Da maggio Philippe Parreno trasformerà la Fondazione Beyeler in un "organismo vivente"

Philippe Parreno, MEMBRANE, 2023 Cybernetic structure with sensorimotor capabilities and generative language processing Courtesy of the artist © Philippe Parreno

Con un’opera sottile e punteggiata di umorismo, un indole al confine tra quella dell’artista, del curatore e del regista, il francese di origine algerina, Philippe Parreno, si è guadagnato un posto nelle collezioni più prestigiose d’Occidente, proprio con progetti come quello del “Summer Show”. La mostra-evento che, dal prossimo maggio, vedrà Parreno in collaborazione con la nigeriano-statunitense, Precious Okoyomon e con l’indiano-tedesco, Tino Sehgal trasformare la Fondazione Beyeler di Riehen (un piccolo comune svizzero vicino a Basilea) in un “organismo vivente”.

E trasformare, in questo caso, non è usato in senso metaforico, nè fa riferimento a una leggera operazione di maquillage. Parreno cambierà, invece, faccia al museo (come ha già fatto al Palais de Tokyo di Parigi qualche anno fa). A tutto il museo (parco inglese con ninfee compreso).

Fondazione Beyeler ha scritto a proposito del “Summer Show”: "Per la prima volta negli oltre 25 anni di storia della Fondazione Beyeler, l'intero museo e il parco circostante saranno trasformati nel luogo di una presentazione sperimentale di arte contemporanea".

Parreno che ha già più volte collaborato con Tino Sehgal (è stato recentemente a Palazzo Strozzi di Firenze), questa volta avrà al suo fianco anche la giovane Precious Okoyomon (scultrice e poetessa, che due anni fa figurava tra gli artisti scelti da Cecilia Alamani per la Biennale di Venezia) ma anche i curatori: Hans Ulrich Obrist (di origine svizzera, famosissimo, attualmente direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra; anche lui già affiancato a Parreno in passato), il direttore della Fondazione Beyeler, Sam Keller, oltre a Isabela Mora (sempre di Fondazione Beyeler) e alla critica indipendente francese, Mouna Mekouar. Il progetto vedrà, inoltre la partecipazione di una ventina di artisti di notorietà internazionale (anche loro, per la maggior parte, non alla prima esperienza con Parreno). Sono, infatti, previsti contributi di: Michael Armitage, Anne Boyer, Federico Campagna, Ian Cheng, Chuquimamani-Condori and Joshua Chuquimia Crampton, Marlene Dumas, Frida Escobedo, Peter Fischli, Cyprien Gaillard with Victor Man, Dominique Gonzalez-Foerster, Wade Guyton, Carsten Höller with Adam Haar, Pierre Huyghe, Arthur Jafa, Koo Jeong A, Dozie Kanu, Cildo Meireles, Jota Mombaça, Fujiko Nakaya, Alice Notley, Precious Okoyomon, Philippe Parreno, Rachel Rose, Tino Sehgal, Rirkrit Tiravanija, Ramdane Touhami and Adrián Villar Rojas.

Il “Summer Show” sarà concepito come un “organismo vivente”, capace di cambiare e mostrarsi sempre diverso con lo scorrere del tempo. Oltre alle opere d'arte ci saranno anche interventi frutto della collaborazione di poeti, musicisti, filosofi, designers e architetti. Senza contare che il dialogo tra i lavori è stato fatto nascere dagli autori stessi. Va detto che questi ultimi si sono dati parecchio da fare per l’esposizione, visto che diversi tra dipinti, sculture, film, installazioni e performance, sono nati proprio per questo evento e che le opere precedenti in mostra sono state modificate perchè si adattassero alla perfezione alla temporanea nuova location.

Fondazione Beyeler è il museo più importante di tutta la Svizzera, e stà per diventare uno spazio espositivo vastissimo. Alla sede principale progettata dall’italiano, Renzo Piano, infatti, si aggiungeranno presto tre edifici dell’architetto svizzero, Peter Zumthor (una sede espositiva di 1500 metri quadri, un padiglione e un edificio di servizio) che sono in costruzione nel parco paesaggistico ottocentesco in stile inglese (recentemente acquisito per dupplicare l’estensione dei giardini confinanti con una riserva naturale).

Attualmente alla Fondazione Beyeler è ancora in corso la personale dedicata a Jeff Wall (fino al 21 aprile). Mentre il “Summer Show” di Philippe Parreno, con Precious Okoyomon e Tino Sehgal, si inaugurerà il 19 maggio per concludersi l’11 agosto 2024.

“The Evidence of Things Not Seen” la più grande mostra di Carrie Mae Weems in Svizzera, ancora per poco a Basilea

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Una donna e una bambina siedono al tavolo della cucina, la luce cade dall’alto, il lampadario a forma di cono ricorda il chiarore emanato da un occhio di bue, entrambe le protagoniste si mettono il rossetto con movimenti speculari. “Woman and Daughter with Make Up” parte di “Kitchen Table”, la serie più famosa dell’artista statunitense Carrie Mae Weems, è probabilmente una delle immagini più belle della storia dell’arte recente. Nella sua finta spontaneità, la fotografia in bianco e nero costruita con attenzione da Weems (che qui è sia autrice che modella), parla di costrutti sociali che incidono sul sé, unione e separazione, vicinanza e solitudine, identità di genere, presente e futuro.

Ho sempre avuto un esercizio di autoritratto nelle mie lezioni- ha detto Weems che, nel tempo. ha insegnato fotografia in varie università degli Stati Uniti -Invariabilmente, tutte le studentesse erano in qualche modo coperte (…) Facevano sempre qualcosa per oscurare la chiara visione di se stesse. Perché le donne sono sempre state interessate ad essere oggetti, perché siamo state addestrate ad essere oggetti (…)”.

Questa immagine, insieme alle altre che costituiscono la serie “Kitchen Table”, fa parte della vasta retrospettiva “The Evidence of Things Not Seen” che il Kunstmuseum Basel (il museo d’arte contemporanea di Basilea) ha dedicato a Carrie Mae Weems: la prima artista afroamericana invitata a fare una personale al Guggenheim di New York (2012), la prima donna di colore a vincere il prestigioso premio internazionale di fotografia Hasselblad Award (2023). D’altra parte la mostra, la più grande che la Svizzera le abbia mai tributato, che si basa su altre esposizioni simili che dal 2022 si sono tenute in alcuni musei europei (Württembergischer Kunstverein di Stoccarda, Fundación MAPFRE e Fundación Foto Colectania di Barcellona, Barbican Centre di Londra), mette in fila ben trentacinque anni di lavoro dell’artista, attraverso un corpus di opere notevole: video, installazioni, testi e naturalmente fotografie.

Untitled (Eating Lobster), The Kitchen Table Series, Carrie Mae Weems, 1990/1999. Silver gelatin print,104.7 x 104.7 x 5.7 cm © bei der Künstlerin / the artist Courtesy of the artist and Gladstone Gallery

Il mezzo che Weems ama di più: “Credo- ha detto una volta- che la prima volta che ho preso in mano quella macchina fotografica, ho pensato: 'Oh, OK, questo è il mio strumento. Questo è tutto'” Allora, Weems aveva vent’anni e la macchina gliela aveva regalata il suo ragazzo dell’epoca: da quel momento in avanti Weems non avrebbe più smesso di fotografare. All’inizio concentrandosi su quello che meglio conosceva e sulla documentazione della realtà: dedica una serie alla vita nella sua città (“Environmental Profits” del ’78) e una ai rapporti tra lei i suoi familiari ed amici (“Family Pictures and Stories”, anche questa cominciata nel ’78 ma finita cinque anni dopo). Per poi capire che per lei fare fotografie significava anche mettere in scena. Talvolta in maniera ricercata, con soggetti che emergono dal buio dello sfondo, a cui sembrano voler ritornare da un momento all’altro, senza, tuttavia mostrarsi mai al mondo. E’ il caso della serie “The Louisiana Project” in cui le maschere che occultano le persone diventano modi per esprimere commenti sulla razza, filtri tra se e gli altri, dimostrando contemporaneamente, in maniera distorta, la propria identità senza però mai dimenticare lo sguardo altrui.

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Gina Folly

Del resto Carrie Mae Weems, nata nel ’53 a Portland in Oregon, durante il periodo della sua formazione ha studiato folklore all’Università della California di Berkeley, ed è naturale che abbia finito per affrontare il tema delle maschere e della teatralità. Nell’opera di Weems, ad ogni modo, l’ingiustizia, la maniera in cui la società rimodella l’identità sulla base della razza e del genere, sono argomenti che tornano costantemente, e non fa eccezione “The Louisiana Project” (così come le altre create dall’artista). In un’intervista, lei ha spiegato: “Da giovanissima ero già un esistenzialista. Quando avevo otto anni uscivo dai gradini di casa mia e guardando il cielo mi chiedevo perché eravamo qui in questo posto e quale sarebbe stato il mio ruolo nella vita. Mi interessavano la politica e la giustizia sociale. Cosa significava vivere una vita aperta e libera? Quali erano i problemi profondi dell’umanità che insistevano sul fatto che il ruolo del potere fosse quello di sottomettere gli altri? Qual è la voce dei soggiogati, degli oppressi, degli abbattuti e dei terrorizzati, e come si esprime quella voce? Tutto questo mi ha interessato molto presto, ma allora non sapevo come esprimerlo (…)

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Weems naturalmente ha particolarmente a cuore i diritti degli afroamericani. A Basilea tra le opere in mostra c’è persino un’installazione (“Land of Broken Dreams: A Case Study” del 2021) in cui sono stati esposti veri cimeli del Black Panther Party, mischiati a riviste degli anni ’60-’70 in cui sono documentate violenze verso i neri. Senza contare le fotografie che ha scattato nella sua città natale dopo l’assassinio di George Floyd: qui Weems ha immortalato particolari di vetrine murate e graffiti cancellati, più e più volte, fino a costruire un lirico omaggio alla pittura dimenticata degli espressionisti astratti americani di colore.

Preservare la memoria di attrici e cantanti afroamericane del passato è invece stato il pensiero alla base del gruppo di immagini sfocate a loro dedicate, in cui l’artista, per conservare il loro ricordo, le ha rese inafferrabili fantasmi. Weems si è poi creata un alter-ego che un po’ quelle dive le ricorda, con il suo lungo abito nero, e che compare, in varie, sue serie (in genere lo usa per rimarcare l’inacessibilità o l’esclusività di determinati luoghi).

“The Evidence of Things Not Seen” di Carrie Mae Weems al Kunstmuseum Basel (il museo d’arte contemporanea di Basilea), a cura di Maja Wismer con Alice Wilke, si potrà visitare fino al 7 aprile 2024.

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Department of Lavorare - Mussolini's Rome, Roaming, Carrie Mae Weems, 2006 Digital C-print 186.531 x 156.21 x 6.66 cm © bei der Künstlerin / the artist Courtesy of the artist and Galerie Barbara Thumm

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Gina Folly

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Gina Folly

Carrie Mae Weems: The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel. Installation view. Photo Credit: Julian Salinas

Carrie Mae Weems, Medienkonferenz, The Evidence ot Things Not Seen, Kunstmuseum Basel, Gegenwart, 24.10.2023 Photo Credit: Julian Salinas

Ernst Scheidegger il fotografo che ritrasse le intramontabili star dell’arte

Ernst Scheidegger Salvador Dali nel suo atelier a Portlligat ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Ernst Scheidegger nato nel ’23 a Rorschach (una cittadina della Svizzera tedesca sul Lago di Costanza) e mancato nel 2016 a Zurigo è stato un pittore, un grafico, un editore e occasionalmente anche un regista ma soprattutto un importante fotografo. Uno dei primi reclutati dalla leggendaria agenzia Magum Photos (insieme a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger), assistente di Werner Bischof, ha viaggiato, congelato l’Europa postbellica nelle sue immagini oltre ad aver frequentato e fotografato tutti i maggiori artisti attivi a Parigi a cavallo della prima metà del secolo scorso. Pittori famosi come divi di Hollywood e architetti noti più delle rock star. Tra loro: Hans Arp, Max Bill, Marc Chagall, Salvador Dalí, Max Ernst, Oskar Kokoschka, Le Corbusier, Fernand Léger, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Sophie Taeuber-Arp ma soprattutto Alberto Gicometti (di cui il fotografo era amico fraterno). Da domenica prossima il Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano (Masi) celebrerà Ernst Scheidegger con una grande mostra, intitolata “Faccia a Faccia”, che, oltre a mettere a confronto i suoi ritratti con le opere dei pittori che ha immortalato, presenta un importante corpo di scatti giovanili, talvolta inediti.

Scheidegger, infatti, al termine della Seconda guerra mondiale, si spostò tra Svizzera, Italia, Paesi Bassi, Jugoslavia e Cecoslovacchia, armato di una macchina Rolleiflex e scattò numerose fotografie. Tutte immagini personali, in bianco e nero, in cui compaiono le devastazioni del conflitto (i cantieri navali abbandonati, i volti dei bambini degli orfanotrofi e delle carceri minorili) ma soprattutto la voglia di ricominciare della popolazione (il luna park, le fiere, i sorrisi e i momenti di svago). Durante questo periodo (che gli scatti in mostra circoscrivono, per necessità e comodità, tra il ’45 e il ’55) al fotografo svizzero interessano le persone e la vita quotidiana, che restituisce in modo poetico e con grande attenzione al sociale.

“(La sua opera giovanile ndr) racchiude- ha scritto il curatore della mostra e direttore del museo, Tobia Bezzola- molti temi classici dei neorealismi fotografici e cinematografici del secondo dopoguerra: il riverbero delle luci di scena sui volti degli artisti e dei clown di un circo, le emozioni a buon mercato della fiera e del luna park, la rumorosa vita popolare che anima le strade dell’Europa del Sud, i bambini di strada, l’Esercito della salvezza, le sagre, le manifestazioni dei lavoratori”.

Ma a rendere celebre Scheidegger saranno i ritratti, scattati per piacere ma soprattutto per lavoro (riviste di settore o progetti editoriali), ad alcuni tra gli artisti più famosi del mondo. Da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Bill a Marc Chagall, Scheidegger, li fotografa tutti, privilegiando una prospettiva frontale, con stile pulito ma senza cercare la perfezione della messa a fuoco, gli interessa di più la luce ma prima di ogni altra cosa gli sta a cuore riprendere gli artisti in quanto tali, facendone emergere il processo creativo. Ci sono i colori, i pennelli e i quadri o le sculture, a parte l’autore. Certo questo non impedisce a Scheidegger di far filtrare i sentimenti che prova per le persone che stanno di fronte al proprio obbiettivo: se Salvador Dalí sembra sorpreso con ironia giocosa e simpatia, nei ritratti di Le Corbusier e Cuno Amiet c’è distanza, mentre per commemorare Sophie Tauber Arp, prematuramente scomparsa, Scheidegger ne immortalata lo studio vuoto.

Le fotografie di questo importante capitolo della mostra al MASI sono poste a confronto con le opere degli artisti ritratti (Cuno Amiet, Hans Arp, Max Bill, Serge Brignoni, Marc Chagall, Eduardo Chillida, Salvador Dalí, Max Ernst, Alberto Giacometti, Fritz Glarner, Oskar Kokoschka, František Kupka, Henri Laurens, Le Corbusier, Fernand Léger, Verena Loewensberg, Richard Paul Lohse, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Ernst Morgenthaler, Germaine Richier, Sophie Taeuber-Arp, Georges Vantongerloo). Tra queste ultime c’è anche un ritratto del fotografo svizzero dipinto da Aberto Giacometti, che Scheidegger teneva in caso e di cui avrebbe detto “non lo venderei per niente al mondo”.

L’amicizia con Giacometti costituisce un capitolo a parte della mostra, visto che i due si erano conosciuti in Svizzera quando il fotografo era poco più che ventenne e che il loro rapporto, da allora, non si sarebbe mai interrotto: “Avevo poco piü di vent'anni- racconterà in un intervista rilasciata qualche anno fa alla giornalista Anna Maria Nunzi- ero stazionato in Bregaglia per il servizio militare. Avevo appena finito l'apprendistato di grafico. Disegnavo molto e un giorno la proprietaria dell'albergo dov'ero alloggiato mi disse: «Anche qui vicino c'e un pazzo che disegna molto, perche non va a trovarlo?». Fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di Alberto Giacometti, comunque mi decisi di visitare il suo atelier. (…) Rimasi subito colpito ed affascinato. (…) Alberto era sommerso nel suo lavoro, dapprima non mi ha neppure degnato di uno sguardo, pensava infatti che fossi un soldato che stava compiendo un giro di ricognizione. Poi quando si e accorto che ero li per lui, mi ha rivolto la parola, abbiamo dunque iniziato a parlare. Ci siamo subito capiti, e quando potevo, andavo a trovarlo nel suo atelier”. Sarà Giacometti, al suo arrivo a Parigi qualche anno più tardi, ad aprirgli le porte del mondo dell’avanguardia artistica francese (“Quanto arrivai a Parigi l'unico indirizzo che avevo era quello di Alberto (…)”).

Non a caso domenica, in occasione dell’inaugurazione della mostra, al Masi di Lugano verrà anche presentato un volume di lettere scelte spedite da Alberto Giacometti alla famiglia in Val Bregaglia (“Il tempo passa troppo presto. Lettere alla famiglia” di Casimiro Di Crescenzo; l’autore del volume e il direttore del Masi Tobia Bezzola alle 11)

Organizzata in collaborazione con il Kunsthaus Zürich e la Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, “Faccia a faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall. Omaggio a Ernst Scheidegger” (a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi), sarà al Masi di Lugano dal 18 febbraio al 21 luglio 2024. L’opera di Ernst Scheidegger, online, si può in parte anche ammirare sul sito della fondazione e archivio a lui dedicata.

Ernst Scheidegger Max Bill insegna teoria delle forme alla Scuola di arti applicate di Zurigo ca.1946 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger, Alberto Giacometti dipinge Isaku Yanaihara nel suo studio parigino 1959 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; works Alberto Giacometti © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris

Alberto Giacometti Ritratto Ernst Scheidegger ca. 1959 Olio su tela Kunsthaus Zurich, 2017 © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger FritZ Glarner nel suo atelier di Parigi ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Hans Arp nel suo atelier di Meudon, Parigi ca. 1956 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Salvador DaIi La tour 1936  Olio su tela Kunsthaus Zürich, 2017 © Salvador Dalí, Fundació GaIa-Salvador Dalí/ 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Uomo con palloncini probabilmente fine anni Quaranta © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger  Uomo con bambina, Valle Verzasca ca. ca 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger Allieva della scuola di danza di Madame Rousanne, Parigi ca.1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Sophie Tauber Arp Geometrico e ondeggiante 1941 Matita colorata e grafite su carta Museo d'arte della Svizzera italiana, Collezione Cantone Ticino