United Nations: American Code” (2019), capelli umani e sintetici. Installation view at the Los Angeles County Museum of Art, image © Museum Associates/LACMA