Ernst Scheidegger il fotografo che ritrasse le intramontabili star dell’arte

Ernst Scheidegger Salvador Dali nel suo atelier a Portlligat ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Ernst Scheidegger nato nel ’23 a Rorschach (una cittadina della Svizzera tedesca sul Lago di Costanza) e mancato nel 2016 a Zurigo è stato un pittore, un grafico, un editore e occasionalmente anche un regista ma soprattutto un importante fotografo. Uno dei primi reclutati dalla leggendaria agenzia Magum Photos (insieme a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger), assistente di Werner Bischof, ha viaggiato, congelato l’Europa postbellica nelle sue immagini oltre ad aver frequentato e fotografato tutti i maggiori artisti attivi a Parigi a cavallo della prima metà del secolo scorso. Pittori famosi come divi di Hollywood e architetti noti più delle rock star. Tra loro: Hans Arp, Max Bill, Marc Chagall, Salvador Dalí, Max Ernst, Oskar Kokoschka, Le Corbusier, Fernand Léger, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Sophie Taeuber-Arp ma soprattutto Alberto Gicometti (di cui il fotografo era amico fraterno). Da domenica prossima il Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano (Masi) celebrerà Ernst Scheidegger con una grande mostra, intitolata “Faccia a Faccia”, che, oltre a mettere a confronto i suoi ritratti con le opere dei pittori che ha immortalato, presenta un importante corpo di scatti giovanili, talvolta inediti.

Scheidegger, infatti, al termine della Seconda guerra mondiale, si spostò tra Svizzera, Italia, Paesi Bassi, Jugoslavia e Cecoslovacchia, armato di una macchina Rolleiflex e scattò numerose fotografie. Tutte immagini personali, in bianco e nero, in cui compaiono le devastazioni del conflitto (i cantieri navali abbandonati, i volti dei bambini degli orfanotrofi e delle carceri minorili) ma soprattutto la voglia di ricominciare della popolazione (il luna park, le fiere, i sorrisi e i momenti di svago). Durante questo periodo (che gli scatti in mostra circoscrivono, per necessità e comodità, tra il ’45 e il ’55) al fotografo svizzero interessano le persone e la vita quotidiana, che restituisce in modo poetico e con grande attenzione al sociale.

“(La sua opera giovanile ndr) racchiude- ha scritto il curatore della mostra e direttore del museo, Tobia Bezzola- molti temi classici dei neorealismi fotografici e cinematografici del secondo dopoguerra: il riverbero delle luci di scena sui volti degli artisti e dei clown di un circo, le emozioni a buon mercato della fiera e del luna park, la rumorosa vita popolare che anima le strade dell’Europa del Sud, i bambini di strada, l’Esercito della salvezza, le sagre, le manifestazioni dei lavoratori”.

Ma a rendere celebre Scheidegger saranno i ritratti, scattati per piacere ma soprattutto per lavoro (riviste di settore o progetti editoriali), ad alcuni tra gli artisti più famosi del mondo. Da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Bill a Marc Chagall, Scheidegger, li fotografa tutti, privilegiando una prospettiva frontale, con stile pulito ma senza cercare la perfezione della messa a fuoco, gli interessa di più la luce ma prima di ogni altra cosa gli sta a cuore riprendere gli artisti in quanto tali, facendone emergere il processo creativo. Ci sono i colori, i pennelli e i quadri o le sculture, a parte l’autore. Certo questo non impedisce a Scheidegger di far filtrare i sentimenti che prova per le persone che stanno di fronte al proprio obbiettivo: se Salvador Dalí sembra sorpreso con ironia giocosa e simpatia, nei ritratti di Le Corbusier e Cuno Amiet c’è distanza, mentre per commemorare Sophie Tauber Arp, prematuramente scomparsa, Scheidegger ne immortalata lo studio vuoto.

Le fotografie di questo importante capitolo della mostra al MASI sono poste a confronto con le opere degli artisti ritratti (Cuno Amiet, Hans Arp, Max Bill, Serge Brignoni, Marc Chagall, Eduardo Chillida, Salvador Dalí, Max Ernst, Alberto Giacometti, Fritz Glarner, Oskar Kokoschka, František Kupka, Henri Laurens, Le Corbusier, Fernand Léger, Verena Loewensberg, Richard Paul Lohse, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Ernst Morgenthaler, Germaine Richier, Sophie Taeuber-Arp, Georges Vantongerloo). Tra queste ultime c’è anche un ritratto del fotografo svizzero dipinto da Aberto Giacometti, che Scheidegger teneva in caso e di cui avrebbe detto “non lo venderei per niente al mondo”.

L’amicizia con Giacometti costituisce un capitolo a parte della mostra, visto che i due si erano conosciuti in Svizzera quando il fotografo era poco più che ventenne e che il loro rapporto, da allora, non si sarebbe mai interrotto: “Avevo poco piü di vent'anni- racconterà in un intervista rilasciata qualche anno fa alla giornalista Anna Maria Nunzi- ero stazionato in Bregaglia per il servizio militare. Avevo appena finito l'apprendistato di grafico. Disegnavo molto e un giorno la proprietaria dell'albergo dov'ero alloggiato mi disse: «Anche qui vicino c'e un pazzo che disegna molto, perche non va a trovarlo?». Fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di Alberto Giacometti, comunque mi decisi di visitare il suo atelier. (…) Rimasi subito colpito ed affascinato. (…) Alberto era sommerso nel suo lavoro, dapprima non mi ha neppure degnato di uno sguardo, pensava infatti che fossi un soldato che stava compiendo un giro di ricognizione. Poi quando si e accorto che ero li per lui, mi ha rivolto la parola, abbiamo dunque iniziato a parlare. Ci siamo subito capiti, e quando potevo, andavo a trovarlo nel suo atelier”. Sarà Giacometti, al suo arrivo a Parigi qualche anno più tardi, ad aprirgli le porte del mondo dell’avanguardia artistica francese (“Quanto arrivai a Parigi l'unico indirizzo che avevo era quello di Alberto (…)”).

Non a caso domenica, in occasione dell’inaugurazione della mostra, al Masi di Lugano verrà anche presentato un volume di lettere scelte spedite da Alberto Giacometti alla famiglia in Val Bregaglia (“Il tempo passa troppo presto. Lettere alla famiglia” di Casimiro Di Crescenzo; l’autore del volume e il direttore del Masi Tobia Bezzola alle 11)

Organizzata in collaborazione con il Kunsthaus Zürich e la Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, “Faccia a faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall. Omaggio a Ernst Scheidegger” (a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi), sarà al Masi di Lugano dal 18 febbraio al 21 luglio 2024. L’opera di Ernst Scheidegger, online, si può in parte anche ammirare sul sito della fondazione e archivio a lui dedicata.

Ernst Scheidegger Max Bill insegna teoria delle forme alla Scuola di arti applicate di Zurigo ca.1946 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger, Alberto Giacometti dipinge Isaku Yanaihara nel suo studio parigino 1959 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; works Alberto Giacometti © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris

Alberto Giacometti Ritratto Ernst Scheidegger ca. 1959 Olio su tela Kunsthaus Zurich, 2017 © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger FritZ Glarner nel suo atelier di Parigi ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Hans Arp nel suo atelier di Meudon, Parigi ca. 1956 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Salvador DaIi La tour 1936  Olio su tela Kunsthaus Zürich, 2017 © Salvador Dalí, Fundació GaIa-Salvador Dalí/ 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Uomo con palloncini probabilmente fine anni Quaranta © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger  Uomo con bambina, Valle Verzasca ca. ca 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger Allieva della scuola di danza di Madame Rousanne, Parigi ca.1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Sophie Tauber Arp Geometrico e ondeggiante 1941 Matita colorata e grafite su carta Museo d'arte della Svizzera italiana, Collezione Cantone Ticino

Tutte le Biennali di Venezia e i ritratti degli artisti fotografati in bianco e nero da Ugo Mulas

Ugo Mulas. Joan Miró, Museo Poldi Pezzoli, Milano, 1963 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Senza mancare mai una Biennale di Venezia, il fotografo Ugo Mulas, cristallizzò e interpretò la scena artistica internazionale di un’epoca. Le Stanze della Fotografia, un nuovo spazio espositivo sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia (nato dalla collaborazione di Marsilio Arte e Fondazione Cini) gli dedica la grande mostra, "Ugo Mulas. L’operazione fotografica". Una delle più complete fino ad oggi.

Realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas, l’esposizione, conta 296 opere, tra le quali 30 immagini mai esposte prima  d'ora. Inoltre, sempre per la prima volta vengono presentati al pubblico tantissimi ritratti di artisti e intellettuali (alcuni inediti), tra cui:  Alexander Calder, Carla Fracci, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Arnaldo Pomodoro e George Segal,

ll primo incarico come fotografo di Ugo Mulas fu quello di documentare la Biennale di Venezia del ‘54. Da allora, fino alla sua prematura scomparsa nel ‘73, non mancò mai visitarla. Anzi, inventò un modo di raccontarla. In seguito disse: "Fotografavo senza nessuna intenzione di capire cosa stava accadendo, e accadeva sempre qualcosa. Allora si credeva molto a questi avvenimenti, sia io come fotografo che gli artisti stessi che il giro che sta intorno agli artisti, prendevamo sul serio la Biennale in un modo molto genuino, come una gran festa per tutti: il piacere di andare a Venezia, che non era indifferente, il piacere di incontrare gente nuova, di vedere cose nuove, di assistere a qualcosa di veramente importante. Il mio lavoro consisteva nel cercare di dare un’idea di questa festa. (…)"

Proprio lì, nel ‘64, conobbe la Pop Art e il gallerista Leo Castelli, che gli avrebbe permesso di ritrarre il fermento della scena artistica americana di quegli anni e tutti i suoi grandi protagonisti (Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Frank Stella, Kenneth Noland e naturalmente Andy Warhol). Caro amico dello scultore statunitense Alexander Calder, fortografò tutti gli artisti della sua epoca (da un Duchamp oramai anziano a un non più giovane Mirò, fino a Lucio Fontana, Christo e Louise Nevelson). Non sfuggirono al suo obbiettivo neppure intellettuali, poeti, scrittori, stilisti, attori e imprenditori, ma per le arti visive aveva un debole

Forse perchè fu a sua volta un artista.

"Gli occhi- ha scritto nel '73- questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre di più con gli occhi degli altri. Potrebbe essere anche un vantaggio ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione."

Lui lo faceva, come dimostra la serie “Verifiche” (1968-’72), in cui Mulas si interroga sulla fotografia. Queste opere aprono la mostra, il cui titolo prende spunto proprio da una di loro. Si tratta di "L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander", in cui l’artista compare su un piccolo specchio con il volto coperto dalla macchina fotografica, mentre la sua ombra fa da sfondo. La composizione, solida e semplice, sorregge il filo della riflessione di Mulas, che ci dice che la fotografia non può essere asettica o imparziale, ma è anzi un gioco di sguardi, visioni e volontà, tra il soggetto, l’autore e l’osservatore.

Ancora più interessante, è il modo in cui il fotografo originario di Pozzolengo (Brescia), decise di dare forma all’immagine di Marcel Duchamp prima e di Lucio Fontana al lavoro nel suo studio, poi. D’altra parte, Mulas, ammirava Duchamp e lo considerava (insieme a Man Ray) uno spartiacque nell’arte del ‘900. E con Fontana aveva lavorato spesso. "Le fotografie di Duchamp – spiegò Mulas – vorrebbero essere qualcosa di più di una serie di ritratti più o meno riusciti, sono anzi il tentativo di rendere visivamente l'atteggiamento mentale di Duchamp rispetto alla propria opera, atteggiamento che si concretizzò in anni di silenzio, in un rifiuto del fare che è un modo nuovo di fare, di continuare un discorso".

Con Fontana fa più o meno la stessa cosa. Fotografa i rituali dell’artista che preludevano all’opera ma simula la realizzazione del lavoro vero e proprio. Fontana, infatti, gli aveva detto: "Se mi riprendi mentre faccio un quadro di buchi dopo un po’ non avverto più la tua presenza e il mio lavoro procede tranquillo, ma non potrei fare uno di questi grandi tagli mentre qualcuno si muove intorno a me. Sento che se faccio un taglio, così, tanto per far la foto, sicuramente non viene... magari, potrebbe anche riuscire, ma non mi va di fare questa cosa alla presenza di un fotografo, o di chiunque altro. Ho bisogno di molta concentrazione. Cioè̀ non è che entro in studio, mi levo la giacca, e trac! faccio tre o quattro tagli. No, a volte la tela la lascio lì appesa per delle settimane prima di essere sicuro di cosa ne farò, e solo quando mi sento sicuro, parto, ed è raro che sciupi una tela; devo proprio sentirmi in forma per fare queste cose".

Queste parole anzichè diminuire l’interesse di Mulas, gli avevano suggerito una via diversa. “Di Lucio Fontana ero amico- dirà Mulas anni dopo - come lo eravamo tutti qui a Milano, uno dei tanti suoi amici. Tranne alcuni servizi per le Biennali, ho lavorato per lui sempre senza che me lo chiedesse (...) Di tutte le fotografie, soltanto una serie – praticamente fatta nel giro di mezz’ora – ha un senso preciso. Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. Forse fu la presenza di un quadro bianco, grande con un solo taglio, appena finito. Quel quadro mi fece capire l’operazione mentale di Fontana (che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela) era assai più complessa e il gesto conclusivo non la rivelava che in parte (...)"

Fondamentali saranno anche le fotografie che scatterà agli artisti pop a New York, e pubblicherà in un libro nel ‘63. "Avevo già fotografato degli artisti- ha detto in proposito- per esempio Severini, per esempio Carrà, ma mi era sembrato di fotografare dei superstiti. Se mai, avrei voluto fotografarli nel 1910, nel 1912: allora avrebbe avuto un senso, mentre adesso non facevo che registrare la loro sopravvivenza fisica come personaggi".

D’altra parte di ritratti, più o meno capaci di trasmettere il senso dell’opera e del lavoro di ognuno, Mulas ne fece tantissimi. Ma fotografò anche paesaggi, a cominciare da quelli della Milano post-bellica dei primissimi anni ‘50, fino a Venezia, alla Russia, a Parigi, alla Germania, a Copenaghen, alla Sicilia, alla Calabria e a Vienna.

"Ugo Mulas. L’operazione fotografica"  curata dal direttore artistico de Le Stanze della Fotografia, Denis Curti, e dal direttore dell'Archivio Mulas, Alberto Salvadori, sarà a Venzia fino al 6 agosto 2023. E' stata allestita a 50 anni  dalla scomparsa di Ugo Mulas.

Ugo Mulas. Marcel Duchamp, New York, 1965 - 1967 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. Le opere degli artisti pop trasportate in laguna, XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1964 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. Alberto Giacometti riceve l'annuncio di aver vinto il gran premio, Venezia, Biennale 1962 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. La didascalia. A Man Ray, 1970 - 1972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. New York, 1965 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Eugenio Montale, 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Venezia, 1961 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. New York, 1964 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Russia, 1960 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Milano, 1953 - 1954 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Tessuti Taroni, 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander, 1971 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Gianni Berengo Gardin. Ugo Mulas, Campo Urbano, Como 1969 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Allestimento Ugo Mulas. L'operazione fotografica © Alessandra Chemollo_1

 Le Stanze della Fotografia © Luca Zanon

L'essenza inafferrabile degli autoritratti di Vivian Maier a Palazzo Sarcinelli di Conegliano

Self portrait Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

La scomparsa fotografa statunitense, Vivian Maier, conosciuta per aver lavorato come babysitter per mantenersi (nonostante oggi sia considerata una figura cardine della street-photography del ‘900), nella sua vita scattò un gran numero di autoritratti. Si tratta di immagini particolari, veloci eppure strutturate, molto enigmatiche, in cui lei appare e scompare, svelando poco di se (come, del resto, pare fosse solita fare anche di persona). Queste fotografie di Maier, saranno al centro della mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, che si inaugurerà il prossimo 23 marzo, al Palazzo Sarcinelli di Conegliano (in provincia di Treviso).

Scoperta solo dopo la sua morte e presentata al grande pubblico come la tata-fotografa americana, Vivian Maier, di origini austro-francesi ma nata negli Stati Uniti dove trascorse tutta la sua vita adulta, morì in miseria pur non avendo mai smesso di fotografare. Chi l’ha conosciuta l’ha descritta così: eccentrica, forte, supponente, intellettuale e molto riservata. Pare indossasse sempre un cappello floscio, un abito lungo, un cappotto di lana e scarpe da uomo. Aveva anche un passo deciso con cui percorreva le strade di Chicago e New York raccontando le città attaverso i suoi scatti e contemporaneamente un’epoca.

Aveva perso i genitori da giovane e dopo essersi sopostata tra Europa e Stati Uniti mise radici nel Nuovo Continente. Lì si manteneva facendo la babysitter e la badante. Non si sarebbe mai sposata ne avrebbe mai stretto relazioni intime con nessuno. Viaggiò, diventò un’accumulatrice di oggetti di poco conto ed ebbe sempre problemi con i soldi. Problemi seri con i soldi. Tanto che da anziana a salvarla dal finire senza un tetto furono alcuni dei bambini che aveva cresciuto. Eppure nel 2007, solo due anni prima della morte, il contenuto del magazzino dove conservava le sue fotografie venne venduto: c’era un debito da saldare.

Gli scatoloni di rullini della Maier finirono all’asta, dove fruttarono subito 20mila dollari. Da quel momento in avanti il loro valore si sarebbe alzato e il lavoro della fotografa statunitense sarebbe diventato famoso in tutto il mondo. La vendita fu una circostanza fortunata, perchè il materiale avrebbe potuto finire nell’immmondizia. Peccato che l’autrice non ne trasse alcun beneficio

La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier- ha scritto la curatrice della mostra di Cornegliano, Anne Morin- che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa

Vivian Maier avrebbe lasciato oltre 120mila negativi, filmati super 8mm, tantissimi rullini mai sviluppati, foto e registrazioni audio. Scattò sia in bianco e nero che a colori. In una carriera ultra quarantennale.

Nel vasto archivio fotografico della Maier sono molti anche gli autoritratti. Questi ultimi tradiscono inquietudine e hanno un essenza ineffabile. Maier infatti scattava in esterni e aveva l’abitudine di fotografare la propria ombra o se stessa riflessa in specchi e superfici varie. Nonostante sia il soggetto delle immagini, Maier appare condizionata dall’ambiente che la circonda, a volte fusa ad esso. Come se diventasse invisibile.

L’abilità con cui coglie i giochi di luce e i piani che si formano nella bidimensonalità della fotografia, rendono le immagini incredibilmente sfaccettate. Ma non ci dicono assolutamente nulla su Maier come soggetto di se stessa, anzi, a volte, quest’ultima scompare quasi del tutto.

"Vivian Maier -scrive di nuovo Anne Morin-si destreggiava con una versione di sé sul confine tra la sparizione e l'apparizione del suo doppio, riconoscendo forse che un autoritratto è "una presenza in terza persona (che) indica la simultaneità di quella presenza e della sua assenza".

La mostra degli autoritratti di Vivian Maier, “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, è stata organizzata da ARTIKA in sinergia con diChroma Photography ed è curata da Anne Morin. Sarà a Palazzo Sarcinelli di Conegliano dal 23 marzo all'11 giugno 2023.

Self portrait Chicago 1970 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

New-York, October 18 1953 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

Self portrait NewYork, 1953 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

Self portrait 1959 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

Self portrait NewYork, 1955 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY