Il museo dell’arte censurata ha inaugurato ieri a Barrcellona

“McJesus” di Jani Leinonen al Museo dell’Arte Proibita di Barcellona

Ci sono persone che tramutano in oro tutto quello che toccano. Josep Maria Benet Ferran, conosciuto come Taxto Benet, è tra questi. Il sessantaseienne catalano, infatti, dopo aver cominciato la sua carriera come semplice giornalista sportivo si è guadagnato la fama e ora è coordinatore dell’area sportiva della federazione che riunisce le tv autonome spagnole ma soprattutto condivide la gestione del Gruppo Mediapro (conglomerato che opera nell’audiovisivo con 6700 dipendenti e sedi in 36 paesi tra cui l’Italia). Uno così non poteva che cominciare una collezione d’arte per caso e scoprire di aver messo insieme qualcosa di unico al mondo.

Il Museu de l'Art Prohibit o Museo dell’Arte Proibita, che ha inaugurato ieri a Barcellona, ne è la prova tangibile. Con oltre 200 opere censurate o boicottate in vari modi su cui contare, riunisce, ad esempio, Pablo Picasso, Francisco Goya, Gustav Klimt ma anche Ai Weiwei, Robert Mapplethorpe, Andres Serrano, David Černý e Banksy (che sia come sia non manca mai). Tutto proviene dalla collezione di Benet. Ed è un unicum. Una caratteristica che nemmeno lui all’inizio aveva considerato.

Benet, infatti, comincia a collezionare solo nel 2018, un po’ per caso un po’ per sdegno, quando l’artista Santiago Sierra espone “Presos políticos en la España contemporánea”che denuncia l’esistenza della carcerazione per motivi politici nella società spagnola contemporanea. Il pezzo, composto da 24 ritratti pixelati in bianco e nero, ritrae gli indipendentisti catalani ma anche due terroristi condannati per aver fatto esplodere una bomba nella Basilica del Pilar di Saragozza, viene perciò ritirato dalla Fiera internazionale d’Arte Contemporanea di Barcellona (Arco) di quell’anno. Benet dopo quel primo acquisto comprerà altre tre opere censurate ma senza l’idea di farne il filo conduttore della sua raccolta. Questa consapevolezza arriverà solo al quarto trofeo: “Silence rouge et bleu” della russo-algerina, Zoulikha Bouabdellah (tappeti persiani da preghiera con scarpe col tacco a spillo sopra, opera ritirata per paura di proteste della comunità mussulmana). Così comincia a collezionare lavori censurati e via via che raccoglie scopre che nel mondo non esiste niente di simile. L’idea del museo nascerà di conseguenza.

Il Museu de l'Art Prohibit ha sede nello splendido palazzo Casa Garriga-Nogués (opera primo novecentesca dell’architetto, Enric Sagnier; con facciata che mixa elementi modernisti e barocchi, oltre a 2000 metri quadri calpestabili nel quartiere di Eixample). Ma non espone l’intera collezione di Taxto Benet (che in pochi anni è cresciuta a dismisura), mostrandola, invece, a rotazione in tranche di 60-70 opere alla volta. La prima tornata è composta da 70 tra dipinti, installazioni e materiale vario. Ci sono, ad esempio, alcuni “Caprichos” di Goya (incisioni con il famoso frontespizio “Il sonno della ragione genera mostri” a fine ‘700 vennero messi in vendita e poi ritirati dall’Inquisizione) o alcuni “Mao” di Andy Warhol (vietati in Cina nel 2012).

Non si può dire tuttavia che la maggior parte degli artisti esposti abbiano subito indegne persecuzioni. Lo stesso Ai Weiwei, che i suoi bravi dissapori con il Partito Comunista cinese li ha avuti eccome tanto da essere finito in carcere, è qui presente con “Filippo Strozzi in Lego” (opera, parte della serie dedicata ai dissidenti, esposta durante la mostra di Weiwei a Palazzo Strozzi di Firenze) per cui l’artista cinese si è solo visto negare una fornitura di mattoncini dalla Lego.

Alcune opere storiche furono giudicate troppo esplicite sessualmente per l’epoca in cui vennero create. Parecchio altro materiale si è attirato gli strali della Chiesa che, per varie ragioni l’ha giudicato offensivo. D’altra parte, la collezione Benet comprende il famigerato “Piss Christ” dell'americano Andres Serrano (una fotografia del 1987 di un un piccolo crocifisso di plastica immerso in un contenitore contenente l'urina dell'artista). La Madonna che si dedica all’autoerotismo della spagnola Charo Corrales e l’immagine del Cristo crocifisso sulle ali di un caccia americano, creata nel ’65 dall’argentino León Ferrari per protestare contro la guerra in Vietnam (la espose alla Biennale di Venezia e vinse il Leone d’Oro ma in spagna ha continuato a suscitare polemiche nel corso degli anni). Infine il crocifisso stile Mc Donald (appunto “McJesus” di Jani Leinonen), che si attirò gli strali dei cristiani palestinesi ad Haifa

Ad ogni modo, la collezione di Benet comprende un gran numero di lavori importanti, fatti per colpire allo stomaco il visitatore. E’ il caso della parodia dello squalo in formaldeide di Damien Hirst ad opera del ceco David Černý, che in formaldeide ha messo una scultura iperrealista di Saddam Hussein, nudo, con una corda al collo.

Ma la collezione del Museu de l'Art Prohibit conta molti altri capolavori censurati e non mancherà di far discutere per molto tempo ancora.

Il nuovo Gilder Center completa l’American Museum of Natural History di New York con l’architettura sorprendente di Jeanne Gang e vetri a prova di volo d’uccello

Kenneth C. Griffin Exploration Atrium. Photo by Alvaro Keding. All images © AMNH

Disegnato dall’interno verso l’esterno, il Gilder Center, un nuovo edificio che completa e migliora lo storico complesso dell’American Museum of Natural History di New York City, ha un’architettura meravigliosa e sorprendente. Con interni che sembrano caverne erose dal vento e scavate dal fluire e defluire delle maree, disegnati dallo Studio Gang di Chicago, ospita collezioni di ogni tipo, oltre ad una biblioteca, ad un alveare interattivo e un vivaio di farfalle.

All’esterno le linee curve delle pareti in granito rosa di Milford (lo stesso usato nell’ingresso principale del museo) incontrano le ampie finestre, spesso racchiuse in cavità irregolari e avvolgenti. Ma soprattutto il vetro è stato studiato per evitare le collisioni con gli uccellini.

Lo Studio Gang, fondato dall’architetto di Chicago Jeanne Gang, che si era già fatto notare fin dai suoi esordi per l’Aqua Tower della downtown Chicago (il palazzo oltre al magnifico design è stato l’edificio più alto del mondo progettato da una donna, superato nel 2020 dal vicino St. Regis sempre firmato dallo Studio Gang). E con il Gilder Center tocca vette di inventiva visionaria e pragmatismo progettuale. La nuova sede del museo, infatti, è una vera e propria scultura, pensata per instillare nei visitatori la voglia di esplorare l’edificio e la collezione. Oltre a proiettarsi e giocare con il verde del parco antistante in maniera armoniosa. Ma soprattutto, la sede museale corregge dei problemi di comunicazione tra i vari edifici (ne collega ben 10 tra loro, stabilendo dozzine di nuovi percorsi), che costituiscono il campus del museo e rende più facile alle persone spostarsi da una parte all’altra. Cosa non da poco sulle distanze del complesso che costituisce l’American Museum of Natural History (riempie 4 isolati e comprende più di 25 edifici accumulatisi in oltre 150 anni).

Del resto, il solo Gilder Center si estende su 5 piani e occupa più di 70mila metri quadri di superficie. Con ampie sale espositive, una biblioteca dal design particolare (l’effetto è quello di consultare libri sotto un enorme fungo), un teatro e un luminoso atrio. Oltre a percorsi curvilinei sempre nuovi.

L'architettura- ha detto Jeanne Gang- attinge al desiderio di esplorazione e scoperta che è così emblematico della scienza e anche una parte così importante dell'essere umano".

E all’interno del Gilder Center da esplorare c’è parecchio. Tanto per cominciare, la bellezza di circa 4 milioni di fossili, scheletri e altri oggetti. Le immancabili attrazioni didattiche interattive (qui, tra l’altro, c’è un enorme alveare digitale). Un lnsettario, che conta una dozzina di specie d’insetti vivi e “una delle più grandi esposizioni al mondo di formiche tagliafoglie vive- scrive il museo- con un'area di foraggiamento, un ponte sospeso trasparente e un giardino di funghi dove puoi osservare come questa colonia di formiche lavora insieme come un ‘superorganismo’”. Ma soprattutto il vivaio delle farfalle, con le piante esotiche e il microclima tropicale che ospita mille insetti dalle ali multicolore. 80 specie di farfalle diurne e un ambiente a parte per le falene (tra cui la falena atlante, uno dei più grandi insetti del pianeta). Più una nursery con bruchi e crisalidi.

Il Gilder Center è stato realizzato con calcestruzzo proiettato, una tecnica usata di solito per le infrastrutture in cui il calcestruzzo viene spruzzato direttamente sulle armature (modellate digitalmente e piegate su misura).

Le vetrate, invece, sono in fritted glass, un materiale poroso, translucido che tende a non abbagliare e riduce i costi energetici. Ma soprattutto un tipo di vetro che gli uccelli dovrebbero individuare riducendo drasticamente la possibilità che si uccidano sbattendoci contro in volo.

The Gilder Center. Photo by Iwan Baan

The Kenneth C. Griffin Exploration Atrium. Photo by Iwan Baan

Il secondo piano della Louis V. Gerstner, Jr. Collections Core. Photo by Iwan Baan

Collegamenti al ponte del quarto piano. Photo by Iwan Baan

The Hive nello Susan and Peter J. Solomon Family Insectarium. Photo by Alvaro Keding

Un punto di  osservzione delle farfalle nello Davis Family Butterfly Vivarium. Photo by Denis Finnin

Raffinati, alieni e misteriosi i musei della serie Liechtenstein di Candida Höfer

Candida Höfer, Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz VII 2021. C-Print, 184x254 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

La serie di fotografie Liechtensten di Candida Höfer, si muove nel solco dello stile che le ha dato la fama. C’è la cura maniacale per i dettagli, il formato solitamente grande delle immagini stampate, il rigore inflessibile dell’inquadratura, l’assenza di esseri umani al centro di un architettura che negli occhi dell’artista tedesca diventa quasi viva. Sempre affascinante, a volte bellissima ma anche misteriosa ed inquietante.

Liechtensten è stata realizzata nel 2021. Si tratta di una ventina di foto, che Höfer ha scattato nei musei pubblici e privati in giro per il Principato del Liechtenstein, in previsione dell’ esposizione attualmente in corso al Museo d'arte del Liechtenstein e alla Hilti Art Foundation. Entrambe le sedi si trovano a Vaduz (capitale del piccolo stato europeo) e ospitano importanti collezioni di arte moderna e contemporanea che sono state accostate al lavoro dell’artista di Colonia per creare un dialogo.

I curatori sono partiti, quando da una singola immagine quando da un gruppo di lavori di Höfer, selezionando dipinti e sculture storicizzate, per mettere in evidenza similitudini, assonanze e divergenze (la sesta e la setttima foto in basso, per esempio, mostrano quanti eco si possono sentire semplicemente accostando HAF Kunstdepot Triesen di Höfer a Copia dal vero dipinta da Giulio Paolini nel ‘76). L’ampia estensione dello spazio espositivo ha fatto il resto (in tutto ben milleseicento metri quadri divisi tra il Museo d’Arte e la Hilti Foundation).

"Höfer si concentra sull'infrastruttura dell'arte- spiegano i curatori Christiane Meyer-Stoll, Uwe Wieczorek e l'italiana Letizia Ragaglia- presentando non solo situazioni all'aperto, ma anche aree di stoccaggio, soffitti luminosi, montacarichi e scale. Dopotutto, cosa sarebbe una collezione museale senza deposito o una mostra senza illuminazione? Ha anche fotografato il negozio fuori sede della Biblioteca Nazionale del Liechtenstein. Il suo modo di guardare ci permette di rivivere luoghi e spazi e di percepirli in modo più consapevole. Le fotografie di Höfer danno il tono a noi, come curatori. Sono il punto di partenza e l'ispirazione per dialogare con entrambe le collezioni, che offrono un patrimonio di affascinanti e sorprendenti affinità".

Nata a Eberswalde nel ‘44, Candida Höfer, ha uno stile consolidato e la serie Liechtensten non è il suo primo gruppo di immagini site-specific (era già successo per esempio a Brussels e Düsseldorf). Al centro dei suoi scatti scorci architettonici sia d’interni che esterni. Il rigore inflessibile delle composizioni e l’importanza attribuita alla luce in immagini altrimenti minimali, danno concretezza al precario e riempiono il vuoto. A lei interessa l’influsso che gli edifici dedicati alla fruizione della cultura hanno sulle persone che li visitano. Per questo la presenza umana nella sua opera è bandita.

"... mi è apparso chiaro- ha detto tempo fa- che ciò che le persone fanno in questi spazi (e ciò che questi spazi fanno loro) è più chiaro quando nessuno è presente, proprio come un ospite assente è spesso oggetto di conversazione”.

La serie Liechtensten è composta da scatti di esterni ed interni. L’artista, qui come in altre occasioni. fotografa anche parti dei musei inacessibili al pubblico e oggetti alieni a chi non vi lavori. Come le casse climatizzate per trasportare le opere d’arte più delicate (nella seconda immagine in basso). Höfer, in questo caso, ci da informazioni specifiche e allude ai processi di cura che la comunità mette in atto per preservare la memoria colletiva.

La nuova serie di fotografie di Candida Höfer rimarrà nelle sale del Museo d'arte del Liechtenstein e della Hilti Art Foundation fino al 10 aprile 2023. La mostra si intitola semplicemente Candida Höfer: Liechtenstein, ed è un evento importante per il Principato dell’Europa centrale, che in occasione dell’inaugurazione della Biennale di Venezia (in cui non ha un padiglione nazionale) l’ha presentata tra le principali novità della sua programmazione espositiva.

Candida Höfer, Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz V 2021. C-Print, 184x209 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, HAF Kistenlager Schaan I 2021. C-Print, 184x149 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, Passage Vaduz I 2021. C-Print, 184x171,8 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz I 2021. C-Print, 184x141,5 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, Kunstdepot Schaanwald I 2021. C-Print, 184x150 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Candida Höfer, HAF Kunstdepot Triesen I 2021. C-Print, 184x246 cm © Candida Höfer, Cologne / 2022 Pro Litteris, Zürich

Giulio Paolini, Copia dal vero [Copy from Life], 1976. Pencil on canvas, wood, four parts, overall dimensions: 60,2 x 120,5 x 2 cm. Kunstmuseum Liechtenstein Vaduz © Giulio Paolini

Installation view, Candida Hoefer: Liechtenstein. Foto Sandra Maier