Gli artisti rendono omaggio a George Floyd con murales, installazioni, stampe e dipinti

Shepard Fairey, Bias by numbers (2019); Serigraph. © Shepard Fairey

Shepard Fairey, Bias by numbers (2019); Serigraph. © Shepard Fairey

L’America brucia. Tra dolore, smarrimento, e rabbia, l’America brucia. L’omiciodio di un uomo di colore, George Floyd, ha toccato le coscenze di un Paese prima messo all’angolo dal coronavirus e poi a ferro e fuoco da un conflitto vecchio come la sua storia. Mentre le vetrine in frantumi riflettono contemporaneamente i fiori desposti su un marciapiede e le fiamme. Mentre da dietro la coltre di fumo già si intravedono i colori vivi dei manifesti elettorali., l’America brucia.

Un affresco vivo e inquietante di contemporaneità che non poteva non suscitare la reazione degli artisti. E, infatti, sono davvero molti quelli che in questi giorni hanno pubblicato su instagram o su un sito internet un’opera dedicata a George Floyd e alla sua iniqua morte. Qualcuno è famoso, altri meno. I primi ad arrivare sono stati quelli che fanno street art, un po’ per sintonia con l’attualità , un po’ per i tempi più veloci di realizzazione del lavoro. Fatto stà che i murali che ritraggono l’uomo ucciso da un agente di polizia a Minneapolis sono tanti.

Ma c’è anche chi ha scelto una via diversa. Shepard Fairey (in arte Obey), famoso per un ritratto di Obama che fece la sua parte nell’elezione dell’ex-presidente statunitense, per esempio, ha condiviso il manifesto “Bias by numbers”. In cui il volto di una donna afroamericana è affiancato da titoli di giornale che parlano di fatti collegati alla discriminazione razziale. Eusato parole morto chiare sulla vicenda.

L’artista Jammie Holmes, invece, ha fatto sorvolare da piccoli aerei che trascinavano uno striscione, 5 città degli Stati Uniti. Su ogni striscione era scritta una frase pronunciata da George Floyd prima di perdere conoscenza: Per favore non risco a respirare (Detroit); Mi fa male lo stomaco (Miami); Mi fa male il collo (Dallas); Ho male dappertutto (Los Angeles); Mi stanno uccidendo (New York).

Tra i murali quello realizzato a Minnapolis dagli artisti Xena Goldman , Cadex Herrera , Greta McLain , Niko Alexander e Pablo Hernandez. Ma anche l’opera di Tvboy, il cui lavoro in Italia ebbe una copertura mediatica a reti unificate alla costituzione del governo giallo-verde (era suo il bacio tra Di Maio e Salvini). Vista la sua poetica, infine, è certo che Kehinde Wiley creerà uno o più dipinti ispirati alla vicenda. (via Colossal)

Il messaggio di Detroit Jammie Holmes

Il messaggio di Detroit Jammie Holmes

murale di Eme Freethinker

murale di Eme Freethinker

Il messaggio di Dallas Jammie Holmes

Il messaggio di Dallas Jammie Holmes

murale a Minneapolis di Xena Goldman, Cadex Herrera, Greta McLain, Niko Alexander e Pablo Hernandez

murale a Minneapolis di Xena Goldman, Cadex Herrera, Greta McLain, Niko Alexander e Pablo Hernandez

A Berlino Elmgreen & Dragset costruiscono un campo da tennis a grandezza naturale che è insieme film, dipinto e scultura

Elmgreen & Dragset, Short Story. Images Courtesy of König Galerie

Elmgreen & Dragset, Short Story. Images Courtesy of König Galerie

L’installazione “Short Story” realizzata a Berlino da Michael Elmgreen e Ingar Dragset, in arte Elmgreen & Dragset, è un vero e proprio racconto che si presta a più interpretazioni e persino finali diversi. Proprio come un film. Per farlo al duo di artisti nord europei sono bastate tre sculture iperrealiste e… un campo da tennis a grandezza naturale.

Short Story” è attualmente al centro della mostra personale allestita alla König Galerie (visitabile fino al 2 di agosto su appuntamento, per mezz’ora).

Il campo da tennis oltre a rispettare le dimensioni canoniche, è del tutto simile a quelli usati per le competizioni sportive. Ma, alzato leggermente da terra com’è, si tramuta in una sorta di dipinto minimale su cui i fantasmi scultorei di Elmgreen & Dragset, appaiono come congelati nel tempo.

La scena si compone di tre personaggi: due ragazzini che hanno appena terminato un incontro, e un uomo anziano su una sedia a rotelle, con gli occhi chiusi e la testa reclinata, che sembra dormire o pensare. Quest’ultimo è collocato al di fuori della scena principale, immerso nel grigiore dell’ambiente industriale, strappato con la forza all’oscurità dall’illuminazione drammatica scelta per l’installazione. Così, è facile supporre che quello che si svolge davanti a lui altro non sia che un suo ricordo, un sogno o una fantasia..

I giovani atleti invece sono divisi dal destino (uno ha vinto l’incontro, l’alto l’ha perso) e dalla rete che attraversa il campo. Ma le loro emozioni non sono antitetiche: il perdente è prostrato , ma anche il vincente è incupito e insicuro. Elmgreen & Dragset, infatti, vogliono indurre a riflettere su quanto i risultati raggiunti nella vita siano siano frutto del caso: "È stato un gioco giusto? È mai un gioco leale? " Il ragazzo che stringe il trofeo è più grande dell’altro.e il dubbio si insinua nella mente di chi guarda.

L’illuminazione teatrale sottolinea le emozioni dei personaggi e scandisce il ritmo della sequenza congelata. Oltre a proiettare la lunga ombra del vincitore (forse un monito: ci saranno delle conseguenze).

Le sculture iperrealiste che compongono “Short Story” sono state realizzate in bronzo dipinto di bianco. Elmgreen and Dragset hanno origini nordiche ma da anni vivono a Berlino. E proprio nella città tedesca hanno deciso di riprendere l’attività espositiva dopo la pausa forzata dovuta all’emergenza COVID 19.. Condividono le loro opere su Instagram. (via artrabbit)

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Le golose cermiche di Mechelle Bounpraseuth che raccontano la vita passando per gli scaffali del supermercato

Tutte le immagini © Mechelle Bounpraseuth

Tutte le immagini © Mechelle Bounpraseuth

Mechelle Bounpraseuth tratteggia un autoritratto intimo e personale attraverso gli oggetti della quotidianità. Bottiglie di ketchup, barattoni di caffè liofilizzato riutilizzati, patatine fritte, lattine vuote, lacca per capelli, sono improbabili totem evocativi, che dagli scaffali della grande distribuzione, passando per la routine famigliare, si insinuano nella memoria. E che l’artista australiana riproduce in sculture di ceramica lucide e colorate.

Figlia di rifugiati laotiani, Mechelle Bounpraseuth è cresciuta in un sobborgo di Sydney. Nella sua formazione hanno pesato la conversione della famiglia ai Testimoni di Geova e lo squallore del quartiere. Ma se il contesto in cui era avvolta la casa della sua infanzia lascia un ricordo agrodolce nella giovane artista (spesso evocato con una punta di nostalgia nelle sue opere), la religione invece, diventa fonte di frustrazione e alienazione. Ma Mechelle alla fine trova la sua strada: studia ceramica, si sposa, ha una figlia.

Nelle sue sculture ritornano i ricordi d’infanzia. La gioia della cena in famiglia, evocata dai barattoli di salse e spezie, le mattinate passate con la madre in piscina in cerca di lattine vuote da rivendere e, in seguito, di nuovo un corso di cucina a cui entrambe si erano iscritte, che è diventato occasione per passare del tempo insieme divertendosi.

Ho fatto un breve corso di Cottura al Forno- ha detto in un intervista a liminalmag- presso la East Sydney Tech, che ora è la National Art School, è stato abbastanza divertente. Dato che la mamma si preoccupava molto e pensava che non sarei stata al sicuro sul treno di notte, si è iscritta anche lei al corso. Ci siamo divertite così tanto insieme e abbiamo imparato tante nuove abilità come le tecniche di decorazione di una torta. Ho ancora gli strumenti del mio kit da chef (…), ma ora li utilizzo quando lavoro la ceramica”.

Ne vengono fuori delle sculture imperfette nella forma, ma coloratissime, e lucenti come pietre preziose. Quasi che gli oggetti d’uso comune, nel passaggio dal supermercato alla memoria della quotidianità, si facessero meno anonimi, più personali. Persino più simpatici.

Le sculture in ceramica di Mechelle Bounpraseuth sono per l’artista anche un mezzo per esplorare la sua identità come persona e come figlia di immigrati. Per chi le osserva, invece, sono un linguaggio universale capace di narrare storie diverse che l’autrice, però, ha venato di tenerezza ed ironia.

Mechelle Bounpraseuth pubblica le sue ceramiche sull’account Instagram. Mentre i ricordi che si celano dietro ogni opera sono raccontati sul suo sito internet (via it’s nice that)

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