A Palazzo Strozzi Anselm Kiefer ha ricongiunto l’arte di oggi a quella del Rinascimento in una mostra imperdibile

L'enorme dipinto “Engelssturz” (“Angelo Caduto”) nel cortile di Palazzo Strozzi-“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

Quando Palazzo Strozzi ha reso noto che Anselm Kiefer, in occasione della mostra a lui dedicata, avrebbe realizzato un’opera per il cortile rinascimentale dell’edificio, in molti hanno pensato che avrebbe presentato una delle sue torri apparentemente instabili; forse una di quelle fatte di containers o magari di rovine polverose, come già aveva fatto al Pirelli Hangar Bicocca ormai vent’anni fa (lo spazio espositivo milanese celebrerà la ricorrenza il 21 di aprile). Invece no, l’artista tedesco si è cimentato con una enorme tavola, forse una delle più grandi mai completate: un dipinto alto sette metri, talmente sovradimensionato da occupare interamente l’interno del loggiato e svettare fin quasi alle finestre del primo piano (l’opera è stata posizionata con il contributo della Fondazione Hillary Merkus Recordati). Engelssturz” (“Angelo Caduto”), così si chiama il quadro, dà il nome alla mostra, ne illustra il filo conduttore , ed è un monumentale confronto di Kiefer con la pittura del Rinascimento, risolto con un angelo lieve (quasi ineffabile, pure se in parte cupo e rugginoso), dipinto su un cielo piatto e sfavillante di foglia d’oro; che alla base dell’opera, ritrova però, i volumi materici tipici dell’artista, tanto densi che gli abiti vuoti, rigidi sulla superficie pittorica e poi ancora dipinti, a un primo sguardo, neppure si vedono.

“Engelssturz” è, per il momento, anche un’opera pubblica (chiunque per vederla o fotografarla sarà libero di entrare nel cortile di Palazzo Strozzi), per realizzarla, l’artista ha avuto bisogno di osservare lo spazio dall’alto. Questo è successo parecchio tempo fa, dato che Angeli Caduti” (“Fallen Angels”), l’importante personale di Anselm Kiefer che si è inaugurata venerdì scorso a Firenze, ha avuto una gestazione durata sette anni.

Lui, che qui propone vecchi lavori ma anche tante nuove produzioni (in tutto 25 pezzi, per la maggior parte di grandi dimensioni, tra cui una spettacolare e complessa installazione), una volta ha detto: “Lavoro a molti progetti contemporaneamente. Il risultato è simile a un giardino dove crescono molte piante contemporaneamente”.

Alcune opere della serie “Heroische Sinnbilder” (“Simboli Eroici”) in mostra a Firenze-“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

Una di quelle frasi che probabilmente avranno fatto storcere il naso ai suoi conterranei, che, a momenti gli rimproverano l’aria da austero vate, altre le radici antiche della sua arte, altre ancora l’erudizione. "Solo che noi in questo paese non abbiamo ancora capito bene cosa abbia da proclamare", ha commentato una volta un critico tedesco sul quotidiano Die Welt. Ma probabilmente il fatto è solo che le cose tra Kiefer e la Germania sono cominciate male. Alla fine degli anni ’60, infatti, l’artista presenta la serie “Heroische Sinnbilder (“Simboli Eroici”: titolo rubato a un articolo pubblicato nel ’43 sulla rivista ufficiale delle arti naziste), in cui si fa fotografare in vari luoghi europei (tra cui alcuni occupati dall’esercito) mentre indossa la divisa della Werhmacht del padre e alza il braccio destro in segno di saluto: apriti cielo! L’intenzione dell’artista era quella di spingere provocatoriamente al dialogo i suoi connazionali, esortandoli ad affrontare il rimosso; i tedeschi da parte loro, invece, si sono offesi a morte e non l’hanno mai completamente perdonato. Il ché a conti fatti è bizzarro, visto che Kiefer e la sua arte sono molto germanici.

A Palazzo Strozzi ci sono anche quattro fotografie della serie “Heroische Sinnbilder. Per l’occasione sono state stampate su lastra di piombo, lavorate a simulare degli stendardi, giacchè per lui nessuna opera è mai finita (finchè rimangono nel suo studio continua a lavorarci sopra, così, a volte, un pezzo cominciato negli anni 60 viene presentato in forma rivista nel 2024). E a vederle adesso, lievi sulla distesa argentea della superficie metallica, fanno pensare alla pittura romantica tedesca e a Caspar David Friedrich, con il suo “Viandante sul mare di nebbia”, in particolare. D’altra parte Kiefer è così: un indistricabile gomitolo di colti riferimenti pittorici, letterari, filosofici, poetici, teologici, astronomici, scientifici e persino cabalistici, che trovano inaspettatamente terreno fertile nello stile, nelle tecniche e nel pensiero, del tutto personali, dell’artista.

Una stanza della mostra, in fondo il dipinto con carciofi "Cynara"-“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

Kiefer è uno dei massimi artisti viventi- ha detto Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra, Arturo Galansino- e la sua ricerca attinge dalla letteratura, dalla filosofia e dalla storia, in una riflessione continua sulla natura dell’essere umano.

Di fronte all’ospite d’onore di un evento certe frasi sono dovute ma Kiefer è un artista al cospetto del quale la rilevanza del lavoro di chiunque altro si incrina. Uno degli unici due contemporanei esposti al Louvre, l’unico ad aver posato una complessa installazione permanente, pittorica e scultorea, al Pantheon di Parigi (nel 2020 su incarico di Macron in persona). Del resto i francesi lo adorano e lui li ricambia vivendo e operando nel loro Paese (sta a Parigi e ha uno studio di 3mila 300 metri quadri a Croissy-Beaubourg, alle porte della capitale; mentre l’ex fabbrica di seta di Barjac, La Ribaute, sua ex-abitazione-studio nel sud, in cui ha costruito un dedalo di gallerie e percorsi sotterranei, sculture, dipinti e padiglioni, è aperta al pubblico). Pluripremiato (anche dalla Germania con la Croce al Merito) è conosciuto per l’impegno che mette nel lavoro e per l’intransigenza verso un certo tipo di collezionismo e di mercato dell’arte (ad esempio si rifiuta categoricamente di esporre in famose fiere, nonostante sia rappresentato dalla prestigiosa Gagosian Gallery). Anche per questo fa dipinti così grandi (ritenuti dal mercato difficili da vendere e movimentare). Che non sono, oltretutto, per niente facili da portare a termine: Kiefer per dipingere viene issato con un carrello elevatore da cui applica il colore con delle spatole (non usa pennelli), come documentato dal regista Wim Wenders nel film “3D Anselm” (uscito lo scorso anno). Usa i materiali più disparati (piante, terra, vetri rotti, metalli, vestiti, semi, paglia, radici ecc.). Anche se predilige quelli che, in passato, usavano gli alchimisti (come il piombo). In mostra a Palazzo Strozzi c’è persino un dipinto (“Cyrana”, dedicato alla mitologia greca e alla storia della ninfa che respinse Zeus) in cui la foglia d’oro è disseminata di veri carciofi (seccati e dorati). E poi fa esperimenti, una volta ha spiegato: “Non uso colori convenzionali e nemmeno la vernice. Uso le sostanze. Una macchia sbiadita che pare rossa, per esempio è ruggine, semplicemente ruggine.” Dice che vuole estrarre "lo spirito che già vive dentro” i materiali e per farlo sottopone le opere a bagni acidi o si limita a colpirle con asce e bastoni.

Visitatori guardano l'installazione “Vestrahite Bilder”(“Dipinti Irradiati”)- “Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

Una delle stanze più stupefacenti della mostra fiorentina di Kiefer, definita da Galansino “una sala che è un colpo al cuore. (…) un ambiente veramente immersivo”, è quella dedicata all’installazione “Vestrahite Bilder(“Dipinti Irradiati”, 1983-2023), composta da sessanta opere di diverso formato, che sono stati irraggiate con il plutonio.

La distruzione è un mezzo per fare arte- ha detto- Io metto i miei dipinti all’aperto, li metto in una vasca di elettrolisi. La scorsa settimana ho esposto una serie di dipinti che per anni sono stati sottoposti a una sorta di ‘radiazione nucleare’ all’interno di container. Ora soffrono di malattie da radiazione e sono diventati temporaneamente meravigliosi”.

I quadri sono stati disposti l’uno accanto all’altro (come si usava anche nel Rinascimento), ad occupare tutte le pareti e l’intero soffitto, e lasciati nella penombra, mentre uno specchio a pavimento permette di vedere al di sopra della propria testa ma, nello stesso momento, dà l’impressione di precipitare (qui, come sempre succede con Kiefer, i riferimenti sono infiniti a cominciare dal tema dell’angelo caduto e dalla Sindrome di Stendhal, per arrivare alla fragilità della vita e alle catastrofi nucleari nella Storia). L’opera è vibrante e la cornice quattrocentesca dell’edificio, fiduciosa e leggere, la completa, le regala la forza (che in un luogo più cupo o privo di storia non avrebbe) per sostenere le reazioni viscerali del pubblico di fronte a un tale bombardamento di simboli e pittura. D’altra parte è Kiefer stesso a ripetere che l’arte è una questione di equilibrio tra ordine e caos. E poi Palazzo Strozzi, che ha visto per la prima volta a vent’anni nel corso di un viaggio in Italia, è uno dei suoi edifici storici preferiti.

“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

Nato l’8 marzo del ’45 a Donaueschingen (graziosa cittadina tedesca nel circondario della Foresta Nera), che proprio quella notte venne bombardata, Anselm Kiefer, avrebbe potuto morire appena nato se non fosse stato all’ospedale, visto che la loro casa venne abbattuta durante l’attacco. Da bambino giocava con le macerie con cui amava costruire casette e piccoli edifici, aveva anche una memoria straordinaria (ha dichiarato che in quel periodo sapeva a memoria 200 poesie) e leggeva molto (passione che non lo avrebbe mai abbandonato). E’ stato iscritto alla facoltà di Diritto e Lingue Romanze che ha però abbandonato per l’Accademia di Belle Arti di Friburgo in Brisgovia prima e l'Accademia d'Arte di Karlsruhe poi. Oggi è uno degli artisti più stimati al mondo e, almeno secondo una rivista mensile tedesca, anche uno dei più ricchi di Germania (lui dice di no) nonostante le sue quotazioni in asta non raggiungano quelle di altri professionisti (ad esempio, l’inglese David Hockney, l’italiano Maurizio Cattelan, o lo statunitense Jeff Koons), le sue opere sono esposte in un consistente numero di autorevoli musei nel mondo. Ha avuto due mogli e ben cinque figli. Chi lo ha conosciuto di persona, dice che, a dispetto dell’aria ascetica e nonostante la vasta cultura di cui dà prova, sia un tipo scherzoso e relativamente alla mano, oltre ad essere un appassionato di macchine e un guidatore impavido.

Con l’Italia ha un legame consolidato (già nell’80 ha esposto alla Biennale di Venezia, mentre nel ’97 è tornato in laguna in occasione dell’Esposizione Internazionale d’Arte per una personale al Museo Correr). Come ha testimoniato la grande mostra tenutasi a Palazzo Ducale di Venezia due anni fa (sempre in concomitanza con la Biennale) e adesso la personale a Palazzo Strozzi. Quest’ultima tuttavia, supera la precedente, perché se nel primo caso Kiefer ha bisticciato con la location per trasformarla in qualcosa di diverso, qui mette in fila le note dominanti della sua poetica modellandole intorno alla melodia degli angeli caduti. Un tema che parla del legame tra divino e terreno ma che fa pure un po' cattivo ragazzo e, anche se in una maniera tortuosa, gli si adatta.

Angeli Caduti” (“Fallen Angels”) la personale di Ansel Kiefer rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 21 luglio 2024. E’ una mostra assolutamente da non perdere.

“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

“Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ela Bialkowska, OKNO Studio Ⓒ Anselm Kiefer.

Arturo Galansino e Anselm Kiefer osservano i particolari di un'opera in mostra- “Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ludovica Arcero, SayWho.

Ansel Kiefer parla nella stanza in cui è collocata l'installazione "Dipinti Irradiati"- “Anselm Kiefer. Angeli caduti”, Palazzo Strozzi, Firenze, 2024. Photo Ludovica Arcero, SayWho.

“Void Pavillion VII”, la straordinaria opera pubblica di Anish Kapoor colora del nero più nero di un buco nero il cuore rinascimentale di Palazzo Strozzi

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Ideato appositamente per il cortile di Palazzo Strozzi (Firenze) in occasione della mostra “Untrue-Unreal”, “Void Pavillion VII”, (Padiglione del Vuoto) dell’artista anglo-indiano Anish Kapoor, non è solo una straordinaria opera d’arte pubblica (accessibile a tutti gratuitamente per l’intera durata dell’esposizione) ma un vero e proprio concentrato di cultura contemporanea che riempie il cuore tardo- quattrocentesco dell’edificio simbolo del Rinascimento. Più di una sfida, quasi un duello.

C’è la psicanalisi, l’ambiguità del pensiero, le avanguardie storiche (sotto forma del Quadrato nero di Kazimir Malevič definito da molti il “punto zero della pittura" da cui Kapoor trae ispirazione per quest’opera), l’evoluzione della scienza, la ricerca sul colore, l’esplorazione del cosmo, la crisi delle fedi, l’individualismo, la dimensione nomade delle arti visive. E che la volta celeste della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, di Brunelleschi in persona, con tutto il suo ordine e la sua armonia, vada pure in frantumi! Tanto se si entra in mostra, al piano Nobile di Palazzo Strozzi, non si potrà non incontrare, “Angel”, con le sue lastre d’ardesia adagiate a terra come una pigra costellazione di isole ricoperte di pigmento blu, che paiono proprio grandi frammenti di cielo.

Void Pavilion VII- ha detto Kapoor- è una struttura formale che fa rima con il palazzo. È un piccolo edificio realizzato per contenere il vuoto o l’oscurità, per dare spazio al non formato o al nascosto. Un luogo per l’unheimlich (l’inquietante ndr): forse in questo senso l’opposto di ciò che intendevano i costruttori di Palazzo Strozzi”.

Il lavoro, settima opera incentrata sul concetto di padiglione del vuoto ed ennesima a servirsi del discusso super-nero che Kapoor usa in esclusiva, è infatti composto da una stanza di un bianco quasi accecante con ingresso ad est, che contiene tre rettangoli neri (uno per parete). Ognuno di essi ha le stesse proporzioni. ma in scala ridotta, della porta (come fosse appunto la sua proiezione nella griglia prospettica rinascimentale). Una sottigliezza formale che serve a tenere insieme l’opera, certo, ma anche un modo per alludere alle dualità contrapposte che sono una vera e propria fissazione di Kaoor (il vuoto che diventa pieno, la forma che non ha forma ecc.)

L’intera visione indiana della vita è incentrata sulle forze opposte. Una cosa che mi affascinava [durante il viaggio che l’artista fece in India del 1979] erano i piccoli santuari e templi lungo la strada, che si trovavano dappertutto in India, e sono specificamente ispirati da questa concezione dualistica”.

Figlio di un generale cartografo induista nato in Pakistan e immigrato in India prima che il figlio nascesse e di una sarta irachena di religione ebraica, Anish Kapoor, ha visto la luce a Mumbai e ha familiarità con la cultura indiana. Anche se non vi è stato esposto molto a lungo. Infatti, dopo aver vissuto qualche anno in un kibbutz ad Israele e aver passato la maggior parte della sua vita adulta in Occidente (soprattutto il Regno Unito dove l’artista ha studiato e risiede fin dagli anni ’70, ma anche l’Italia dove ha uno studio, una casa, e una fondazione che porta il suo nome e sarà operativa dal prossimo anno) Kapoor è molto lontano dal pensiero della patria scelta dai genitori. E proprio questo suo sentirsi sradicato, apolide, è una delle ragioni che l’ha portato in analisi per un lungo periodo di tempo. Viene da sé che il suo lavoro ne abbia fortemente risentito.

Il vuoto è in realtà uno stato interiore. Ha molto a che fare con la paura, in termini edipici, ma ancora di più con l’oscurità. Non c’è niente di più nero del nero interiore. Nessun altro nero è paragonabile a quello [...]. Questo vuoto non è qualcosa privo di importanza. È uno spazio potenziale, non un non-spazio”.

In “Void Pavilion VII” queste riflessioni dell’artista si percepiscono con forza, e non solo perché i tre rettangoli che i visitatori incontrano nella stanza allestita per accoglierli sono dipinti di nero. Ma perché lo spazio e l’essenzialità dei lavori è lì proprio per spingere a meditare a guardare in faccia l’abisso nascosto nel profondo di ognuno di noi. Kapoor non si accontenta di una singola finestra nera, ne mette tre (un riferimento agli antichi polittici), uno per parete. Costringendoci a girare in cerca di un appiglio.

Questo è ciò che voglio- ha spiegato parlando in generale del suo lavoro- il passaggio da un oggetto nell’architettura a un’architettura in sé”.

C’è da dire che il nero dei rettangoli non è un nero comune ma il discusso Vantablack (inventato nel 2014 dagli scienziati dell’inglese Surrey NanoSystems per uso militare, è stato acquistato da Kapoor in esclusiva e rinominato Kapoorblack suscitando polemiche, tanto accese che l’artista Stuart Semple ha a sua volta brevettato dei colori che tutti potevano comperare tranne Kapoor). Un colore talmente scuro da essere più nero di un buco nero, capace di nascondere qualsiasi cosa ci sia sotto di lui comprese le forme (in questo senso le opere che lo utilizzano si possono leggere come una cupa cosmogonia senza stelle ma anche come un luogo dove le possibilità sono infinite). Una sorta di barriera e uno spazio di meditazione capace di renderci consapevoli degli inganni che ci giocano i nostri sensi, di terrorizzarci con i suoi riferimenti a mancanza e morte, ma anche di riconnetterci con le nostre energie primigenie. D’altra parte è l’artista stesso a chiedersi: “Dov'è lo spazio reale dell’oggetto? È quello che si sta guardando o è lo spazio al di là di quello che si sta guardando?”.

Come il quadrato di Malevič le opere in cui Anish Kapoor usa il suo super-nero hanno qualcosa di profondamente spirituale. Non fa eccezione “Void Pavillion VII”, (Padiglione del Vuoto) che fino al 4 febbraio 2024 occuperà il cortile di Palazzo Strozzi di Firenze. Una straordinaria opera d’arte pubblica nata per celebrare l’importante personale “Untrue-Unreal” (in corso fino alla stessa data) che Kapoor ha impiegato anni a preparare.

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

Anish Kapoor, Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice, mixed media, paint; cm 750 × 750 × 750 Images: © photo Ela Bialkowska OKNO studio. Credists: Palazzo Strozzi and the artist

“Untrue – Unreal”: Anish Kapoor a Palazzo Strozzi si confronta con il Rinascimento tra pugni allo stomaco e pura bellezza

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. Endless Column, 1992; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Già dalla prima mattina il centro di Firenze è gremito, c’è gente di ogni nazionalità. Una coppia di giovani coreani si fa fotografare su Piazza del Duomo: sono eleganti e bellissimi, sembrano i protagonisti di una serie tv e forse lo sono davvero. Chissà se anche Anish Kapoor, durante i giri per le strette vie del capoluogo toscano, è stato scambiato per un comune turista? Anche se lui, nato a Mumbai da padre indiano e madre ebrea- irachena, dopo un periodo trascorso in Israele e una vita vissuta nel Regno Unito, ha trovato nell’Italia una nuova patria (possiede una casa a Venezia, città che da un anno e mezzo ospita il suo studio e, dal 2024, vedrà operativa pure la Fondazione Anish Kapoor a Palazzo Priuli Manfrin).

E poi era a Firenze per presentare la sua ultima, importante, mostra.

Anish Kapoor. Untrue Unreal”, infatti, è stata inaugurata lo scorso fine settimana a Palazzo Strozzi, edificio simbolo del Rinascimento e prestigiosa sede espositiva (prima dell’artista anglo- britannico ci sono state, ad esempio, le personali di: Ai Weiwei, Marina Abramović, Tomás Saraceno, Jeff Koons e Olafur Eliasson). Curata da Arturo Galansino (direttore di Palazzo Strozzi e presidente dell’omonima fondazione), era una mostra attesa, che ha richiesto anni di preparazione e presenta un’attenta selezione di alcune tra le opere più importanti del famoso scultore.

D’altra parte, Sir Anish Mikhail Kapoor, classe 1954, dottore onorario dell’Università di Oxford, dopo aver rappresentato l’Inghilterra alla Biennale di Venezia (che l’ha anche premiato), aver vinto il Turner Prize ed esposto al Tempio Ancestrale Imperiale (alle porte della Città Proibita di Pechino) o in santa sanctorum degli artisti come la Royal Accademy e la Turbine Hall della Tate Modern, ma soprattutto aver completato progetti d’arte pubblica che gli hanno regalato la fama planetaria (come la scultura “Cloud Gate” comunemente chiamata “The Bean”- “Il Fagiolo” ora simbolo di Chicago o “Orbit”, la Torre Archelor Mittal, posizionata al Parco Olimpico di Londra) e un discreto conto in banca (il suo turnover annuo è stimato in oltre 10 milioni di euro), non sembra uomo da accontentarsi con molto meno.

Sulla scia della nostra serie di esposizioni- ha detto Arturo Galansino- dedicate ai maggiori protagonisti dell’arte contemporanea, Kapoor si è confrontato con l’architettura rinascimentale. Il risultato è totalmente originale, quasi una sorta di contrapposizione dialettica, dove simmetria, armonia e rigore sono messi in discussione e i confini tra materiale e immateriale si dissolvono. Nelle geometrie razionali di Palazzo Strozzi, Kapoor ci invita a perdere e ritrovare noi stessi interrogandoci su ciò che è untrue o unreal”.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Minuto, look classico- informale, Anish Kapoor, parla con piglio deciso, ride spesso ma sembra anche capace di spazientirsi velocemente, ha un bell’inglese fluente, garbatamente musicale, da quartieri alti, ma sa anche qualche parola in italiano che non si azzarda però a usare durante un’occasione ufficiale. Il che nel complesso è strano dato che in passato pare abbia sofferto di dislessia.

Il titolo della mostra è ‘Untrue- Unreal’- spiega- Perché ciò che è imperscrutabile e illusorio fa parte dell’essenza di ciò che noi siamo. In fondo in questa vita ci siamo per un tempo molto breve, non sappiamo cosa ci sia prima dell’inizio e cosa dopo a fine e questo fa parte della disperazione della condizione umana che è una costante”.

A Palazzo Strozzi c’è anche un lavoro progettato appositamente per il cortile (“Void Pavillion VII” cioè “Il padiglione del vuoto VII”, realizzato con il sostegno della Fondazione Hillary Merkus Recordati) che è accessibile a tutti gratuitamente.

Si tratta di una stanza totalmente bianca (posta al centro dello spazio delimitato dal loggiato) in cui sono posizionati tre rettangoli più neri del nero. Kapoor li ha dipinti con il famoso Vantablack (ideato dalla ditta britannica Surrey Nanosystems, che poi, suscitando polemiche, lo ha concesso in via esclusiva allo scultore, il quale lo ha rinominato Kapoorblack). Il colore, assorbe fino al 99,965% della luce, ed è più nero di un buco nero. Ne consegue che sia impossibile capire se si stà osservando una superficie bidimensionale, un oggetto o un precipizio.

Come fossero finestre sulla fallibilità dei nostri sensi, sulla piccolezza e inadeguatezza della nostra specie, gli scuri rettangoli, ci conducono in uno spazio psichico sull’orlo dell’abisso. D’altra parte, la paura della morte, le domande sull’esistenza, insieme alla sessualità, sono i temi ricorrenti alla base dell’intera opera di Kapoor (da decenni pratica la meditazione zen oltre ad essere stato a lungo in analisi, cose che l’hanno di sicuro influenzato). Così come la ritualità, i simboli e gli oggetti ideali (quelli che ci sono sempre stati senza bisogno che qualcuno li creasse).

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. To Reflect an Intimate Part of the Red. 1981; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Ma, nel frattempo, Kapoor si interroga anche su altre questioni. Ad esempio, su come sovvertire l’armonica simmetria del palazzo rinascimentale (proiezione di un mondo ideale che non lascia spazio alla sofferenza ma nemmeno alla passione e ai colpi di testa). Dimensione, quindi, poco adatta a tutti gli abitanti della contemporaneità e men che meno a lui che con l’autorità e l’ordine precostituito ha sempre avuto problemi (figlio di un ammiraglio- cartografo e di una sarta- quasi stilista ha avuto prima contrasti con i genitori e poi con l’ambiente provinciale indiano ed israeliano incapace di accettare un apolide).

Void Pavillion VII” ci riesce assecondando la simmetria architettonica, per farla assorbire subito dopo dalle voragini oscure dipinte nelle pareti. Mentre per l’esposizione nel suo complesso l’operazione è stata più complicata. “Ha litigato a lungo con il palazzo!” ha detto con una certa dose di humor, Arturo Galansino.

C’è una successione classica di ambienti- ha, poi, spiegato Kapoor- e la difficoltà nel creare questa mostra è stata proprio nell’assecondare questo flusso, questa successione, ma anche nell’interromperlo o sconvolgerlo. E poi tutta la tematica della mostra è sull’oggetto vuoto ma, essendo io pieno di contraddizioni, gli oggetti che vedete sono pieni. Sono pieni di oscurità, sono pieni di riflessi degli specchi e ovviamente questa è una complicazione. Perché ho voluto crearlo in stanze che sono così classiche anche nel rapporto tra gli oggetti, più o meno piccoli, e l’ampiezza della sala”.

Ad ogni modo gli riesce perfettamente. ll rapporto tra i colori, le superfici, le forme e gli ambienti imprime una curvatura inaspettata al percorso del visitatore, dilatando il tempo, ingannando il colpo d’occhio. La mostra sembra più grande di altre che si sono tenute negli stessi ambienti, pur con un numero uguale o inferiore di opere.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Tuttavia, con attitudine teatrale, Kapoor, cattura l’attenzione del pubblico ma non è indulgente verso di lui. Tanto che la prima opera in mostra è “Svayambhu” (termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente), una massa di cera rossa terribilmente scrivente, montata su una rotaia che si muove lentissimamente ma inesorabilmente da una stanza all’altra, attraversando una porta di poco più grande di lei. Tralasciando i rimandi alla carnalità espliciti e violenti che possono suscitare impressione, l’opera non perdona: il visitatore che si avvicina troppo si macchierà scarpe o abiti e dovrà buttare tutto nell’immondizia.

Lo è di più con l’architettura. Le sale risultano abbellite dai pigmenti vivi di opere come “To Reflect an Intimate Part of the Red” o “Endless Column” (in cui le cromie si accumulano alla base delle sculture facendo pensare di rivestire oggetti invisibili o fatti direttamente con polvere colorata) ma anche quando incontrano le sue sculture riflettenti (in mostra ce ne sono parecchie). Forme, spesso concave, prive di linee di saldatura, che restituiscono la realtà in maniera molto originale (deformano, rovesciano, fanno apparire e scomparire le persone senza motivo) mentre valorizzano invariabilmente gli ambienti in cui vengono esposte.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Vertigo, 2006, acciaio inossidabile cm 225 × 480 × 60; Mirror, 2018, acciaio inossidabile cm 195 × 195 × 25; Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300  ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

E se “Angel”, composta da grandi pietre di ardesia che sembrano leggere ricoperte come sono da strati di un pigmento blu intenso, quasi ultraterreno, suggerisce pace e dà l’impressione di ammirare dei frammenti di cielo caduti, la serie in cui usa resine e pittura abbinata ai titoli (sempre, comunque, centrali nel lavoro di Kapoor) può arrivare a suscitare disgusto. Stesso discorso per la sessuale “A Blackish Fluid Excavation”..

La mostra “ Untrue Unreal” di Anish Kapoor, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 4 febbraio 2024.

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Angel, 1990 ardesia, pigmento ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Sala 6: Tongue Memory, 2016 silicone, vernice, cm 250 × 130 × 70 Today You Will Be in Paradise 2016 silicone, vernice cm 250 × 195 × 45 Three Days of Mourning 2016 silicone, tecnica mista, vernice cm 250 × 120 × 70 First Milk, 2015, silicone, fibra di vetro, vernice ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Gathering Clouds, 2014 fibra di vetro, vernice cm 188 × 188 × 39 ciascuno ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi Gathering Clouds, 2014 fibra di vetro, vernice cm 188 × 188 × 39 ciascuno ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Vertigo, 2006, acciaio inossidabile cm 225 × 480 × 60; Mirror, 2018, acciaio inossidabile cm 195 × 195 × 25; Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300  ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Sala 6: A Blackish Fluid Excavation, 2018 acciaio, resina cm 150 × 140 × 740 Tongue Memory, 2016 silicone, vernice, cm 250 × 130 × 70 Today You Will Be in Paradise 2016 silicone, vernice cm 250 × 195 × 45 Three Days of Mourning 2016 silicone, tecnica mista, vernice cm 250 × 120 × 70 First Milk, 2015, silicone, fibra di vetro, vernice ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Void Pavilion VII, 2023; tecnica mista, vernice. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio