Ernst Scheidegger il fotografo che ritrasse le intramontabili star dell’arte

Ernst Scheidegger Salvador Dali nel suo atelier a Portlligat ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Ernst Scheidegger nato nel ’23 a Rorschach (una cittadina della Svizzera tedesca sul Lago di Costanza) e mancato nel 2016 a Zurigo è stato un pittore, un grafico, un editore e occasionalmente anche un regista ma soprattutto un importante fotografo. Uno dei primi reclutati dalla leggendaria agenzia Magum Photos (insieme a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger), assistente di Werner Bischof, ha viaggiato, congelato l’Europa postbellica nelle sue immagini oltre ad aver frequentato e fotografato tutti i maggiori artisti attivi a Parigi a cavallo della prima metà del secolo scorso. Pittori famosi come divi di Hollywood e architetti noti più delle rock star. Tra loro: Hans Arp, Max Bill, Marc Chagall, Salvador Dalí, Max Ernst, Oskar Kokoschka, Le Corbusier, Fernand Léger, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Sophie Taeuber-Arp ma soprattutto Alberto Gicometti (di cui il fotografo era amico fraterno). Da domenica prossima il Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano (Masi) celebrerà Ernst Scheidegger con una grande mostra, intitolata “Faccia a Faccia”, che, oltre a mettere a confronto i suoi ritratti con le opere dei pittori che ha immortalato, presenta un importante corpo di scatti giovanili, talvolta inediti.

Scheidegger, infatti, al termine della Seconda guerra mondiale, si spostò tra Svizzera, Italia, Paesi Bassi, Jugoslavia e Cecoslovacchia, armato di una macchina Rolleiflex e scattò numerose fotografie. Tutte immagini personali, in bianco e nero, in cui compaiono le devastazioni del conflitto (i cantieri navali abbandonati, i volti dei bambini degli orfanotrofi e delle carceri minorili) ma soprattutto la voglia di ricominciare della popolazione (il luna park, le fiere, i sorrisi e i momenti di svago). Durante questo periodo (che gli scatti in mostra circoscrivono, per necessità e comodità, tra il ’45 e il ’55) al fotografo svizzero interessano le persone e la vita quotidiana, che restituisce in modo poetico e con grande attenzione al sociale.

“(La sua opera giovanile ndr) racchiude- ha scritto il curatore della mostra e direttore del museo, Tobia Bezzola- molti temi classici dei neorealismi fotografici e cinematografici del secondo dopoguerra: il riverbero delle luci di scena sui volti degli artisti e dei clown di un circo, le emozioni a buon mercato della fiera e del luna park, la rumorosa vita popolare che anima le strade dell’Europa del Sud, i bambini di strada, l’Esercito della salvezza, le sagre, le manifestazioni dei lavoratori”.

Ma a rendere celebre Scheidegger saranno i ritratti, scattati per piacere ma soprattutto per lavoro (riviste di settore o progetti editoriali), ad alcuni tra gli artisti più famosi del mondo. Da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Bill a Marc Chagall, Scheidegger, li fotografa tutti, privilegiando una prospettiva frontale, con stile pulito ma senza cercare la perfezione della messa a fuoco, gli interessa di più la luce ma prima di ogni altra cosa gli sta a cuore riprendere gli artisti in quanto tali, facendone emergere il processo creativo. Ci sono i colori, i pennelli e i quadri o le sculture, a parte l’autore. Certo questo non impedisce a Scheidegger di far filtrare i sentimenti che prova per le persone che stanno di fronte al proprio obbiettivo: se Salvador Dalí sembra sorpreso con ironia giocosa e simpatia, nei ritratti di Le Corbusier e Cuno Amiet c’è distanza, mentre per commemorare Sophie Tauber Arp, prematuramente scomparsa, Scheidegger ne immortalata lo studio vuoto.

Le fotografie di questo importante capitolo della mostra al MASI sono poste a confronto con le opere degli artisti ritratti (Cuno Amiet, Hans Arp, Max Bill, Serge Brignoni, Marc Chagall, Eduardo Chillida, Salvador Dalí, Max Ernst, Alberto Giacometti, Fritz Glarner, Oskar Kokoschka, František Kupka, Henri Laurens, Le Corbusier, Fernand Léger, Verena Loewensberg, Richard Paul Lohse, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Ernst Morgenthaler, Germaine Richier, Sophie Taeuber-Arp, Georges Vantongerloo). Tra queste ultime c’è anche un ritratto del fotografo svizzero dipinto da Aberto Giacometti, che Scheidegger teneva in caso e di cui avrebbe detto “non lo venderei per niente al mondo”.

L’amicizia con Giacometti costituisce un capitolo a parte della mostra, visto che i due si erano conosciuti in Svizzera quando il fotografo era poco più che ventenne e che il loro rapporto, da allora, non si sarebbe mai interrotto: “Avevo poco piü di vent'anni- racconterà in un intervista rilasciata qualche anno fa alla giornalista Anna Maria Nunzi- ero stazionato in Bregaglia per il servizio militare. Avevo appena finito l'apprendistato di grafico. Disegnavo molto e un giorno la proprietaria dell'albergo dov'ero alloggiato mi disse: «Anche qui vicino c'e un pazzo che disegna molto, perche non va a trovarlo?». Fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di Alberto Giacometti, comunque mi decisi di visitare il suo atelier. (…) Rimasi subito colpito ed affascinato. (…) Alberto era sommerso nel suo lavoro, dapprima non mi ha neppure degnato di uno sguardo, pensava infatti che fossi un soldato che stava compiendo un giro di ricognizione. Poi quando si e accorto che ero li per lui, mi ha rivolto la parola, abbiamo dunque iniziato a parlare. Ci siamo subito capiti, e quando potevo, andavo a trovarlo nel suo atelier”. Sarà Giacometti, al suo arrivo a Parigi qualche anno più tardi, ad aprirgli le porte del mondo dell’avanguardia artistica francese (“Quanto arrivai a Parigi l'unico indirizzo che avevo era quello di Alberto (…)”).

Non a caso domenica, in occasione dell’inaugurazione della mostra, al Masi di Lugano verrà anche presentato un volume di lettere scelte spedite da Alberto Giacometti alla famiglia in Val Bregaglia (“Il tempo passa troppo presto. Lettere alla famiglia” di Casimiro Di Crescenzo; l’autore del volume e il direttore del Masi Tobia Bezzola alle 11)

Organizzata in collaborazione con il Kunsthaus Zürich e la Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, “Faccia a faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall. Omaggio a Ernst Scheidegger” (a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi), sarà al Masi di Lugano dal 18 febbraio al 21 luglio 2024. L’opera di Ernst Scheidegger, online, si può in parte anche ammirare sul sito della fondazione e archivio a lui dedicata.

Ernst Scheidegger Max Bill insegna teoria delle forme alla Scuola di arti applicate di Zurigo ca.1946 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger, Alberto Giacometti dipinge Isaku Yanaihara nel suo studio parigino 1959 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; works Alberto Giacometti © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris

Alberto Giacometti Ritratto Ernst Scheidegger ca. 1959 Olio su tela Kunsthaus Zurich, 2017 © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger FritZ Glarner nel suo atelier di Parigi ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Hans Arp nel suo atelier di Meudon, Parigi ca. 1956 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Salvador DaIi La tour 1936  Olio su tela Kunsthaus Zürich, 2017 © Salvador Dalí, Fundació GaIa-Salvador Dalí/ 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Uomo con palloncini probabilmente fine anni Quaranta © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger  Uomo con bambina, Valle Verzasca ca. ca 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger Allieva della scuola di danza di Madame Rousanne, Parigi ca.1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Sophie Tauber Arp Geometrico e ondeggiante 1941 Matita colorata e grafite su carta Museo d'arte della Svizzera italiana, Collezione Cantone Ticino

Da luglio la grande pittura di Yan Pei-Ming a Palazzo Strozzi (dopo un anno da record)

Les Funérailles de Monna Lisa, 2009-2018. Ph: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Con 340mila visitatori e ricadute economiche sul territorio che si stimano intorno ai 114milioni di euro, il 2022 di Palazzo Strozzi è stato un anno da record. Quasi interamente dedicato al contemporaneo. Il 2023, invece, è appena iniziato. E sarà completamente all’insegna della contemporaneità. Infatti, mentre “Reaching for the Stars” (l’esposizione che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino a Firenze con un’importante selezione di opere) si avvia alla conclusione (il 18 giugno), nella sede espositiva fiorentina ci si prepara già ad inaugurare “Pittore di storie” (dal 7 luglio) dedicata al cino-francese Yan Pei-Ming.

Una mostra che rompe il consueto copione espositivo dello spazio fiorentino, dove l’estate è più spesso dedicata all’arte del passato (l’anno scorso, ad esempio, nelle sale del Piano Nobile è stata allestita “Donatello, il Rinascimento”, che sarebbe stata poi premiata come migliore esposizione dell'anno 2022 dall'Apollo Magazine). Ma lo fa mantenendosi nel solco della grande tradizione pittorica. Di più: di quella che si nutre di un costante dialogo coi classici antichi e moderni.

Il sessantatreenne nato in Cina e naturalizzato francese, Yan Pei-Ming, infatti, non è solo un fuoriclasse di colori e pennelli ma anche un artista capace di costruire il proprio successo sulla base di una pratica costante e sempre più impegnativa del mestiere. Oltre che su un confronto quasi viscerale con la tradizione pittorica occidentale (da alcuni anni a questa parte, Pei-Ming, ha cominciato a rileggere pure quella orientale). Conosciuta in giovane età, in tempi in cui, per un artista cinese si trattava contemporaneamente di un privilegio e di una trasgressione.

Nato a Shanghai da una famiglia povera (parlando della mandre che lo aveva sempre supportato, raccontò, che lei, una volta, chiese a tutta la famiglia di mangiare in piedi per una settimana, permettendogli di usare il tavolo come scrivania, visto che in casa non avevano nient’altro),Yan Pei-Ming, cresce nel periodo della Rivoluzione Culturale maoista. Imparerà a dipingere alle lezioni di propaganda della scuola e a 14 anni creerà uno “studio di propaganda” nel tempo libero. Ma il suo sogno andrà presto in frantumi, quando la domanda per l'ammissione alla Shanghai Art & Design School gli verrà rifiutata a causa della balbuzie.

Nell’80 scappa in Francia, dove si iscriverà all’École des Beaux-Arts de Dijon e comincerà a studiare i classici occidentali. Oggi si definisce un’artista senza una precisa nazionalità, anche se dice di essere grato alla Francia per la possibilità offertagli e continua a vivere a Digione.

In effetti, Yan Pei-Ming, può ben essere riconoscente alla Francia, che gli ha dedicato una mostra negli esclusivi Musée d'Orsay, Musée Courbet e Musée du Louvre, oltre a conservare la sua opera al Centre Georges Pompidou e al Musée des beaux-arts di Digione. E ad avergli attribuito un ruolo nella così detta “diplomazia culturale francese” (ha, ad esempio, accompagnato, insieme ad altri membri dell’intellighenzia d’oltralpe, il presidente Emmanuel Macron nella visita di Stato a Shanghai del 2023).

Pur essendo molto noto soprattutto in Francia, Pei-Ming, è famoso un po’ in tutta Europa e ha ricostruito un buon rapporto anche con la sua patria d’origine. Mentre è meno conosciuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Con l’Italia, poi, ha una relazione particolarmente stretta, visto che già nel 2016 ha tenuto una mostra a Villa Medici (Roma) ed è rappresentato dalla galleria del milanese Massimo De Carlo.

Celebri i suoi ritratti (oltre a quelli di Mao, ne ha fatti di Barack Obama, Bruce Lee, Bashar al-Assad, Marylin Monroe e tanti altri), che realizza sulla base di immagini preesistenti (compertine di giornali ma anche fotogrammi di film). Yan Pei-Ming, tuttavia, ha rivisitato in chiave contemporanea anche altri geneneri, come il paesaggio, la natura morta, la pittura storica o religiosa. Oltre all’autoritratto per cui ha sempre avuto un debole.

Usa una tavolozza semplificata (lavora molto in bianco e nero, o usando solo sfumature di rosso) con tratto vigoroso e materico. Spesso sceglie formati enormi. Da quando, agli albori della sua carriera, visitò l’Olanda e si mise a contare ossessivamente le pennellate nei dipinti di Van Gogh, Pei Ming, dipinge anche con un numero minimo di segni, a prescindere dalle dimensioni della tela. Per questo usa pennelli larghissimi (dai 50 agli oltre 120 cm).

Ha l’abitudine di fondere il racconto personale con quello collettivo, di piegare la rappresentazione della Storia alle storie delle persone. Nella sua opera, infine, ritornano constantemente il tema della morte e quello della memoria.

Yan Pei-Ming. Pittore di storie” è  parte del progetto Palazzo Strozzi Future Art, sviluppato con la Fondazione Hillary Merkus Recordati. A cura di Arturo Galansino conterà oltre 30 opere di Yan Pei-Ming.

Chien hurlant, 2022. Ph: Clérin-Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Tutte le Biennali di Venezia e i ritratti degli artisti fotografati in bianco e nero da Ugo Mulas

Ugo Mulas. Joan Miró, Museo Poldi Pezzoli, Milano, 1963 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Senza mancare mai una Biennale di Venezia, il fotografo Ugo Mulas, cristallizzò e interpretò la scena artistica internazionale di un’epoca. Le Stanze della Fotografia, un nuovo spazio espositivo sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia (nato dalla collaborazione di Marsilio Arte e Fondazione Cini) gli dedica la grande mostra, "Ugo Mulas. L’operazione fotografica". Una delle più complete fino ad oggi.

Realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas, l’esposizione, conta 296 opere, tra le quali 30 immagini mai esposte prima  d'ora. Inoltre, sempre per la prima volta vengono presentati al pubblico tantissimi ritratti di artisti e intellettuali (alcuni inediti), tra cui:  Alexander Calder, Carla Fracci, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Arnaldo Pomodoro e George Segal,

ll primo incarico come fotografo di Ugo Mulas fu quello di documentare la Biennale di Venezia del ‘54. Da allora, fino alla sua prematura scomparsa nel ‘73, non mancò mai visitarla. Anzi, inventò un modo di raccontarla. In seguito disse: "Fotografavo senza nessuna intenzione di capire cosa stava accadendo, e accadeva sempre qualcosa. Allora si credeva molto a questi avvenimenti, sia io come fotografo che gli artisti stessi che il giro che sta intorno agli artisti, prendevamo sul serio la Biennale in un modo molto genuino, come una gran festa per tutti: il piacere di andare a Venezia, che non era indifferente, il piacere di incontrare gente nuova, di vedere cose nuove, di assistere a qualcosa di veramente importante. Il mio lavoro consisteva nel cercare di dare un’idea di questa festa. (…)"

Proprio lì, nel ‘64, conobbe la Pop Art e il gallerista Leo Castelli, che gli avrebbe permesso di ritrarre il fermento della scena artistica americana di quegli anni e tutti i suoi grandi protagonisti (Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Frank Stella, Kenneth Noland e naturalmente Andy Warhol). Caro amico dello scultore statunitense Alexander Calder, fortografò tutti gli artisti della sua epoca (da un Duchamp oramai anziano a un non più giovane Mirò, fino a Lucio Fontana, Christo e Louise Nevelson). Non sfuggirono al suo obbiettivo neppure intellettuali, poeti, scrittori, stilisti, attori e imprenditori, ma per le arti visive aveva un debole

Forse perchè fu a sua volta un artista.

"Gli occhi- ha scritto nel '73- questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre di più con gli occhi degli altri. Potrebbe essere anche un vantaggio ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione."

Lui lo faceva, come dimostra la serie “Verifiche” (1968-’72), in cui Mulas si interroga sulla fotografia. Queste opere aprono la mostra, il cui titolo prende spunto proprio da una di loro. Si tratta di "L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander", in cui l’artista compare su un piccolo specchio con il volto coperto dalla macchina fotografica, mentre la sua ombra fa da sfondo. La composizione, solida e semplice, sorregge il filo della riflessione di Mulas, che ci dice che la fotografia non può essere asettica o imparziale, ma è anzi un gioco di sguardi, visioni e volontà, tra il soggetto, l’autore e l’osservatore.

Ancora più interessante, è il modo in cui il fotografo originario di Pozzolengo (Brescia), decise di dare forma all’immagine di Marcel Duchamp prima e di Lucio Fontana al lavoro nel suo studio, poi. D’altra parte, Mulas, ammirava Duchamp e lo considerava (insieme a Man Ray) uno spartiacque nell’arte del ‘900. E con Fontana aveva lavorato spesso. "Le fotografie di Duchamp – spiegò Mulas – vorrebbero essere qualcosa di più di una serie di ritratti più o meno riusciti, sono anzi il tentativo di rendere visivamente l'atteggiamento mentale di Duchamp rispetto alla propria opera, atteggiamento che si concretizzò in anni di silenzio, in un rifiuto del fare che è un modo nuovo di fare, di continuare un discorso".

Con Fontana fa più o meno la stessa cosa. Fotografa i rituali dell’artista che preludevano all’opera ma simula la realizzazione del lavoro vero e proprio. Fontana, infatti, gli aveva detto: "Se mi riprendi mentre faccio un quadro di buchi dopo un po’ non avverto più la tua presenza e il mio lavoro procede tranquillo, ma non potrei fare uno di questi grandi tagli mentre qualcuno si muove intorno a me. Sento che se faccio un taglio, così, tanto per far la foto, sicuramente non viene... magari, potrebbe anche riuscire, ma non mi va di fare questa cosa alla presenza di un fotografo, o di chiunque altro. Ho bisogno di molta concentrazione. Cioè̀ non è che entro in studio, mi levo la giacca, e trac! faccio tre o quattro tagli. No, a volte la tela la lascio lì appesa per delle settimane prima di essere sicuro di cosa ne farò, e solo quando mi sento sicuro, parto, ed è raro che sciupi una tela; devo proprio sentirmi in forma per fare queste cose".

Queste parole anzichè diminuire l’interesse di Mulas, gli avevano suggerito una via diversa. “Di Lucio Fontana ero amico- dirà Mulas anni dopo - come lo eravamo tutti qui a Milano, uno dei tanti suoi amici. Tranne alcuni servizi per le Biennali, ho lavorato per lui sempre senza che me lo chiedesse (...) Di tutte le fotografie, soltanto una serie – praticamente fatta nel giro di mezz’ora – ha un senso preciso. Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. Forse fu la presenza di un quadro bianco, grande con un solo taglio, appena finito. Quel quadro mi fece capire l’operazione mentale di Fontana (che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela) era assai più complessa e il gesto conclusivo non la rivelava che in parte (...)"

Fondamentali saranno anche le fotografie che scatterà agli artisti pop a New York, e pubblicherà in un libro nel ‘63. "Avevo già fotografato degli artisti- ha detto in proposito- per esempio Severini, per esempio Carrà, ma mi era sembrato di fotografare dei superstiti. Se mai, avrei voluto fotografarli nel 1910, nel 1912: allora avrebbe avuto un senso, mentre adesso non facevo che registrare la loro sopravvivenza fisica come personaggi".

D’altra parte di ritratti, più o meno capaci di trasmettere il senso dell’opera e del lavoro di ognuno, Mulas ne fece tantissimi. Ma fotografò anche paesaggi, a cominciare da quelli della Milano post-bellica dei primissimi anni ‘50, fino a Venezia, alla Russia, a Parigi, alla Germania, a Copenaghen, alla Sicilia, alla Calabria e a Vienna.

"Ugo Mulas. L’operazione fotografica"  curata dal direttore artistico de Le Stanze della Fotografia, Denis Curti, e dal direttore dell'Archivio Mulas, Alberto Salvadori, sarà a Venzia fino al 6 agosto 2023. E' stata allestita a 50 anni  dalla scomparsa di Ugo Mulas.

Ugo Mulas. Marcel Duchamp, New York, 1965 - 1967 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. Le opere degli artisti pop trasportate in laguna, XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1964 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. Alberto Giacometti riceve l'annuncio di aver vinto il gran premio, Venezia, Biennale 1962 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. La didascalia. A Man Ray, 1970 - 1972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. New York, 1965 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Eugenio Montale, 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Venezia, 1961 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. New York, 1964 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Russia, 1960 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Milano, 1953 - 1954 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Tessuti Taroni, 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander, 1971 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Gianni Berengo Gardin. Ugo Mulas, Campo Urbano, Como 1969 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Allestimento Ugo Mulas. L'operazione fotografica © Alessandra Chemollo_1

 Le Stanze della Fotografia © Luca Zanon