Il mondo antico e avveniristico di Lu Yang, che cerca l’anonimato e va in estasi durante una spaventosa turbolenza aerea

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

Ispirata alla religione e alla scienza ma anche alla fantascienza, ai videogiochi e ai manga l’opera dell’artista cinese, Lu Yang, è psichedelica, energica, inquietante, un po’ horror un po’ gioiosa e, occasionalmente, raccapricciante. Si tratta per lo più di corti, mediometraggi e immagini in CGI (anche se non è estranea alla pittura), che oscillano dall’impianto narrativo di un vero e proprio film, a quello di un video musicale, senza dimenticare di fare un salto per il format dei giochi elettronici. C’è tanta musica (molto coinvolgente) e i protagonisti (che hanno tutti il volto di Lu Yang) ballano parecchio. Oltre a trovarsi ad affrontare situazioni strane, paradossali e grottesche (per esempio: un camion decorato che sfreccia nell’aldilà; un paziente che si fa fare un esorcismo con la stimolazione magnetica transcranica; un supereroe su un assorbente alato cerca di salvare il mondo, usando un neonato attaccato al cordone ombelicale, come mazza). Sono tutti senza genere e hanno trucco, acconciatura ed abbigliamento appariscenti; a volte sono vestiti come divinità induiste (ma con rifiniture al neon per un tocco sci-fi che non può mancare).

Tuttavia, malgrado il gusto marcatamente vistoso, l’opera di Lu Yang, non deve ingannare. L’artista, in fondo, si occupa di temi vecchi come il mondo: la vita, la morte, la decadenza e l’impossibilità di controllare le trasformazioni biologiche, la sede dell’anima. Spesso inserita in mostre sul post-umano, Lu, aggiunge a questo canovaccio interrogativi più contemporanei come quelli sull’esistenza digitale, sul corpo, l’identità e il tempo nel quadro pixelato di uno schermo. Oltre a riflessioni estemporanee, che la sua curiosità e il suo vulcanico genio creativo le suggeriscono.

Ed è proprio questo matrimonio tra passato e presente, uno dei punti forti del suo lavoro. In cui l’influenza della cultura buddista, elementi di medicina cinese, studi sulle neuroscienze, informatica, estetica e divinità induiste, oltre a un’infinità pressoché illimitata di cenni pop, coesistono armoniosamente.

41 anni, Lu Yang, vive e lavora a Shangai con il suo carlino Biabia (di cui condivide spesso immagini sul suo account instagram), dice di non uscire frequentemente e di sentirsi a disagio nelle occasioni di ritrovo che la sua professione richiede. Non le piace stare sotto i riflettori, anzi ricerca l’anonimato ed è per questo che non ama rilasciare interviste, farsi fotografare e dare un genere ai suoi avatar digitali. Preferisce passare il tempo al computer. Anche se ultimamente si è trovata a dover abbandonare sempre più spesso la sua confort zone. Perché Lu Yang stà diventando un artista famosa; anche in occidente, dopo aver conquistato un vasto pubblico in patria.

Una volta- ha scritto di recente- ho letto una teoria da un libro, parla di come cerchi di ottenere le cose essendo molto più dedicato e determinato di chiunque altro. Con quella quantità di dedizione e determinazione, l'universo sarà sincronizzato con te e il potere della tua volontà, quindi l'universo utilizzerà ogni risorsa che può comandare per aiutarti a raggiungere il tuo obiettivo”.

Lo scorso anno ha partecipato alla 59esima Biennale di Venezia, ha esposto in vari musei in giro per il mondo ma si è anche aggiudicata l’undicesima edizione del premio “Artist of the Year” della Deutsche Bank, che le ha fruttato una mostra al Palais Populaire di Berlino. Oltre a una personale che ha inaugurato lo scorso 14 settembre al Mudec di Milano.

Si intitola “DOKU Experience Center”, dal nome del nome dell’avatar digitale prediletto dell’artista (Dokusho Dokushi, o DOKU in breve), o meglio, dalla reincarnazione digitale che la rappresenta in maniera più completa. Ma ci sono anche gli altri:

L’esposizione- spiega il Mudec- mette così in scena insieme e per la prima volta i sei diversi avatar creati da Lu Yang – Human, Heaven, Asura, Animal, Hungry Ghost, Hell – che incarnano i sei regni di rinascita del Samsara, la ruota karmica della vita che simboleggia l'eterno ciclo di nascita, morte e reincarnazione”.

Tra le opere c’è anche il video “DOKU the Self”, che è stato presentato l’anno scorso alla Biennale. Un vero e proprio film, marcatamente narrativo, di cui Lu Yang ha raccontato la genesi in un’intervista rilasciata alla rivista artnet: “(…) Nel 2020 ho fatto un'esperienza di volo in cui ho provato una meravigliosa estasi così forte da ripercuotersi ancora oggi su ogni momento del mio presente. L'aereo ha attraversato un temporale. Vidi fulmini vicini e lontani, che formavano un angolo verticale rispetto alla città. L'aereo si muoveva su e giù tra tuoni e forti piogge. Ho sentito il fulmine proprio accanto a me, apparire e scomparire tra le nuvole. Altri passeggeri sono stati presi dal panico o hanno urlato, ma io ho guardato fuori dal finestrino, stupita. Ho sperimentato l'estasi, osservando sia il soggetto che l'oggetto. Il tempo era fermo, o non c'era affatto tempo. Lo spazio sembrava non essere più quello che avevo usato per concettualizzarlo. (…) È stato così meraviglioso che volevo saperne di più, quindi ho cercato online per vedere se altri avevano esperienze simili. E ho scoperto che quello che ho provato è molto simile al cosiddetto ‘effetto panoramica’, anche se di solito è sperimentato dagli astronauti nell'universo molto più distante (…)”.

DOKU the Self”, così come in genere le opere dell’artista, si può vedere anche sulla piattaforma Vimeo e sul suo sito (lo trovate anche qui, dopo questo testo, nella versione hd). Durante le esposizioni, però, grazie ai dispositivi messi a disposizione del pubblico e all’altissima risoluzione, l’esperienza dei film è infinitamente migliore. Senza contare che in mostra c’è anche materiale recentissimo.

L’esposizione di Lu Yang, “DOKU Experience Center”, curata da Britta Färber (Global Head of Art di Deutsche Bank ) è in corso al Mudec di Milano /dal 14 settembre a 22 ottobre 2023). Inoltre è possibile curiosare sul sito dell’artista o seguirla attraverso i vari social.

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Matrix, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 4:42 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Heaven, 2022 From the series Bardo #1, UV Inkjet Print on Aluminum Dibond, LED light system Diameter 120 x 4 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin Deutsche Bank Collection

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Human, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Asura, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Animal, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 DOKU Hungry Ghost, 2022 From the series DOKU Six Realms of Reincarnation, light box 150 x 97.5 x 5 cm © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang: DOKU Experience Center “Deutsche Bank Artist of the Year” 2022 Film Still from DOKU the Self, 2022 3D-Animationsfilm / 3D animation film 36 min. © LuYang, courtesy the artist and Société, Berlin

LuYang, 2023 Foto / Photo: © Wang Shenshen

Banksy fa causa al Mudec di Milano (ma non al Museo di Baden Baden) . Il giudice fa ritirare il merchandising per il resto gli dà torto

la camera Bansky dell’Hotel Walled Off di proprietà dell’artista di Bristol. photo via Designboom

la camera Bansky dell’Hotel Walled Off di proprietà dell’artista di Bristol. photo via Designboom

La società Pest Control, creata da Banksy per tutelare il proprio marchio, alla fine dello scorso anno ha fatto causa agli organizzatori della mostra “A Visual Protest. The Art of Banksy” (in corso fino al 14 aprile al Mudec di Milano). L’azione legale non è stata un successo. Anzi. Ma soprattutto contribuisce a far emergere le contraddizioni di un artista che combatte un sistema di cui, volente o nolente, è parte. Vero anche però che il Mudec ha mancato di tatto, vista la poetica di Banksy, nel decidere per un evento a pagamento anziché per uno ad ingresso gratuito.

L’esposizione non era autorizzata (come del resto tutte le altre) e si sapeva, era chiaramente scritto ovunque. Sull’autenticità delle opere poi, tutte comperate da acquirenti che hanno consentito ad esporle, non c’erano dubbi. Così Banksy ha deciso di contestare altri aspetti. Il merchandisign, l’uso del suo nome, la riproduzione delle sue opere su catalogo e materiali promozionali vari.

Il giudice del Tribunale di Milano gli ha dato ragione solo per quanto riguarda il merchandising (agendine, quaderni, cartoline, gomme, segnalibri) che sono stati ritirati dal bookshop del Mudec. Per il resto la società 24 Ore Cultura (che appartiene al gruppo che edita il Sole 24 Ore) ha avuto la meglio. Lecito usare il suo nome, visto che non facendolo sarebbe stato difficile informare il pubblico dell’evento. Idem per le riproduzioni su materiale promozionale gratuito. Per quanto riguarda il catalogo (che invece si paga e quindi porta un introito) l’artista per far valere le sue ragioni dovrebbe dimostrare di essere il titolare dei diritti di riproduzione delle opere (che sono state vendute e editate su consenso dei proprietari). Insomma per farlo L’identità di Banksy dovrebbe essere svelata.

Fin qui i fatti della disputa tra l’artista di Bristol e gli organizzatori della mostra milanese. Ma per avere un quadro completo è necessario ricordare gli eventi degli ultimi mesi: Girl with Balloon viene venduta da Sotherby’s alla cifra record (per una sua opera) di 1 milione e 42 mila sterline ma si distrugge di fronte al pubblico; il tritadocumenti inserito in cornice si blocca e l’opera viene tagliata solo a metà; i media ne parlano; Banksy sostiene di aver voluto rendere manifesta la sua avversione al sistema delle aste; la Pest Control, tuttavia, autentica nuovamente l’opera e le cambia nome in Love is in the Bin; Love is in the Bin è stato esposto a Baden Baden al Museum Frieder Burda (creato dall’omonimo influente collezionista) dove rimarrà fino al 3 marzo.

Ed è soprattutto quest’ultimo fatto a interessarci: perchè Banksy non ha fatto causa al Museum Frieder Burda. Le due mostre si tengono contemporaneamente ed entrambe non sono autorizzate. Va detto che il Burda espone una sola opera (quindi nessun catalogo) e che l’accesso è gratuito. Ma è pure vero che Love is in the Bin è l’unica cosa nel museo tedesco la cui visione non sia a pagamento e la maggior parte delle persone accorse per il Banksy della TV spenderà del denaro per vedere anche altro. (via Artsy News, il Sole 24 ore)

Banksy, Love is in the Bin

Banksy, Love is in the Bin