A Venezia "An Archaeology of Silence" di Kehinde Wiley reinterpreta in chiave black gli antichi dipinti di eroi caduti

Kehinde Wiley ritratto di giovane venzia

“Femme Piquée Par Un Serpent (Mamadou Gueye),” or “Woman Stung By A Snake (Mamadou Gueye),” (2022), oil on canvas, 131 7/8 x 300 inches .All Images © Ugo Carmeni

Dopo un excursus nelle sublimi brume del Romanticismo e nella sua mistica laica alla National Gallery di Londra, l’artista statunitense Kehinde Wiley (conosciuto a livello globale per essere stato il primo artista afro-americano chiamato a ritrarre un presidente a fine mandato), ritorna sul terreno della ritrattistica pre-romantica. Con una serie di opere che traggono ispirazione da “Corpo di Cristo morto nella tomba” di Hans Holbein il Giovane (1521) e, in generale, dai dipinti di antichi maestri con al centro l’immagine di un eroe caduto. Naturalmente Wiley attualizza le composizioni del passato e sostituisce i protagonisti con uomini e donne di colore.

La nuova serie, che amplia il corpus di opere DOWN del 2008, è stata realizzata per l’importante mostra "Kehinde Wiley: An Archaeology of Silence", in corso alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia ed inclusa tra gli eventi collaterali autorizzati alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale "Il latte dei sogni". A curarla è Christophe Leribault (Presidente del Musée d’Orsay e del Musée de l’Orangerie di Parigi) mentre l’organizzazione la firma il Musée d’Orsay.

Wiley in queste opere (sia grandi dipinti che sculture in bronzo) restituisce dignità fino a proiettare nel mito le immagini di giovani uomini e donne sconosciuti. Le loro pose vulnerabili sono l’emblema di una resa inevitabile, dolorosissima, ma carica d’onore. In questo modo l’artista newyorkese celebra ancora una volta la forza e la resilienza della gente di colore. Oltre a puntare di nuovo l’obbiettivo sul razzismo, la violenza e i preconcetti di cui sono vittima in maniera sistematica e da parte di un sistema intero.

Questa- ha detto- è l’archeologia che sto portando alla luce: lo spettro della violenza della polizia e del controllo dello stato sui corpi di giovani neri in tutto il mondo”.

Lo sfondo dei dipinti sono i soliti motivi floreali che fanno da contrappunto alla semplicità dello streetwear contemporaneo. Le pose abbandonate, poi, permettono all’artista di imporre ai corpi torsioni sensuali, capaci di coprire la tela imprigionando lo sguardo dell’osservatore. Nei bronzi, invece, dove la policromia potrebbe scoraggiare l’attenzione, Wiley usa un vocabolario di particolari che ringiovaniscono il mezzo espressivo e risvegliano la voglia di guardare.

"Kehinde Wiley: An Archaeology of Silence rimarrà alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia fino al 24 luglio 2022 soltanto (anzichè per tutta la durata della Biennale d’Arte “Il latte dei sogni”). L’artista condivide inoltre la sua opera su instagram che permette di farsi per sommi capi un’idea dei vari momenti del suo lavoro.

Kehinde Wiley an archaeology of silence

Front: “The Virgin Martyr Cecilia” (2022), bronze, 251 × 152 3/4 × 70 1/8 inches. Back: “Young Tarentine II (Ndeye Fatou Mbaye)” (2022), oil on canvas, 131 7/8 × 300 inches. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo umo venezia

“Dying Gaul (Roman 1st Century)” (2022), bronze, 21 1/8 × 18 7/8 × 47 inches. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo uomo venezia

Detail of “Dying Gaul (Roman 1st Century)” (2022), bronze, 21 1/8 × 18 7/8 × 47 inches. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley dipinto uomo venezia

“The Wounded Achilles (Fillipo Albacini)” (2022), oil on canvas, 70 1/8 × 107 7/8 inches. All images © Templon, Paris –Brussels. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo donna venzia

Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo donna venezia

Image © Ugo Carmeni

Biennale di Venezia 2022| We Walked the Earth: la scultura iperrealista di Uffe Isolotto ritrae la tragedia di una famiglia di centauri al Padiglione Danimarca

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Interno giorno: ci accoglie una bella casa, dalla porta rossa, che conduce direttamente ad un atrio di marmo rosa in cui appendere gli abiti. Ma le stanze non sono altrettanto accoglienti, somigliano più a una stalla, perchè la giovane coppia che vi abita è composta da centauti. Strano presupposto, è vero, ma niente di male se i due vivessero d’amore e d’accordo. Invece, la signora centauro sta dando alla luce un piccolo e il suo compagno anzichè gioire del lieto evento si è impiccato nella stanza accanto.

Questa è in sintesi la storia raccontata dall’installazione “We Walked the Earth”, in scena al Padiglione Danimarca, durante la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, “Il Latte dei Sogni”. A raccontarcela con una scultura iperrealista al limite del maniacale, è l’artista di Copenhagen, Uffe Isolotto.

E, come favola nera che si rispetti, è densa di mistero. Particolari che l’occhio del visitatore coglie pian-piano. Oggetti strani, distorti, come fossero usciti da un’esperienza di realtà virturale, il volto segnato di lei, la strana creatura che nasce, fino al suicidio di lui. Passando dalla calma, all’apprensione, fino allo sgomento. E trovarsi catapultati da un passato idilliaco, mitico, ad un futuro distopico.

Ho trasformato l'intero Padiglione- ha spiegato Uffe isolotto- Quando i visitatori entreranno, incontreranno un'apparentemente idilliaca fattoria danese, dove troveranno un inquietante dramma di vita e di morte. C'è una profonda incertezza nel capire cosa sia successo ai centauri e al mondo in cui vivono".

Tutto è stato costruito con una cura degna delle grandi produzioni cinematografiche. La porta è quella di una fattoria tradizionale danese. All'interno del padiglione, mucchi di zostera marina, un tempo comunemente usata per costruire i tetti delle fattorie sull'isola di Læsø. E attrezzi che ricordano quelli comunemente usati nell’agricoltura e nella pesca dello stato scandinavo. Oltre, naturalmente ai personaggi.

Per farlo Isolotto ha lavorato con un collettivo di specialisti. Oltre che con il curatore del padiglione, Jacob Lillemose. Che ha detto: "Sempre più persone in Danimarca si trasferiscono in campagna per vivere una vita più semplice e autosufficiente. Allo stesso tempo, i media, i politici e le imprese capitalistiche celebrano quotidianamente le promesse delle nuove tecnologie. In questo contesto, We Walked the Earth ci interroga se dobbiamo guardare indietro o avanti per trovare soluzioni ai problemi del mondo".

Gli elementi dell’installazione e le sculture sono stati disposti con attenzione per permettere allo spettatore di scoprire pian piano nuovi particolari che gli permettano di svelare il mistero: i centauri cui si trova davanti non sono esseri mitici ma creature mutanti. In questo senso l’opera di Isolotto ci ammonisce.

"Anche se i centauri potrebbero non essere reali- ha continuato l'artista- percepiamo la loro lotta. Il tempo presente in cui viviamo sta diventando sempre più complesso e imprevedibile nel modo in cui affrontiamo molte realtà impegnative, siano esse ecologiche, politiche o esistenziali. C'è al tempo stesso molta speranza e disperazione nell'aria, e voglio rendere questa percezione in una realtà fisica attraverso questa installazione".

We Walked the Earth” è al tempo stesso un racconto fantascientifico, un’allucinazione tridimensionale, una favola nera e un dramma in senso più ampio come ha dichiarato lo stesso Isolotto: "Attinge anche dalle esperienze della mia vita personale che in senso metaforico risuonano nei sentimenti e pensieri più universali sulla vita e la morte".

il racconto visivo “We Walked the Earth”, retto dalla calibratissima scultura iperrealista di Uffe Isolotto, riempirà il Padiglione Danimarca ai Giardini della Biennnale di Venezia, per tutta la durata della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte (fino al 27 novembre 2022).

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine

Venezia Arte 2022| Tutto il meglio de “Il Latte dei sogni”. Una Biennale da non dimenticare

Il padiglione centrale de “Il Latte dei Sogni” foto © Artbooms

Attesissima, si è inaugurata lo scorso fine settimana a Venezia, la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, “Il Latte dei Sogni” (fino al 27 novembre 2022). La biennale, che l’emergenza sanitaria ha trasformato in triennale, un evento inimmaginabile prima dell’epidemia. Un ritardo che, dall’anno dell’inaugurazione della manifestazione (1895), ha precedenti solo durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. E che, paradossalmente, per la curatrice, Cecilia Alemani (capo- curatrice del programma di arte pubblica del parco sopraelevato, High Line di New York, già, tra le altre cose, curatrice del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2017), ha significato un solo anno per costruire la complessa esposizione che dai Giardini della Biennale si snoda fino all’Arsenale. Oltre ad enormi difficoltà. “Che la mostra possa aprire è di per sé un fatto straordinario- ha dichiarato - non tanto il simbolo di una ritrovata normalità, quanto piuttosto il segno di uno sforzo collettivo che ha qualcosa di miracoloso”.

IL LATTE DEI SOGNI:

Alla fine Alemani se l’è cavata egregiamente, riuscendo nel non facile compito di costruire una mostra omogenea ma non piatta, degna d’essere esplorata, con un numero davvero alto di artisti alla loro prima esperienza in laguna (oltre 180 su 213). Soprattutto donne: “Per la prima volta negli oltre 127 anni di storia dell’istituzione veneziana, la Biennale include una maggioranza preponderante di artiste e persone non binarie”. Ma anche artisti che “attingono da saperi indigeni”. E, probabilmente, proprio per queste ragioni, “Il latte dei Sogni”, è una biennale atipica, a tratti delicata ma vibrante, molto personale. Che non si limita a erodere il solco della Storia dell’Arte, mettendo in evidenza nomi e sottolineando eventi meno conosciuti, a leggere la contemporaneità a modo suo, ma che ridefinisce il gusto. Se in maniera fugace o, in qualche modo, permanente, si vedrà col tempo.

“Il latte dei Sogni”, ruba il titolo a un libro di fiabe della scrittrice e artista surrealista di origine inglese, Leonora Carrington (le cui opere sono in mostra a Venezia insieme a quelle di altre surrealiste storiche come Remedios Varo e alla danese Ovartaci). Perché “descrive un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé”. E proprio il surreale è la suggestione che permea l’esposizione. Infatti: “L’esposizione Il latte dei sogni sceglie le creature fantastiche di Carrington, insieme a molte altre figure della trasformazione, come compagne di un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano”. Il tema è il postumano (“il divenire- macchina e il divenire terra”). Invece le domande che fanno da guida alla mostra sono: “Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi?”.

Opere di Ovartaci veduta dell'installazione All works Collection Museum Ovartaci. 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

LE CAPSULE DEL TEMPO:

Tra il Padiglione Centrale e gli spazi dell’Arsenale, poi, nel racconto vengono inserite delle mini-mostre a carattere storico: le “capsule del tempo”. I cui contenuti dialogano con il lavoro degli artisti contemporanei esposti nelle vicinanze. Tuttavia, nel percorso stesso della mostra ci sono artisti che non sono più tra noi e che concentrano la loro produzione in anni più o meno distanti dall’oggi. Come, al Padiglione Centrale l’artista indiana Mrinalini Mukherjee (che per tutta la vita ha creato sculture con l’antica e faticosa tecnica araba della tessitura a mano del macramé ed è mancata nel 2015) o all’Arsenale la cubana Belkis Ayon o la più nota artista di origine francese Niki de Saint Phalle. Senza dimenticare lo splendido pittore giapponese, Tatsuo Ikeda, le cui opere compaiono anche sulla copertina della guida (sempre Arsenale). In breve, fatti i conti, forse le parentesi storiche sono un po’ troppe per una delle più grandi mostre d’arte contemporanea del mondo.

Opere di Tatsuo Ikeda, veduta dell’installazione, All works courtesy The Estate of Tatsuo Ikeda With the additional support of Fergus McCaffrey, New York, Tokyo 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dream Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Opere di Mrinalini Mukherjee, veduta dell’installazione 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by:  Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

 IN GIRO PER IL PADIGLIONE CENTRALE:

Al Padiglione Centrale ad accogliere i visitatori è la scultura in poliestere verde scuro “Elefant/Elephant “1987), della tedesca Katharina Fritsch. L’opera, che fa un figurone nella prima sala, ovale e dipinta in tinta per l’occasione, è stata realizzata, a grandezza naturale dal calco di un elefante impagliato e che rimanda il visitatore con la mente a suggestioni di magnificenza, favole, intelligenza, cattività nonché all’elefante Toni che alla fine del XIX secolo viveva a Venezia nel Parco di Castello. Dopo, un dipinto di Maria Primachenko introduce alla mostra vera e propria e ricorda il conflitto in Ucraina. Fritsch, quest’anno è Leone d’oro alla carriera insieme alla cilena Cecilia Vicuña a cui, poco più a avanti, è dedicato molto spazio. Ci sono diversi oli su tela, decisamente in tema con “I latta dei Sogni” (anche se realizzati molti anni fa). Ma è soprattutto “NAUfraga” (creata per la Biennale), una grande scultura sospesa al soffitto fatta di corde e detriti raccolti in laguna, a rapire per la sua complessa e poetica ricchezza. Diverse, poi, le opere a cui non è possibile non dedicare tempo al Padiglione Centrale, come le sculture mutanti, rese preziose e cangianti dal cristallo, che l’artista di origini rumene, Andra Ursuta, spesso realizza da calchi del suo stesso corpo. O una selezione inedita di “quadri a maglia” della famosa tedesca Rosemarie Trockel. Per non parlare dei disegni fantastici dell’artista inuk Shuvinai Ashoona (menzione speciale della giuria tra i partecipanti alla mostra 2022 insieme alle futuristiche riflessioni della statunitense, Lynn Hershman Leeson, che espone invece all’Arsenale), o dei 111 squali di ceramica bianca della tedesca Jana Euler. Oltre ai potenti dipinti della portoghese (vive in Inghilterra), Paula Rego, che usa la pittura senza se e senza ma. E ai video irrinunciabili della statunitense Nan Goldin.

Katharina Fritsch Elefant / Elephant, 1987 Polyester, wood, paint 420 × 160 × 380 cm With the additional support of Institut fur Auslandsbeziehungen – ifa 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

Cecilia Vicuña, veduta dell’installazione 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. All works with the additional support of Lehmann Maupin Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

UN ARSENALE INDIMENTICABILE:

L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Anche se sono gli spazi dell’Arsenale quelli capaci di rimanere nel cuore per davvero. Vuoi perché qui la struttura della mostra divide i tre temi portanti. E quindi risulta più chiara. Vuoi per le due bellissime, grandi e intense installazioni immersive che concludono il percorso: il labirinto odoroso a grandezza naturale di terra mista a fieno, farina di manioca, polvere di cacao e spezie (come chiodi di garofano e cannella), “Earthly Paradise” del colombiano Delcy Morelos o il paesaggio di terra, figure, piante, insetti e ruscelli, “To see the earth before the end of the world”, dell’artista e poetessa statunitense di origini africane Precious Okoyomon (di lei e del suo “Earthseed”, di cui l’installazione in biennale è un estensione, Artbooms ha già parlato). Vuoi per il monumentale e magnifico busto in bronzo di una donna nera, “Brick House”, dell’afro-americana, Simone Leigh (Leone d’oro come miglior artista partecipante a “Il Latte dei Sogni” e rappresentante del suo paese con un Padiglione Stati Uniti da non dimenticare).

Da vedere anche “Bonteheuwel/Epping”, del sudafricano Igshaan Adams. Si tratta di una delle sue “linee del desiderio”, ossia percorsi nati dall’erosione del traffico pedonale, usati durante l’Apparteheid per collegare comunità che il governo voleva separate. Adams li rappresenta dall’alto in modo che diventino solo dei pattern dagli infiniti colori che rende unendo tra loro minuscoli e disparati materiali (perline di pietra e vetro, conchiglie legno colorato, plastica, corda, filo metallico ecc). Poi gli splendidi vasi antropomorfi dell’afro-americana, Magdalene Odundo. Gli arazzi vodoo di perline e lustrini dell’haitinana, Myrlande Costant. I piccoli dipinti di silenziosi paesaggi naturali con tragedia della statunitense, Jessie Homer French. La grande installazione della conosciutissima statunitense, Barbara Kruger. Le sculture cinetiche della coreana Mire Lee. E il grande gruppo di forni (perchè li associamo ai concetti di calore, nutrimento e cura) in argilla dell’argentino, Gabriel Chaile. Dalle forme ispirate ai manufatti delle civiltà precolombiane, le opere, sono ritratti stilizzati, ironici e teneri, dei suoi famigliari (al centro c’è la nonna materna).

Simone Leigh, Brick House, veduta dell’installazione, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Precious Okoyomon To See The Earth Before the End of the World, 2022 Dimensions variable All works with the additional support of LUMA Foundation; Ammodo 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

UN ARSENALE DA FILM (SE RESTA IL TEMPO):

All’Arsenale ci sono infine molti video da vedere. Come quello del Leone d’Argento come miglior artista emergente presente alla mostra, Ali Cherri (nato in Libano vive in Francia). Quello del cinese Zeng Bo o quello della greca, Janis Rafa. Ma se non vi spaventa l’atmosfera lugubre, almeno un veloce sguardo al video-canto d’animazione tra un uccellino e un omicida-suicida (insieme ai sui famigliari defunti) dell’italiano Diego Marcon dovete darlo per forza.

Ali Cherri, veduta dell’installazione video 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Ali Cherri, veduta dell’installazione video 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

I PADIGLIONI PREMIATI E QUELLI DA NON PERDERE:

I padiglioni premiati a Venezia sono: la Gran Bretagna (Giardini), Francia (Giardini) e Uganda (che partecipa per la prima volta ed è però in città). Gli irrinunciabili (insieme alla Francia) sono: Stati Uniti (da non perdere per nessun motivo! Anche a costo di una lunga fila), Corea (Giardini), Svizzera (Giardini), Grecia (Giardini), Danimarca (Giardini), Paesi Nordici (che quest’anno hanno lasciato il padiglione dei Giardini ai lapponi Sami). E Italia, che dopo la brutta partecipazione del 2019, ritorna con un Padiglione tutto da vedere, anzi da godersi come un film in prima persona (Arsenale). Ma, a sorpresa, anche (assolutamente) Malta (Arsenale). In fine Arabia Saudita (Arsenale) e almeno uno sguardo a Nuova Zelanda (Arsenale).

Andra Ursuţa, veduta dell’installazione, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

AGGIORNAMENTO: IL LATTE DEI SOGNI E’ STATA LA BIENNALE PIU’ VISITATA DI SEMRRE

Con oltre 800.000 biglietti venduti (più le 22.498 presenze della pre-apertura), la 59. Esposizione Internazionale d’Arte, Il latte dei sogni, a cura di Cecilia Alemani (prodotta dalla Biennale di Venezia) è stata la più visitata di sempre. 

Ha battuto se stessa superando la precendente edizione del 35% di persone in più. Ma soprattutto ha segnato la più alta affluenza di pubblico nel 127 anni di storia della Biennale di Venezia.

Un immagne del pubblico alla 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. In primo piano gli squali di Jana Euler. Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Delcy Morelos Earthly Paradise, 2022 Site-specific installation Mixed media: soil, clay, cinnamon, powder cloves, cocoa powder, cassava starch, tobacco, copaiba, baking soda and powdered charcoal Dimensions variable With the additional support of Ammodo 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Un immagne del pubblico alla 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Alla parete alcuni quadri a maglia di Rosemarie Trocke Photo by: Andrea Avezzù Courtesy: La Biennale di Venezia

Bonteheuwel/Epping di Igshaan Adams foto © Artbooms

Un particolare di Bonteheuwel/Epping di Igshaan Adams foto © Artbooms

uno dei vasi di Magdalene Odundo. foto © Artbooms

Paula Rego, Sleeper, 1994. Photo Nick Willing. Private Collection. Courtesy the Artist. © Paula Rego

Barbara Kruger Untitled (Beginning/Middle/End), 2022 Site-specific installation, print on vinylThree-channel video installation (on 3 flatscreen monitors), sound Dimensions variable 5 mins. 35 sec. With the additional support of Spruth Magers; Maharam 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Mire Lee, Endless House: Holes and Drips, 2022 Multiple ceramic sculptures on a scaffold, lithium carbonate and iron oxide glaze liquid, pump, motor and other mixed media 1.8 × 2 × 4 m. With the additional support of Sundaymorning@ekwc All works with the additional support of Tina Kim Gallery; Mondriaan Fund, Korean Arts Management Service (KAMS); Ammodo 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams image: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia