Pangea Photo Festival: Tra paesaggi mozzafiato e globalizzazione, ben sei mostra di fotografia internazionale. Sull'Appennino di Reggio Emilia

Lucas Foglia, Human Nature. Maddie with Invasive Water Lilies

Lucas Foglia, Human Nature. Maddie with Invasive Water Lilies

Una sola terra, comunità umane apparentemente lontane ma sempre più interconnesse, sono il filo conduttore del Pangea Photo Festival di Castelnovo ne’ Monti (in provincia di Reggio Emilia). Una carrellata di fotogrofia (in gran parte internazionle) da mozzare il fiato, sospesa tra ecologia, cronaca e globalizzazione (senza dimenticare di passare per la tecnologia). Negli edifici e outdoor. Per un totale di ben sei mostre immerse nel verde. A 750 metri sull’Appennino Tosco- Emiliano.

Pensato per diventare un appuntamento fisso, il Pangea Photo Festival è stato inaugurato in febbraio. Ma, come tutte le altre esposizioni sul territorio nazionale, è stato poco accessibile per le restrizioni dovute alla pandemia. Ad organizzarlo "un gruppo informale di giovani abitanti dell’Appennino Reggiano" (insieme al Comune di Castelnovo ne’ Monti e con il sostegno di A.S.C. Teatro Appennino).

Il festival mette insieme il lavoro del giovane ma già affermato fotografo newyorkese Lucas Foglia (il suo lavoro è conservato, tra le altre, nelle collezioni del San Francisco Museum of Modern Art, and Victoria and Albert Museum), con il viaggio epico ed avventuroso compiuto in contemporanea da Khadir Van Lohuizen & Yuri Kozirev in mezzo ai ghiacci (premiato in Francia con il prestigioso Carmignac Photojournalism Award). Con i sette anni di ricerca di soluzioni innovative e pratiche agricole d'avanguardia per tentare di ridurre la fame nel mondo di Luca Locatelli (per questo progetto è entrato nella ristretta rosa dei finalisti del World Press Photo Award 2018, ma il suo lavoro è pluripremiato). Passando per l’opera della fotografa ed artista giordana Tanya Habjouqa, che ritrae momenti di svago in zone dei medioriente considerate senza pace. Oltre a quello dei professionisti originari di Reggio Emilia: Piergiorgio Casotti (è anche filmmaker e attualmente risiede a New York) qui a raccontarci con delicatezza il difficile mondo giovanile groenlandese e Michele Cattani (adesso risiede in Mali, il suo lavoro è stato, tra gli altri pubblicato da New York Times) , che con l’occhio del cronista ritrae l’attalità del Mali

Crediamo fortemente – hanno detto gli organiizzatori - che la narrazione attraverso la fotografia d’autore possa aiutare a riconnettersi profondamente con storie all’apparenza lontane, ma che riguardano tutti e talvolta possono anche essere determinate dalle piccole scelte quotidiane di ciascun individuo”.

Il Pangea Photo Festival ha prorogato le sei mostre di fotografia (quelle indoor fino al 28 maggio e quelle outdoor fino al 27 giugno 2021), che da lunedì saranno di nuovo visitabili a Castelnovo ne’ Monti di Reggio Emilia. Da non perdere gli instagram di Lucas Foglia e Luca Locatelli. Oltre, naturalmente, a quello degli altri artisti e del Pangea Photo Festival stesso.

“Arctic New Frontier” di Khadir Van Lohuizen e Yuri Kozirev:

Khadir Van Lohuizen e Yuri Kozirev, Arctic New Frontier

Khadir Van Lohuizen e Yuri Kozirev, Arctic New Frontier

Per la prima volta in Italia “Arctic New Frontier” è un progetto monumentale (in collaborazione con NOOR e Fondation Carmignac). Per realizzarlo, l’olandese Khadir Van Lohuizen e il russo Yuri Kozirev, hanno percorso 15mila chilometri nel giro di sei mesi in mezzo ai ghiacci del Circolo Polare Artico. I due fotografi hanno seguito itinerari diversi. Van Lohuizen, partito daall'isola di Spitzberg, nelle Svalbard (Norvegia); si è spostto fino in Groenlandia ed ha, per esempio, incontrato scienziati che hanno scoperto l’esistenza di fiumi ghiacciati sotto la calotta di ghiaccio e abitanti della zona. Mentre Kozirev, ha costeggiato il Mare di Barents e viaggiato su una portacontainer raccogliendo le testimonianze di persone che si sono ammalate a causa dell’estrazione del nichel.

"In Arctic: New frontier i due fotografi, vincitori del premio Carmignac, mostrano lo scioglimento dei ghiacci, i cambiamenti nella vita quotidiana delle popolazioni e l’aumento delle attività militari nella regione. Il loro viaggio rappresenta la documentazione più completa sulle condizioni attuali nell’Artico. I due fotoreporter hanno lavorato contemporaneamente nell’area artica del pianeta, sotto la guida di Jean Jouzel, climatologo, vincitore del Vetlesen Award 2012 e co-vincitore del Nobel Peace Award 2007 come direttore dell’IPCC"..

Location: Outdoor. Sui muri che da Piazzale Mantova portano all’Eremo di Bismantova.

Fino al: 27 giugno 2021.

Khadir Van Lohuizen e Yuri Kozirev, Arctic New Frontier

Khadir Van Lohuizen e Yuri Kozirev, Arctic New Frontier

“Human Nature” e “Frontcountry” di Lucas Foglia:

Lucas Foglia, FRONTCOUNTRY. Tommy Trying to Shoot Coyotes

Lucas Foglia, FRONTCOUNTRY. Tommy Trying to Shoot Coyotes

Presente con due serie di fotografie Lucas Foglia si occupa dell’importanza della natura nelle nostre vite. Ecologia e cambiamento climatico certo ma anche documentazione del momento storico, con uno sguardo a tratti poetico a momenti divertito, fino a ritrarre il modo in cui noi e la Natura ci riadattiamo a una convivenza. Il progetto “Human Nature” fotografa, appunto, questo tentativo di ritrovare vicinanza in contesti diversi. Mentre “Frountcountry” ci racconta il West di oggi, tra sfruttamento minerario poco redditizio, regioni agricole ma spopolate, mutui in banca e tradizioni rilette dalle necessità di un occidente dimenticato.

Location: Indoor. Palazzo Ducale.

Fino al: 28 maggio 2021.

Lucas Foglia, Human Nature. Matt Swinging between Trees

Lucas Foglia, Human Nature. Matt Swinging between Trees

Lucas Foglia, Human Nature. Kenzie inside a Melting Glacier

Lucas Foglia, Human Nature. Kenzie inside a Melting Glacier

Lucas Foglia, FRONTCOUNTRY. Casey and Rowdy Horse Training

Lucas Foglia, FRONTCOUNTRY. Casey and Rowdy Horse Training

Lucas Foglia, FRONTCOUNTRY. Jewett Elk Feedground

Lucas Foglia, FRONTCOUNTRY. Jewett Elk Feedground

“Future Studies” di Luca Locatelli:

Luca Locatelli, Future Studies

Luca Locatelli, Future Studies

Con il progetto "Future Studies", Luca Locatelli, riflette sul punto d’equilibrio ideale tra innovazione tecnologica e sostenibilità. Lo fa attraverso uno sguardo misurato ma teatrale, tra il meravigliato e l’ironico che gioca sulla dicotomia tra linee rette e forme organiche (naturali \morbide) o luci. Future Studies dura da sette anni ed è ancora in corso. Qui ci sono immagini dei capitoli sulle soluzioni tecnologice per minimizzare l’impatto delle carestie ("The Future of Farming") e sui siti di smistamento rifiuti in tempi di Economia Circolare (“The End of Trash. Circular Economy Solutions”).

Sede: Indoor. Corte Campanini (cortile interno Istituto Merulo Biblioteca Crovi).

Fino al: : 28 maggio 2021.

Luca Locatelli, Future Studies

Luca Locatelli, Future Studies

Luca Locatelli, Future Studies

Luca Locatelli, Future Studies

“Occupied Pleasures” di Tanya Habjouqa:

Tanya Habjouqa, Occupied Pleasures

Tanya Habjouqa, Occupied Pleasures

Nella serie “Occupied Pleasures” la fotografa giordana Tanya Habjouqa (resciuta però tra Medio Oriente e Stati Uniti) ritrae momenti di svago e relax quotidiano in zone difficili (nella Cisgiordania occupata, a Gerusalemme e a Gaza), dove il movimento era limitato anche prima della pandemia e l’agenda dello sviluppo del territorio piegaa ad altre urgenze da smpre. Lo fa con brio e ironia.

Location: Indoor. Palazzo Ducale

Fino al: 28 maggio 2021.

Tanya Habjouqa, Occupied Pleasures

Tanya Habjouqa, Occupied Pleasures

“Fulani” di Michele Cattani:

Michele Cattani, Fulani

Michele Cattani, Fulani

Michele Cattani documenta, con impietoso realismo, la vita delle migliaia di sfollati che vivono in un deposito rifiuti a sud della capitale del Mali. In fuga della guerra nel centro del Paese, queste persone, per lo più appartenenti a un gruppo di pastori di etnia Fulani, oggetto di violenza ed eseguzioni sommarie, non hanno avuto altra scelta che trasferirsi lì. La serie si chiama, appunto, “Fulani”.

Location: Indoor. Ex Pretura.

Fino al: 27 giugno 2021.

“Sometimes I cannot smile" di Piergiorgio Casotti:

Piergiorgio Casotti, Sometimes I cannot smile

Piergiorgio Casotti, Sometimes I cannot smile

In “Sometime I Cannot Smile”, Piergiorgio Casotti, documenta con sctti in biancoe e nero sfumati ed eleganti, oltre che con evidente partecipazione emotiva, il senso di vuoto che segna a cultura giovanile groenlandese. Paese in cui il tasso di suicidi è molto alto.

Location: Via Roma dal numero 61 al 71.

Fino al: Outdoor. 27 giugno 2021

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Pangea Photo Festival, particolare dell’installazione

Con "Life" Olafur Eliasson rifà la sede firmata Renzo Piano della Fondazione Beyeler per riempirla d'acqua e piante

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

La sede della Beyeler Foundation di Riehen (nei pressi di Basilea), progettata da Renzo Piano, si prestava, perchè all’esterno aveva già un laghetto. Così all’artista danese-islandese Olafur Eliasson (famoso, tra gli altri, il suo progetto Ice Watch), per creare l’installazione “Life”, è stato solo necessario (si fa per dire) eliminare la vetrata e sostituire tutti i pavimenti con altrettante vasche d’acqua. Ovviamente poi è stata la volta delle piante (felci galleggianti, ninfee nane, lattughe acquatiche, fiori galleggianti a radice rossa e caltropi d'acqua), delle luci UV, dei microrgnismi, dei colori fluorescenti e via discorrendo. Ma a quel punto il lavoro si poteva dire completo.

L’opera, ideata per la fondazione svizzera, coniuga a livello sia pratico che teorico l’amore per l’architettura di Eliasson con la creazione artistica. Prende, infatti, le mosse da una vera e propria riconfigurazione architettonica che diventa parte integrante dell’opera d’arte. Oltre ad essere un modo estremo di fare installazione site-specific.

L’idea era quella di abbattere i muri che dividono Cultura e Natura.

"Quando Sam Keller, il direttore della Fondazione Beyeler, e io abbiamo discusso per la prima volta della mostra un paio di anni fa, ho pensato, perché non invitiamo tutti alla mostra? Invitiamo il pianeta: piante e varie specie- ha spiegato Olafur Eliasson- Al di là della semplice apertura di una porta, ho deciso di rimuovere i confini strutturali che tengono fuori dall'istituto l'esterno, e sono grato alla Fondazione Beyeler e all'architetto Renzo Piano, che ha costruito il museo, per avermi lasciato assumere il compito di rimuovere accuratamente - e con cura- la facciata in vetro dall'edificio. "

Olafur Eliasson ha creato le condizioni, insomma, perchè l’esterno e l’interno si ibridassero e interagissero, fino a diventare una cosa sola. In maniera che non solo il clima e il colpo d’occhio fossero uguali, ma anche la maggioranza delle forme di vita (insetti e piccoli animali che popolano il parco o i vicini giardini pubblici).

Non a caso (e coerentemente) Life è aperta a tutti: sia al pubblico umano che a quello non umano ( se appena possibile deciderete di visitarla potrete portare il vostro cane o il gatto, per intenderci).

Aperta a sguardi digitali attraverso la speciale telecamera prismatica (che simula l’occhio degli insetti). La mostra è visitabile anche la notte (per questo sono stati necessari fari uv ,e un colorante fluorescente chiamato uranina, che illuminano tutta l’area).

Olafur Eliasson per ideare quest’opera si è ispirato agli scritti dall'antropologa Natasha Myers , secondo la quale all'antropocene dovrebbe seguire il "planthroposcene". Ma l’ha anche ripensata in chiave più astratta e simbolica, dall’imporsi della pandemia in avanti, come specchio dell’interconnessione delle cose e di tutto ciò che non possiamo controllare.

Mentre scrivo questo post non è ancora possibile viaggiare verso la vicinissima Svizzera. Tuttavia “Life” di Olaufur Eliasson rimarrà alla Fondazione Beyeler di Basilea fino a luglio 2021. Tra le altre modalità di visita in presenza da segnalare quella attraverso una conversazione informativa . Il sito internet di Olafur Eliasson e la sua pagina Instagram sono fino ad allora ricche di contenuti. (via Artnet)

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Spugne e coralli d'argilla scolpiti da Marguerita Hagan, tanto realisti da richiedere mesi di lavoro

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Di Philadelphia Marguerita Hagan, è appasssionata di vita sottomarina. Gli organismi che popolano le profondità oceaniche, anche i più minuti, quelli che non si vedono a occhio nudo, la affascinano e nel tempo sono diventati il centro della sua pratica artistica.

La Hagan li osserva, li studia, e poi da loro trae ispirazione per le sue sculture d’argilla dipinta. Non si può dire che li riproduca, perchè la maggior parte delle volte li rielabora in creazioni che, però, mantengono inalterato lo stupore che l’artista prova di fronte alla quasi miracolosa visione di queste creature.

E’ il caso della recente serie “Marine Abstracts” in cui il nome stesso rende evidente la volontà di Marguerita Hagan di reinventare le architetture marine organiche in forme ripetitive fino ai limiti dell’astrazione. Come nel capitolo dedicato alle spugne di mare (“Cayman Crush” perchè l’artista, in questo caso, ha osservato organismi delle isole britanniche situate nel Mar dei Caraibi), che Hagan sceglie per il loro importante valore all’interno dell’escosistema degli oceani (ma anche come simbolico in termini di cura umana). E che modella con maniacale precisione in migliaia di protuberaze, buchetti e volute.

"Le spugne sono il sistema di filtraggio dell'oceano che elimina oltre il 90% dei suoi batteri-scrive sul suo sito- producendo anche ossigeno. Il primo trattamento per l'HIV è stato modellato sui composti di una specifica spugna marina e il primo farmaco per il cancro di origine marina proveniva dalle spugne di mare. L'elenco continua a rendere la protezione del più grande ecosistema del nostro pianeta, l'oceano, un investimento cruciale."

A stupire tuttavia è la tecnica scelta da Hagan. Un processo talmente lungo e scrupoloso (eseguito totalmente a mano), tanto che alcune sculture possono richiedere mesi di lavoro prima di essere completate. D’altra parte, una volta lavorata la ceramica viene cotta dalle otto alle dieci volte. E poi dipinta con smalti: bianchi, rosa e lilla.

Per vedere altre creature marine, studiate e reinventate da Marguerita Hagan nelle sue impressionanti opere ceramiche d’arte applicata, il sito internet dell’artista e il suo account instagram potranno essere d’aiuto. (via Colossal)

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