Museo il nuovo motore di ricerca delle immagini dei capolavori che fa cilecca ma resta una grande idea

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Chiamatelo “Search Engine”, permettendovi un anglicismo, o semplicemente “Motore di Ricerca”, ma “Museo” è destinato a rivoluzionare il settore delle immagini di opere d’arte. Permette, infatti, di trovare per parola chiave: dipinti, sculture, opere grafiche e chi più ne ha più ne metta, rigorosamente in licenza Creative Commons. Per ora presenta falle e limiti ma l’idea resta comunque un unicum.

Ideato da Chase McCoy, Museo, si chiama proprio così in italiano, anche se per adesso attinge alle sole immagini di capolavori conservati all' Art Institute of Chicago, al Rijksmuseum di Amsterdam, al Minneapolis Institute of Art e alla New York Public Library. E’ in grado di scovare riproduzioni in licenza Creative Commons (solitamente zero) per argomento (la ricerca va fatta in inglese ma con Google Translate a portata di mano chi non può usare termini come journey, nature o Japan, solo per fare alcuni esempi, al giorno d’oggi?)

Non sempre funziona. Che sia l’orario, o tenda a impantanarsi se una parola chiave ha dato risultati infruttuosi, stà di fatto che Museo per ora presenta dei punti deboli e dei limiti.

Ma ha appena cominciato la sua attività e gli spazi di miglioramento sono infinitamente vasti. Senza contare che l’idea è rivoluzionaria: ti servono immagini gratuite per illustrare un testo? Vuoi rinnovare il design di qualcosa o ideare un’opera partendo da una preesistente senza mettere mano al portafoglio? Ecco la risposta alle tue richieste in un unico sito.

"Ogni immagine che trovi qui- recita la pagina di Museo- è di pubblico dominio e completamente gratuita da usare, anche se si consiglia di accreditare l'istituto di origine!"

Il motore di ricerca di immagini in licenza Creative Commons, Museo, permette di incappare anche in oggetti curiosi provenienti da un passato lontano e in testimonianze di Storia delle Arti Applicate. (via Open Culture)

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In migliaia accettano la sfida del museo Getty e ricreano capolavori del passato con ciò che hanno in casa

immagini di @gettymuseum

immagini di @gettymuseum

Migliaia di persone in tutto il mondo hanno accettato la sfida lanciata dal museo Getty di ricreare opere d’arte classiche con ciò che si sono trovate tra le mani durante la quarantena. Vestiti vecchi, pigiami, scriugamani oppure cibo. E ne sono venuti fuori dei piccoli capolavori di creatività e autoironia che il museo ha pubblicato sulle proprie pagine social.

L’idea del Getty in realtà non è originale ma riproduce un’iniziativa del Rijksmuseum di Amsterdam. Che a sua volta si è ispirato al geniale account instagram Between Art and Quarantine. Entrambe esperienze coronate da successo. Insomma, il Getty quando ha lanciato la sua sfida aveva ragione di pensare che il pubblico non sarebbe rimasto freddo ma le risposte sono state talmente tante da stupire gli stessi organizzatori.

C’è’ chi si è buttato sulla china che conduce all’astrazione usando vestiti, biancheria da letto e tappeti per ricostruire Il Bacio di Gustav Klimt. Chi ha dato vita all’ Urlo di Edvard Munch su una fetta di pane tostato. E ancora chi ha arrualato il proprio cagnolino per interpretare la parte della Ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer. Ma la lista è lunga e i periodi storici variano da remote epoche del passato fino alla contemporaneità (su Between Art and Quarantine ci sono anche imitiazioni di opere di Jeff Koons e Marina Abramović). Tuttavia la maggior parte delle preferenze si sono concentrate sull’arco di tempo che dal Rinascimento porta fino all’Impressionismo e poco oltre.

Il Getty pubblica su Twitter e su Instagram le foto di questi nuovi capolavori in bilico tra la quotidinaità ferita della quarantena e l’arte di arrangiarsi. Ma non va dimenticato di sbirciare su Facebook cosa hanno fatto i fan del Rijksmuseum e naruralmente quelli di Tra Arte and Quarantena. Da spulciare anche l’hashtag #betweenartandquarantine. (via The Iris)

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Le rappresentazioni di Amabie, lo Yōkai giapponese che sconfigge le epidemie, diventano virali sui social

Gli Yōkai, fantasmi o strane apparizioni, sono figure mitologiche radicate nel folklore giapponese. Amabie è uno di loro. E le sue rappresentazioni stanno spopolando sui social dall’inizio dell’epidemia di COVID-19.

Sul sesso di questa strana creatura, in parte marina in parte terrestre, non è dato sapere. Probabilmente si tratta di una sirena a tre zampe ma chissà. Quel che è certo è che la leggenda vuole che faccia la sua comparsa nel mare della provincia di Higo ( Prefettura di Kumamoto) alla metà del maggio 1846.

La storia vuole che abbia detto di essere un Amabie ad un funzionario del governo giapponese inviato per indagare. Ma che soprattutto gli abbia riferito questo messaggio : "Il buon raccolto continuerà per sei anni dall'anno in corso; se la malattia si diffonde, mostra una mia immagine a coloro che si ammalano e guariranno. "

Proprio per questo la leggenda vuole che la gente faccia disegni di Amabie durante un’epiedemia e condivida le sue immagini, in modo che il maggior numero di persone possibili, e soprattutto i malati, le possano vedere.

Dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, sui social quest’ antica storia è ritornata di attualità. E le illustrazioni, ma anche i pupazzi e le gif animate, che ritraggono Amabie hanno invaso Twitter e Instagram. (via Spoon and Tamago)

gif animata di Tomotaka

gif animata di Tomotaka

sfondi per telefono di tettetextile

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dell'illustratore Satake Shunske

dell'illustratore Satake Shunske