Con "Monumento" Edoardo Tresoldi celebra i valori della contemporaneità in Piazza San Marco

Edoardo Tresoldi, Monumento, Procuratie Vecchie (Venezia). Tutte le immagini di © Roberto Conte

L’artista di origine milanese, Edoardo Tresoldi, ha recentemente inaugurato l’installazione permanente “Monumento” in una location d’eccezione: uno dei palazzi che compongono le Procuratie Vecchie di Piazza San Marco a Venezia.

La location è stata oggetto di un importante intervento di restauro (eseguito dallo studio David Chipperfield Architects di Milano). In occasione della sua riapertura alla città e ai tanti turisti che affollano la laguna, le Procuratie Vecchie, hanno svelato anche l’opera di Tresoldi. Lamiera metallica, come al solito, ma anche altri materiali, sempre a servizio di una solidità abbozzata, quasi sognata, che si contende la scena con la trasparenza.

Il soggetto della scultura è una colonna. Un elemento dell’architettura classica che viene reinventato e da celebrativo si fa incerto persino bifronte. Tresoldi ama giocare con l’architettura del passato remoto, che a prima vista appare quasi come un’età dell’oro degli edifici, per poi svelare la sua vera natura. All’artista, infatti, interessano la solidità di quest’ultima (che può contrapporre alla leggerezza della sua scultora) e il simbolismo.

"La storia dei popoli- ha detto- è quella di un flusso ereditario di figure retoriche che si ripetono continuamente in cicli; ridefiniscono i propri significati e stabiliscono simbolismi che non solo abbiamo imparato a leggere ma che, generazione dopo generazione, abbiamo assorbito come una sorta di linguaggio latente dell'inconscio collettivo. Quando, quindi, un monumento viene spogliato del proprio simbolismo, ciò che resta è un canto lirico virtuoso e malinconico".

Insomma, Tresoldi prende l’architettura del passato la spoglia della sua arroganza pomposa e la restituisce alla sguardo attualizzata. Incerta ma anche sensibile. Al passo con i tempi. Non a caso “Monumento” (dove il titolo svela il fine dell’artista) ripensa ai concetti di forza e fragilità.

"Con Monumento- aggiunge- ho usato il linguaggio retorico delle colonne monumentali come riflessione sui nostri tempi e sulla retorica sottesa ai valori a cui aspira la nostra società; una società che conferma la necessità di ridefinire il concetto di forza, di riconsiderare il ruolo della fragilità e che pone l'ascolto e il dialogo al centro delle relazioni interculturali".

La immagini di “Monumento” di Edoardo Tresoldi, come quelle di tutte le opere dell’artista (per esempio, l’installazione di Abu Dahabi o, più recentemente, quella di Villa Borghese a Roma), sono state pubblicate sul suo sito internet e sul suo account instagram. Ma essendo alle Procuratie Vecchie, in piena Piazza San Marco, andando a Venezia per la Biennale Arte 2022 sarà quasi inevitabile non vedere l’opera dal vivo.

Biennale di Venezia 2022| We Walked the Earth: la scultura iperrealista di Uffe Isolotto ritrae la tragedia di una famiglia di centauri al Padiglione Danimarca

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Interno giorno: ci accoglie una bella casa, dalla porta rossa, che conduce direttamente ad un atrio di marmo rosa in cui appendere gli abiti. Ma le stanze non sono altrettanto accoglienti, somigliano più a una stalla, perchè la giovane coppia che vi abita è composta da centauti. Strano presupposto, è vero, ma niente di male se i due vivessero d’amore e d’accordo. Invece, la signora centauro sta dando alla luce un piccolo e il suo compagno anzichè gioire del lieto evento si è impiccato nella stanza accanto.

Questa è in sintesi la storia raccontata dall’installazione “We Walked the Earth”, in scena al Padiglione Danimarca, durante la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, “Il Latte dei Sogni”. A raccontarcela con una scultura iperrealista al limite del maniacale, è l’artista di Copenhagen, Uffe Isolotto.

E, come favola nera che si rispetti, è densa di mistero. Particolari che l’occhio del visitatore coglie pian-piano. Oggetti strani, distorti, come fossero usciti da un’esperienza di realtà virturale, il volto segnato di lei, la strana creatura che nasce, fino al suicidio di lui. Passando dalla calma, all’apprensione, fino allo sgomento. E trovarsi catapultati da un passato idilliaco, mitico, ad un futuro distopico.

Ho trasformato l'intero Padiglione- ha spiegato Uffe isolotto- Quando i visitatori entreranno, incontreranno un'apparentemente idilliaca fattoria danese, dove troveranno un inquietante dramma di vita e di morte. C'è una profonda incertezza nel capire cosa sia successo ai centauri e al mondo in cui vivono".

Tutto è stato costruito con una cura degna delle grandi produzioni cinematografiche. La porta è quella di una fattoria tradizionale danese. All'interno del padiglione, mucchi di zostera marina, un tempo comunemente usata per costruire i tetti delle fattorie sull'isola di Læsø. E attrezzi che ricordano quelli comunemente usati nell’agricoltura e nella pesca dello stato scandinavo. Oltre, naturalmente ai personaggi.

Per farlo Isolotto ha lavorato con un collettivo di specialisti. Oltre che con il curatore del padiglione, Jacob Lillemose. Che ha detto: "Sempre più persone in Danimarca si trasferiscono in campagna per vivere una vita più semplice e autosufficiente. Allo stesso tempo, i media, i politici e le imprese capitalistiche celebrano quotidianamente le promesse delle nuove tecnologie. In questo contesto, We Walked the Earth ci interroga se dobbiamo guardare indietro o avanti per trovare soluzioni ai problemi del mondo".

Gli elementi dell’installazione e le sculture sono stati disposti con attenzione per permettere allo spettatore di scoprire pian piano nuovi particolari che gli permettano di svelare il mistero: i centauri cui si trova davanti non sono esseri mitici ma creature mutanti. In questo senso l’opera di Isolotto ci ammonisce.

"Anche se i centauri potrebbero non essere reali- ha continuato l'artista- percepiamo la loro lotta. Il tempo presente in cui viviamo sta diventando sempre più complesso e imprevedibile nel modo in cui affrontiamo molte realtà impegnative, siano esse ecologiche, politiche o esistenziali. C'è al tempo stesso molta speranza e disperazione nell'aria, e voglio rendere questa percezione in una realtà fisica attraverso questa installazione".

We Walked the Earth” è al tempo stesso un racconto fantascientifico, un’allucinazione tridimensionale, una favola nera e un dramma in senso più ampio come ha dichiarato lo stesso Isolotto: "Attinge anche dalle esperienze della mia vita personale che in senso metaforico risuonano nei sentimenti e pensieri più universali sulla vita e la morte".

il racconto visivo “We Walked the Earth”, retto dalla calibratissima scultura iperrealista di Uffe Isolotto, riempirà il Padiglione Danimarca ai Giardini della Biennnale di Venezia, per tutta la durata della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte (fino al 27 novembre 2022).

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

La fotografia dell'800 in Svizzera, tra paesaggi ritratti e documentazione di eventi storici

Adolphe Braun, Il ghiacciaio del Rodano, 1864 Albumina ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

Nel 1839 a Parigi nasce ufficialmente la Fotografia. Da quel momento in avanti la sua diffusione sarà rapida in tutto il vecchio e nuovo continente. E a contribuire in modo determiante a questo processo inarrestabile saranno i fotografi itineranti che con le loro pesanti macchine fotografiche si fermeranno anche nei più remoti villaggi, in pianura come in montagna, per scattare ritratti. Era il tempo dei dagherrotipi, sviluppati su lastra di rame, unici, e non riproducibili, da guardare da una determinata angolazione per cogliere l’immagine nella sua pienezza ma anche dotati di una nitidezza d’immagine e di una resa della realtà quasi tridimensionale.

E’ da quel periodo che prende le mosse la mostra “ Dal Vero Fotografia svizzera del XIX secolo” (curata da Martin Gasser e Sylvie Henguely), in corso al Museo d’arte della Svizzera italiana (MASI) di Lugano. L’esposizione, che raccoglie 400 fotografie provenienti da 60 collezioni pubbliche e private, è, infatti, un’indagine approfondita sulla fotografia nel paese d’oltralpe dalla sua comparsa fino all’ultimo decennio dell’800. Una cinquantina d’anni, imprevedibilmente ricchi di trasformazioni che le immagini documentano.

Considerati un’alternativa economica al ritratto pittorico, gli scatti fotografici, in poco tempo supporteranno l’industria turistica in espansione, contribuiranno a sviluppare un senso d’identià nella popolazione, congeleranno le scoperte scientifiche, la nascita di nuove infrastrutture e gli eventi storici.

“All’epoca, la gente non riusciva a capacitarsi che queste immagini erano vere e proprie riproduzioni della realtà e che l’artista non avesse modo di lustrarle o abbellirle a piacimento.” scriveva già nel 1865 la rivista di Berna “Illustrirter Volks-Novellist”. In poche parole le persone rimanevano spiazzate e spesso contrariate dall’impossibilità di alterare in qualche modo l’apparenza con la fotografia come si sarebbe fatto dipingendo. Ed è per questo che gli scambi tra foto e pittura nell’800 furono innumerevoli. Si coloravano e ornavano le stampe, si creavano degli sfondi (anche drettamente sul negativo) ma non solo: alcuni artisti producevano modelli fotografici per le proprie opere come promemoria o per evitare di dover realizzare schizzi dal vivo (è il caso per esempio del pittore e incisore svizzero Karl Stauffer-Bern).

La mostra è piuttosto esaustiva e arriva fino a delineare le origini delle foto segnaletiche o dei moderni documenti d’identità. “ Dal Vero Fotografia svizzera del XIX secolo” rimarrà al MASI di Lugano fino al 3 luglio 2022, dove è ancora in corso anche l’importante mostra dedicata a James Barnor.

Traugott Richard, Costume bernese, dalla serie «Costumes Suisses» 1883 c. Albumina, dipinta Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Francis Frith, La cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen, 1863 c. Albumina ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

Carl Taeschler-Signer, Soldati francesi internati nella chiesa di St.Mangen, San Gallo, 1871 Albumina Stadtarchiv der Ortsbürgergemeinde St. Gallen

Jean Geiser, Donna velata, Algeri, 1870 c. Albumina Thomas Walther Collection

Adolphe Braun, Costruzione della ferrovia del Gottardo, ingresso del tunnel a Airolo, 1881-1882 Albumina Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Gebrüder Taeschler, Ritratto di bambina, San Gallo, 1873 c. Stampa al carbone Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Bulacher & Kling, Disastro ferroviario a M[ü]nchenstein, 1891 Albumina H. R. Gabathuler, Photobibliothek.ch, Diessenhofen

Anonimo, L’aspirante missionario David Asante 1862 c. Ambrotipia Archiv der Basler Mission

John Ruskin e John Hobbs, Il Cervino e il riflesso nel lago alpino. 8 agosto 1849 Dagherrotipo Courtesy of K & J Jacobson, UK