Il talento per le illustrazioni Pop di Mr. Ryan Heshka

Ryan Heshka, Cult-ivation, 2023, olio su tela, cm 60x45

L’illustratore canadese Ryan Heshka crea delle immagini che sono concentrati di cultura pop dai toni vintage. Un universo molto maschile, molto occidentale e un po’ nerd, che, per una strana mutazione genetica, dopo essere passato per le sue mani, diventa trendy, raffinato, inclusivo, tanto da essere pubblicato su testate punto di riferimento della cultura woke (come New York Times e Wall Street Journal) e persino su riviste patinate rivolte prevalentemente a un pubblico femminile modaiolo come Vanity Fair (ha lavorato anche per Play Boy, però). In questa curiosa capacità trasformativa di Heshka probabilmente hanno un ruolo il suo senso dell’interior design (è stata una professione che ha praticato dopo essersi laureato in architettura), il debole per la moda, per la natura e le illustrazioni botaniche. Che si mixano poi alla fantascienza, ai fumetti, ai cartoons (ha fatto anche l’animatore in passato), ai b-movie e alle pubblicità anni ’50, dando vita a immagini studiatissime nella scelta dei toni e nella composizione, dove l’ironia si sovrappone al grottesco e il surreale vena appena di poesia il prosaico.

Malgrado la passione per tutto ciò che è vintage Heshka è nato a Manitoba nel ’70: “La mia estetica fin dall'inizio era vintage- ha detto in un’intervista- ero un ragazzo stravagante che cercava immagini di epoche passate. Gli anni Trenta e Quaranta in particolare furono il mio veleno. ADORAVO la vecchia grafica, le illustrazioni, le foto di film, i fumetti dell'età dell'oro, le copertine delle riviste pulp e persino il vecchio design industriale. Ho riflettuto sul perché un ragazzino di Winnipeg negli anni '70 fosse un tale drogato del vintage, e non ho trovato alcuna vera ragione per questo.”

Generalmente le sue illustrazioni tendono a preferire le ambientazioni dark, più adatte ai mesi freddi, ma recentemente ha prodotto una serie di opere intitolata “Spring to Come”, dove i toni del verde vanno a braccetto con misurate quantità di colori pastello. Inutile dire che la sua idea di rinascita e risveglio della vita, però, sia fantasiosamente pullulante di organismi folcloristici e disturbanti, l’infantile e il fiabesco si confrontino con l’orrido (e finiscano per trovarsi a proprio agio in quella che all’inizio avrebbe potuto sembrare una convivenza forzata).

Spring to Come” di Ryan Heshka è attualmente in mostra alla Galleria Colombo Arte di Milano (fino al 28 marzo 2024) che ha descritto così le sue illustrazioni:

un universo fantastico, un mondo folle e selvaggio popolato da pin-up mascherate, temibili femmes fatales, bizzarre chimere, mostri spaziali, supereroi e subumani: variazioni genetiche di ogni sorta, incroci, innesti, ibridi di un’umanità mutata - forse sopravvissuta alla catastrofe prodotta da una singolarità tecnologica (…)”.

Mentre lui si è limitato a dire di aver rappresentato: “la prima generazione di nuove forme di vita, dopo la fine del mondo

Ryan Heshka, Arrangements Made, 2023-2024, gouache e tecnica mista su carta, 26x19 cm

Ryan Heshka, Eden Redux, 2023, olio su tela, 60x45 cm

Ryan Hehska, Hortus Renatus, 2023-2024, gouache e tecnica mista su carta, 51x40 cm

Ryan Heshka, The Blossoming Pond, 2023, olio su tela, cm 60x45

Ryan Heshka, Gladys (with Blue Flowers), 2023, olio su tavola, cm 46x36

Ryan Heshka, The Theremin Tree of Regret, 2023-2024, gouache e tecnica mista su carta, 26x19 cm

Gli arazzi di Melissa Cody che shakerano simboli navajo, colori psichedelici e glitch, al MoMA Ps1

Melissa Cody. 4th Dimension. 2016. 3-ply aniline dyed wool. 26 × 28″ (66 × 71.1 cm). Courtesy the artist

L’artista nativa americana, Melissa Cody, crea dei complessi arazzi dai colori vivaci che mixano abilmente simboli tradizionali Navajo\ Diné (letteralmente Il Popolo, che è il modo in cui i navajo fanno riferimento a se stessi), elementi di storia personale e di cultura pop.

Cody, che lo scorso anno è stata ospite del Museum of Art of São Paulo Assis Chateaubriand (MASP) diretto da Adriano Pedrosa (curatore della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, “Stranieri Ovunque- Foreigners Everywhere”), dal 4 aprile sarà al MoMA PS1 di New York con la personale: “Melissa Cody: Webbed Skies

Nata nell’83 a No Water Mesa in Arizona, Cody, è un’artista tessile di quarta generazione e una fuoriclasse della tessitura Germantown Revival (si chiama così, perché a metà ‘800, quando questa tecnica nacque, i nativi americani disfavano, per poi filarle nuovamente, le coperte fornite loro dai mulini di Germantown in Pennsylvania). Non solo utilizza un telaio tradizionale Navajo, di cui lei stessa ha detto: “una volta che un pezzo è completo, non posso tornare indietro e rifarlo”, ma, a volte, lavora in modo intuitivo (cioè decide cosa rappresentare mentre opera), oltre ad usare colori di origine naturale (dalle tonalità accese, quasi psichedeliche), fatti a mano da lei stessa.

Del resto, Cody, ha cominciato a tessere quando aveva appena 5 anni.

Laureata in arte e studi museali all'Institute of American Indian Arts di Santa Fe e poi stagista al Museum of International Folk Art di Santa Fe e al Museo Nazionale degli Indiani d'America di Washington, si è spostata per gli Stati Uniti e adesso vive a Long Beach in California. Cody, insomma, è una nativa americana contemporanea, fortemente legata alla propria cultura d’origine ma anche una statunitense di oggi. Questo elemento della biografia, spesso si riflette sulle sue opere, creando dei vitali cortocircuiti, come quando la nostalgia per i videogiochi vintage si insinua tra i motivi a rombi tradizionali, oppure: la grafica computerizzata, i glitch delle macchine, l’estetica costruttivista e i tratti del paesaggio, guadagnano un posto d’onore nelle sue creazioni.

A volte, invece, la dualità si manifesta in modo sofferto ed intimo come in “Dopamine Regression” (Regressione della dopamina del 2010), creato per il padre affetto dal morbo di Parkinson, in cui le croci nere nella rappresentazione simboleggiano il profondo dolore della figlia, mentre quelle rosse fanno riferimento sia all’ambito medico che alla dea Navajo, Spider Woman (divinità benevola e forte che insegna l’arte della tessitura). O come in “Deep Brain Stimulation” (Stimolazione cerebrale profonda del 2011) di nuovo dedicato al padre, in cui l’artista trasforma il trattamento neurale per la malattia del genitore in un arcobaleno di colori.

Lei della sua pratica ha detto: “La mia generazione sta portando la tessitura verso un percorso successivo: inserendola in un contesto artistico e utilizzandola anche come strumento per insegnare la storia del nostro popolo

Melissa Cody: Webbed Skies” (dove i cieli del titolo voglio essere elemento unificante delle differenze culturali) al MoMA PS1 di New York, abbraccia l’ultimo decennio di’attività dell’artista nativa americana, con oltre 30 arazzi e presenta tre nuove importanti commissioni. “La mostra- ha scritto il museo statunitense- promuove il dibattito sul futuro indigeno e fornisce un contesto per esplorare la complessità dei materiali, delle tecniche e delle cosmologie indigene”. Organizzata in collaborazione al MASP, è curata da Isabella Rjeille (curatrice MASP) e Ruba Katrib (curatrice e direttrice degli affari curatoriali al MoMA PS1) e si potrà visitare fino al 2 settembre 2024.

Melissa Cody non ha un sito internet ma, a volte, condivide tappe e particolari del suo lavoro su Instagram.

Melissa Cody. World Traveler. 2014. Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes. 90 x 48 7/8 in. (228.6 x 124.1 cm). Courtesy the artist

Melissa Cody. Woven in the Stones. 2018. Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes. 39 1/4 x 23 5/8 in. (99.7 x 60 cm). Courtesy the artist 

Melissa Cody. Deep Brain Stimulation. 2011. Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes. 40 x 30 3/4 in. (101.6 x 78.1 cm). Courtesy the artist 

Melissa Cody. Path of the Snake. 2013. 3-ply aniline dyed wool. 36 × 24″ (91.4 × 61 cm). Courtesy the artist

Melissa Cody. White Out. 2012. 3-ply aniline dyed wool. 17 × 24″ (43.2 × 61 cm). Courtesy the artist


”No Memory without Loss” di Arcangelo Sassolino: un'opera cinetica in bilico tra pittura e scultura

Arcangelo Sassolino No memory without loss 2023 Olio, acciaio, sistema elettrico 330 x 330 x 40 cm Courtesy Arcangelo Sassolino ©

Scenografica e densa di riferimenti agli antichi maestri della storia dell’arte, l’opera di Arcangelo Sassolino, dietro il sentimento di curiosità misto ad ironia suscitato dai marchingegni di cui l’artista si serve, nasconde un’anima tragica. Un’intensa amarezza, che emerge anche dalla sua ultima fatica. L’installazione cinetica ”No Memory without Loss” (2023), infatti, recentemente esposta nella Basilica Palladiana di Vicenza (città d’origine di Sassolino) insieme al “San Girolamo” di Caravaggio e a “Le quattro età dell’uomo” di Antoon Van Dyck, parla dell’ineludibilità della perdita, attraverso un disco rotante ricoperto di pittura ad olio industriale ad alta viscosità in perenne movimento e caduta.

Questo però non ha dissuaso il pubblico che si è riversato numeroso nella sede espositiva. Tanto che “Caravaggio - Van Dyck – Sassolino Tre Capolavori a Vicenza” è arrivata a totalizzare 62 mila visitatori in sole sette settimane (che nei mesi più freddi dell’anno in una città di provincia sono davvero tanti).

Ci teniamo- ha commentato lo Studio Sassolino- a ringraziare l'intero team organizzativo e l'amministrazione (…).Un ringraziamento particolare va al curatore, Guido Beltramini, Direttore del Palladio Museum, e alla curatrice Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese, che con la loro competenza e dedizione hanno creato un legame unico tra le opere d'arte e l'architettura della Basilica Palladiana. Mentre si chiude il sipario, siamo entusiasti di annunciare che altri eventi sono in programma per i prossimi mesi”.

Nato nel ’67 a Vicenza. Arcangelo Sassolino, poco più che ventenne crea un gioco simile al cubo di Rubik attirando l’attenzione di Robert Fuhrer e della Nextoy, che ai tempi rappresentavano la Casio Creative Products. Assunto dalla società per l’ideazione e la produzione di prodotti elettronici si trasferisce a New York, dove rimane per sei anni e dove si avvicina all’arte. Una volta tornato in Italia ricomincia dalla lavorazione del marmo (va a perfezionarsi a Pietrasanta in Toscana), fino a quando non elabora il suo stile distintivo in cui le macchine spinte fino al loro estremo limite, si sposano alle tecniche artistiche più antiche per esprimere concetti di perdita, caducità, imprevedibilità, pericolo, fallimento, violenza. Da allora ha esposto in sedi prestigiose come il Palays de Tokyo di Parigi, o la Biennale di Venezia (ha rappresentato la Repubblica di Malta nel 2022, durante la 59esima edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte).

Rigorosamente analogici ma complessi, i macchinari di Sassolino, richiedono spesso la consulenza di un team di ingegneri ed esperti per suscitare sentimenti viscerali nell’osservatore. Un mix d’arte e fisica, che, oltre ai molteplici riferimenti ai maestri del passato, citando, tra le altre cose, le esperienze dell’arte cinetica europea fino a ricongiungersi agli interrogativi e alle ricerche di artisti contemporanei (ad esempio, in modi diversi, Sun Yuan & Peng Yu e Anish Kapoor).

Il mio obiettivo- ha detto in diverse occasioni- è liberare la scultura dal problema della forma”.

Un concetto che ritorna in ”No Memory without Loss”. L’opera è, infattti, composta da un grande disco, apparentemente collocato in modo precario a parete, ricoperto di colore ad olio ad alta densità di un rosso intenso e profondo (simile nel tono, sia al drappo che copre il San Girolamo di Caravaggio, che al sangue). Il disco ruota su se stesso impedendo al colore, liquido ma vischioso, di colare direttamente a terra. Non prima almeno di aver compiuto varie, e potenzialmente infinite, circonvoluzioni sulla superficie del supporto.

Il disco- ha spiegato lo Studio Sassolino- è un organismo che deve essere ricaricato, riportandovi l’olio colato al suolo. Da un lato è soggetto all’implacabilità del divenire, che conduce alla consumazione della sostanza. Dall’altro resiste alla caduta, a ciò che deve necessariamente accadere”.

La lotta tra la forza di gravità e la resistenza del colore rappresenta quella per la vita, la superficie circolare evoca una cupa cosmogonia. Ma l’opera, che fa anche riferimento all’Informale e all’Espressionismo Astratto, non respinge, è anzi piacevole da guardare; dotata di fascino tattile, ha un ché di ipnotico. In perfetto equilibrio tra pittura e scultura, lascia al caso il compito di scegliere i motivi in aggetto dallo spazio bidimensionale. Mentre il fatto che questi ultimi mutino continuamente mette in discussione l’immutabilità delle opere d’arte nello scorrere del tempo (malleabili alle diverse interpretazioni che segnano i periodi storici). Il colore industriale come la precisione ingegneristica indirizzano, infine, il pensiero verso le innovazioni tecnologiche, il mondo del design e della produzione industriale.

Arcangelo Sassolino ha un sito internet e un account instagram, che permettono di vedere diverse immagini di “No Memory without Loss” ma anche di altre sue opere, per farsi un’idea del loro complesso funzionamento e dell’energia che sprigionano.

Caravaggio - Van Dyck – Sassolino Tre Capolavori a Vicenza, Basilica Palladiana di Vicenza, veduta dell'installazione. Fotografia: Lorenzo Ceretta

Arcangelo Sassolino No memory without loss (particolare) 2023 Olio, acciaio, sistema elettrico 330 x 330 x 40 cm Courtesy Arcangelo Sassolino ©

Caravaggio - Van Dyck – Sassolino Tre Capolavori a Vicenza, Basilica Palladiana di Vicenza, veduta dell'installazione. Fotografia: Lorenzo Ceretta