La nuova installazione di Leonardo Drew è un'esplosione di compensato annerito che turbina nella cappella dello Yorkshire Sculpture Park

Leonardo Drew, Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Number 360”, la nuova installazione dell’artista statunitense Leonardo Drew per la Cappella dello Yorkshire Sculpture Park, fatta di frammenti di compensato bruciato a momenti ricoperto di vernice, somiglia ad un’esplosione devastante congelata nel tempo ma anche a un albero rigoglioso. Ed in effetti, i concetti che ricorrono nell’opera di Drew, si adattano bene a tutt’e due.

Nato a Tallahassee (Florida) nel 1961 ma cresciuto in un quartiere degradato di Bridgeport in Connecticut, Leonardo Drew, dal suo appartamento vedeva una discarica. Ogni finestra, qualsiasi punto di vista verso l’esterno, dell’appartamento del giovane Drew, era occupato dai rifiuti. Così lui cominciò la sua carriera artistica utilizzando degli oggetti buttati. Gli piaceva l’idea di restituirgli una nuova vita ma anche il fatto che evocassero un ciclo di vita e morte ineludibile. Aveva scoperto il fascino dei materiali e fatto emergere il “memento mori” nascosto nell’immondizia.

Da allora gli oggetti trovati non li usa più, ma ama monipolare i materiali per conferirgli un’aria vissuta. Ossida o brucia quello che gli capita sotto mano, dai pezzi di metallo alle assi di compensato, per passare poi alla composizione e realizzazione della scultura vera e propria. Dice che non vuole che i materiali abbiano una storia pregressa. Anche se spesso ne ha usati di simbolicamente carichi, come corda, cotone, stracci e ruggine.

Drew è afroamericano e i riferimenti alla schiavitù in alcune sue opere sembrano espliciti, così come al passato industriale degli Stati Uniti, o al degrado brutale dei sobborghi americani (spesso abitati da persone di colore). In realtà, l’artista definisce le sue opere solamente astratte, per lo stesso motivo per cui usa dei numeri per intitolare ogni lavoro: vuole lasciare allo spettatore lo spazio per partecipare attivamente all’opera, proiettando la sua sensibilità e la sua esperienza personale su di essa. In questo modo, crea degli ambienti in cui memorie e aspirazioni diverse si fondono e modificano continuamente le installazioni.

Naturalemente le sculture di Drew dialogano anche con l’ambiente in cui sono poste. “Number 360”, ad esempio, si estende in verticale per occupare gli oltre 5 metri d’altezza della cappella settecentesca. E rompe il silenzio dell’architettura aggraziata, con un’esplorisone formale e cromatica. Il nero vissuto dei frammenti che compongono l’opera, infatti, che ogni tanto si illumina di un colore opaco in cui convivono vernice e sabbia, si scontra con il bianco delle pareti, sfida il verde della vegetazione dietro le finestre.

La forma e il colore dell’opera, a prima vista, non possono che far pensare al fragore di un’esplosione, ma volendo ben vedere, il volteggiare, tutto sommato, disinvolto dei frammenti, evoca una melodia. Non a caso Drew è un’appassionato di musica, che ascolta sempre mentre lavoro. Così come di cinema (nel suo studio ha diversi schermi che proiettano film continuamente). In un’intervista, ha dichiarato di avere una vasta collezione, che va da Kurosawa a Bresson, da Tarkovsky a Kubrick, e di amare persino John Ford per i suoi panorami e paesaggi. "(...)Guardando il mio corpus di lavori, vedrai composizioni di jazz, musica classica e cinema".

Drew ha l’abitudine di riutilizzare il materiale che aveva composto installazioni precendeti. Anche il compensato di “Number 360” non è alla sua prima esperienza (proviene da "Number 341", presentata all'edizione 2022 della fiera svizzera Art Basel). Secondo l’artista, è un modo per permettergli di evolversi.

Leonardo Drew, con la sua nuova installazione “Number 360”, sarà alla Cappella dello Yorkshire Sculpture Park (prima di lui, ad esempio, Kimsooja, Chiharu Shiota e Saad Quereshi) fino al 29 Ottobre 2023.

Leonardo Drew, Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Leonardo Drew, Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Leonardo Drew, Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Leonardo Drew, Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Leonardo Drew, Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Leonardo Drew with Number 360, installation view at Yorkshire Sculpture Park, 2023. Courtesy of the artist Goodman Gallery and Galerie Lelong Co. Photo © Jonty Wilde.

Le più grande opera fatta coi lego da Ai Weiwei, riproduce "Le Ninfee" di Claude Monet

Ai Weiwei, “Water Lilies #1” (2022), LEGO. All images © the artist, courtesy of Galleria Continua. All photos by Ela Bialkowska/OKNO Studio

Ai Weiwei ha ricreato il munumentale capolavoro, “Le Ninfee” (“Water Lilies”) di Claude Monet, coi Lego. L’opera si intitola, “Water lilies #1” ed è il più grande lavoro, mai realizzato coi mattoncini dall’artista cinese, fino ad oggi.

Ai Weiwei ha cominciato ad utilizzare i Lego nel 2014, per copiare (e contemporaneamente modificare), i ritratti dei prigionieri politici. Un mezzo, che nel tempo, ha più volte riutilizzato per dupplicare dipinti famosi, come "Una domenica pomeriggio sull'isola della Grande-Jatte" di Georges Seurat o "San Giorgio e il drago" di Carpaccio. Ma “Water lilies #1”, oltre ad essere il più grande lavoro fatto di Lego da Ai Weiwei, è davvero enorme. Lungo 15 metri, il quadro, che verrà presentato in anteprima al Design Museum di Londra in occasione della mostra "Ai Weiwei: Making Sense”, occuperà un’intera parete della galleria. Senza contare che per completarlo sono serviti ben 650mila mattoncini in 22 diversi colori .

L’originale “Le Ninfee” (1914-26, conservato al Moma di New York), dipinto da Monet nell’ultima decade della sua vita, quando la vista dell’artista francese era sempre più debole, è un’opera ricerca dal punto di vista pittorico e in bilico tra il paesaggio e l’astrazione. La sensibilità per luce e colore di Monet, nell’opera di Ai Weiwei si capovolge, in un alfabeto di colori vivi e artificiali, piatta, senza il gioco sottile delle pennellate, ferma tuttavia nella volontà di non tradire nella sostanza il suo punto di riferimento. L’idea alla base, gioca con le polarità che caratterizzano la produzione di Weiwei fin dai suoi esordi. Cioè le tensioni che si generano tra passato e presente, naturale e artefatto, artiginale ed industriale, costruzione e distruzione, prezioso e senza valore.

Water lilies #1”, infatti, per prima cosa parcelizza l’opera immersiva immaginata da Monet e, oltre a negarle la sublime fluidità della pittura, la riporta in vita in un mondo dove i piexel sono un elemento costituente e dove la grazia della natura può anche far pensare alla cieca precisione della macchina. Ma, come fa notare Weiwei, lo stagno delle ninfee nel giardino di Giverny che Monet amava dipingere, era esso stesso artificiale. perchè era stato lo stesso pittore parigino a progettarlo e costruirlo. Facendo persino deviare parzialmente il fiume Epte, per perseguire il proprio obbiettivo.

Ai Weiwei ha infine aggiunto una porta al dipinto di Monet. Una soglia onirica, immaginata dall’artista di origine cinese, per lacerare la bellezza della natura e trasportare lo spettatore nella provincia dello Xinjiang dove Ai e suo padre, Ai Qing, vivevano in esilio forzato negli anni '60. Un modo come un’altro per dire che i capolavori ci avvicinano a noi stessi e ci permettono di cogliere l’anima dell’artista, ma anche che la Storia influenza la nostra percezione del mondo.

"Con Water Lilies #1- ha detto Justin McGuirk, capo curatore del Design Museum e curatore di Ai Weiwei: Making Sense- Ai Weiwei ci presenta una visione alternativa: un giardino paradisiaco. Da una parte l'ha personalizzata inserendo la porta della sua casa d'infanzia nel deserto, dall'altra l'ha spersonalizzata utilizzando un linguaggio industriale di mattoncini Lego modulari. Si tratta di un'opera monumentale, complessa e potente e siamo orgogliosi di essere il primo museo a mostrarla”.

Mentre Ai Weiwei ha così commentato: "In Water Lilies #1 integro la pittura impressionista di Monet, che ricorda lo Zenismo in Oriente, e le esperienze concrete di mio padre e me in un linguaggio digitalizzato e pixelato. Mattoncini giocattolo come materiale, con le loro qualità di solidità e potenziale di decostruzione, riflettono gli attributi del linguaggio nella nostra era in rapido sviluppo in cui la coscienza umana è in continua divisione."

Water lilies #1”, insieme a molte altre opere di Ai Weiwei, sarà esposta in anteprima al Design Museum di Londra, in occasione di "Ai Weiwei: Making Sense". L’esposizione, che sarà la prima dell'artista a concentrarsi sul design e l'architettura, si inaugurerà il prossimo 7 aprile (fino al 30 luglio 2023).

Ai Weiwei, “Water Lilies #1” (2022), LEGO. All images © the artist, shared with permission courtesy of Galleria Continua. All photos by Ela Bialkowska/OKNO Studio

Ai Weiwei, “Water Lilies #1” (2022), LEGO. All images © the artist, shared with permission courtesy of Galleria Continua. All photos by Ela Bialkowska/OKNO Studio

A Palazzo Strozzi una scultura vivente canta una canzone per ogni visitatore di "Reaching for the stars"

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Ad ogni vistatore della mostra “Reaching for the stars” viene cantata una canzone diversa. Un brano scelto solo per lui, che si spegnerà nel momento in cui avrà finito di varcare un corridoio. Sembra un’esagerazione, una sorta di inganno, e invece è l’opera “This is you” dell’artista tedesco Tino Sehgal.

Fatta della materia delle emozioni, “This is you” (2006) di Tino Sehgal, è l’opera più effimera tra quelle esposte a Firenze in occasione di “Reaching for the stars”. L’esposizione che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, a Palazzo Strozzi, con una selezione di settanta pezzi, tra i lavori collezionati a partire dagli anni ‘90 da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo.

In “This is you” una donna comincia a cantare appena i visitatori le passano accanto. Una canzone per ognuno. L’opera è pensata come una serie di ritratti impalpabili. Infatti, la scelta del brano è ispirata alla cantante dallo stato d’animo di chi incontra. Si tratta di un lavoro poetico e sensibile, in cui l’infrazione delle regole di comportamento in un determinato contesto (in questo caso un museo) e l’interazione inconsueta con lo spettatore, generano delle sensazioni che sono l’anima dell’opera.

This is you” è anche venata d’umorismo, se si pensa alla cantante come a una scultura vivente. Un’aspetto che si ritrova più o meno sempre nella produzione di Seghal e che ne bilancia l’emotività ma anche il rigore formale. L’artista, infatti, è molto attento alla costruzione visiva delle sue opere, così come nell’attuazione dell’intricato sistema di regole che lui stesso ha creato per normarne la messa in scena.

Nato a Londra nel ‘76 da padre indiano a madre tedesca, Tino Sehgal, che adesso vive in Germania, ha studiato economia e danza per poi approdare all’arte contemporanea, con quelle che lui definisce “situazioni costruite” (per distinguerle dalle performances). Il successo per lui arriva in fretta: dopo pochi anni dal suo esordio, nel 2005, Sehgal sarà l’artista più giovane a rappresentare la Germania alla Biennale di Venezia, nel 2013 vincerà il Leone d’oro, senza contare la partecipazione a documenta e le numerose presenze in sedi espositive prestigiose.

Una delle sue situazioni più famose è “Kiss” (un’edizione della quale è stata acquistata dal Moma) in cui una coppia di attori si abbraccia e si bacia, ripercorrendo contemporaneamente tutti i baci iconici della storia dell’arte (da quello scolpito da Auguste Rodin fino a Made in Heaven di Jeff Koons). In altre opere, Sehgal ha fatto saltare e sbracciarsi i custodi del museo mentre annunciavano il titolo dell’opera, istruito gli attori a coinvolgere il pubblico in conversazioni personali e messo i bimbi a giocare senza oggetti.

Il lavoro di Sehgal, tuttavia, non è facilissimo da vedere. L’unico modo, infatti, è dal vivo, perchè l’artista rifiuta ogni forma di riproduzione. Niente foto (con buona pace di chi ha la passione per Instagram), niente video e niente targhette con le spiegazioni dell’opera. Pensa che la sovraproduzione di oggetti sia un male per l’umanità e quindi il suo lavoro è onestamente effimero. Esiste, davvero, solo negli occchi e nella memoria dello spettatore. Senza concessioni al mercato.

Eppure Sehgal si vende e costa pure parecchio. Tuttavia la sua’opera è difficilissima da collezionare per le modalità di vendita escogitate dall’artista. Tanto per cominciare Sehgal non rilascia ricevute, ne ogni genere di documentazione scritta dell’avvenuto acquisto. Chi compra il diritto a mettere in scena (con attori pagati a ore) una delle sue situazioni in edizione limitata, deve accontentarsi di una stretta di mano. E per farlo deve ritenersi anche disposto ad andare ad un incontro con i rappresentanti della sua galleria e un notaio. La transazione si svolgerà rigorosamente in forma orale. Di solito sono presenti anche l’artista e i membri del suo studio ma Seghal viaggia il meno possibile, per non contribuire all’inquinamento atmosferico. E questo rende la faccenda ancora più complicata.

Il copione è più o meno lo stesso, se il proprietario di una delle opere di Sehgal decide di prestarne temporaneamente il lavoro.

Questo tortuoso processo di vendita, contribuisce a rendere più difficile incontrare le opere di Sehgal in giro.

Nonostante ciò, “This is you” (negli Stati Uniti acquisita dall'Hirshhorn Museum di Washington, dove ben tre membri dello staff si occupano della sua amministrazione), di proprietà della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, fa parte dei capolavori in mostra a Palazzo Strozzi di Firenze. “Reaching for the stars”, con Tino Seghal e altri 50 fuori classe dell’arte contemporanea, si potrà visitare fino al 18 giugno 2023

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio