Chen Zhen, l'artista che trasformava in vibranti poesie sedie e vasi da notte. Da non perdere all'Hangar Bicocca

Chen Zhen Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), 2000 Veduta dell’installazione, Kunsthalle Wien, Vienna, 2007 Collezione Pinault Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Ela Bialkowska

Chen Zhen Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), 2000 Veduta dell’installazione, Kunsthalle Wien, Vienna, 2007 Collezione Pinault Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Ela Bialkowska

Morto a soli 45 anni per uno scherzo del destino (le conseguenze di un banale intervento chirurgico), l’artista cinese Chen Zhen, con l’idea di malattia e lo spettro della fine aveva convissuto tutta la vita. Era malato di anemia emolitica. E questa consapevolezza si ritrova nelle sue opere. Come d’altra parte tutte le altre esperienze cardine della sua esistenza. Perché quando si guarda una scultura di Chen Zhen, sembra di sentire parlare Chen Zhen.

A ottobre l’Hangar Bicocca gli dedicherà la mostra “Short Circuits” (“Cortocircuiti” a cura di Vicente Todoli ). In cui riunirà alcune tra le sue opere più significative realizzate tra il 1991 e il 2000. Insomma più o meno da quando abbandona la pittura fino alla sua scomparsa.

Nato a Shangai, Chen Zhen abbandona la Cina nell’86 per trasferirsi a Parigi. Dove il suo lavoro si evolverà abbracciando le 3 dimensioni. Ma l’animo da pittore un po’ gli resta, per esempio nell’amore per l’equilibrio un tantino civettuolo delle composizioni, o nel moltiplicarsi delle linee che si riversano come ornamenti indisciplinati alla base delle sculture.

Ma che cosa si deve aspettare chi il lavoro di Chen Zhen non l’ha mai visto? Sculture monumentali, grandi nelle dimensioni, potenti nello sviluppo e affilate nel massaggio. Fatte con oggetti d’uso quotidiano. Come sedie, tavoli, letti e persino vasi da notte. Colorati con lacche rosse e nere o lasciati del colore naturale del legno. Infatti, gli oggetti d’uso quotidiano di Chen Zhen in linea di massima non sono quelli che si trovano nelle case contemporanee. Vengono da Oriente e da Occidente e sono spesso antichi. Ma tanto diffusi in un luogo o nell’altro, in un periodo o nell’altro, da diventare simboli di purificazione del popolo di un continente o addirittura di un Paese. Ma anche metafore ed elementi compositivi.

Gli argomenti ricorrenti (tutt’oggi molto attuali) sono: il potere di guarigione dell’arte, la globalizzazione, la sintesi tra pensiero orientale e pensiero occidentale, il consumismo. La spiritualità e una buona dose di biografia dell’artista si insinuano in ognuna di queste riflessioni.

Chen Zhen è celebrato come uno dei più importanti artisti della contemporaneità. Le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia per 3 volte. Diverse sono conservate in importanti musei come il Centre Pompidou, la Pinault Collection o il MAXXI di Roma.

Chen Zhen Short-Circuits” al Pirelli Hangar Bicocca di Milano inaugurerà il prossimo dal 15 ottobre (2020) e si chiuderà al 21 febbraio 2021. Un appuntamento assolutamente da non perdere.

Chen Zhen Le Rite suspendu / mouillé, 1991 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Ela Bialkowska

Chen Zhen Le Rite suspendu / mouillé, 1991 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Ela Bialkowska

Chen Zhen Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), 2000 Veduta dell’installazione, Kunsthalle Wien, Vienna, 2007 Collezione Pinault Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Ela Bialkowska

Chen Zhen Jue Chang, Dancing Body – Drumming Mind (The Last Song), 2000 Veduta dell’installazione, Kunsthalle Wien, Vienna, 2007 Collezione Pinault Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Ela Bialkowska

Chen Zhen Round Table, 1995 Veduta dell’installazione, Palazzo delle Nazioni , Ginevra, 1995 Centre national des arts plastiques, inv.: FNAC 02-532 entrusted to Centre Pompidou, Musée national d’art moderne – Centre de Création industrielle, 2003 Co…

Chen Zhen Round Table, 1995 Veduta dell’installazione, Palazzo delle Nazioni , Ginevra, 1995 Centre national des arts plastiques, inv.: FNAC 02-532 entrusted to Centre Pompidou, Musée national d’art moderne – Centre de Création industrielle, 2003 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Chen Zhen

Chen Zhen Daily Incantations, 1996 Veduta dell’installazione, Deitch Projects, New York, 1996 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Tom Powell

Chen Zhen Daily Incantations, 1996 Veduta dell’installazione, Deitch Projects, New York, 1996 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Tom Powell

Chen Zhen Fu Dao / Fu Dao, Upside-down Buddha / Arrival at Good Fortune, 1997 Veduta dell’installazione, CCA – Center for Contemporary Art, Kitakyushu, , 1997 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Chen Zhen

Chen Zhen Fu Dao / Fu Dao, Upside-down Buddha / Arrival at Good Fortune, 1997 Veduta dell’installazione, CCA – Center for Contemporary Art, Kitakyushu, , 1997 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Chen Zhen

Chen Zhen Prayer Wheel – “Money makes the Mare Go” (Chinese slang), 1997 (dettaglio)  Veduta dell’installazione, P.S.1 Contemporary Art Center, New York, 1997-1998 Collezione PinaultCourtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Chen Zhen

Chen Zhen Prayer Wheel – “Money makes the Mare Go” (Chinese slang), 1997 (dettaglio) Veduta dell’installazione, P.S.1 Contemporary Art Center, New York, 1997-1998 Collezione PinaultCourtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Chen Zhen

Chen Zhen Purification Room, 2000 (dettaglio) Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Sebastiano Pellion di Persano

Chen Zhen Purification Room, 2000 (dettaglio) Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Sebastiano Pellion di Persano

Chen Zhen Jardin-Lavoir, 2000 (dettaglio) Veduta dell’installazione, Galleria Continua, Boissy-le Châtel, 2016 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Oak Taylor-Smith

Chen Zhen Jardin-Lavoir, 2000 (dettaglio) Veduta dell’installazione, Galleria Continua, Boissy-le Châtel, 2016 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Oak Taylor-Smith

Chen Zhen Jardin-Lavoir, 2000 Veduta dell’installazione, Galleria Continua, L'Avana, 2017-2018 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Nestor Kim

Chen Zhen Jardin-Lavoir, 2000 Veduta dell’installazione, Galleria Continua, L'Avana, 2017-2018 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Nestor Kim

Chen Zhen Jardin-Lavoir, 2000 (dettaglio) Veduta dell’installazione, Galleria Continua, L'Avana, 2017-2018 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Nestor Kim

Chen Zhen Jardin-Lavoir, 2000 (dettaglio) Veduta dell’installazione, Galleria Continua, L'Avana, 2017-2018 Courtesy GALLERIA CONTINUA © ADAGP, Parigi Foto: Nestor Kim

Niente diario per Toshihiko Shibuya, che in quarantena ha costruito un intero ecosistema

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L'opera “Generation 7 origin-birth /symbiosis-coexistence” di Toshihiko Shibuya (altre notizie su di lui qui), attualmente in mostra alla Web Gallery Monma Annex di Sapporo, è un ecosistema complesso in continuo divenire, che l'artista giapponese ha cominciato a creare all'inizio della pandemia e che ancora muta. Come la sintesi di un'esperienza collettiva trasfigurata della bellezza della natura e raccontata attraverso il cambiare delle stagioni.

Molti sono gli artisti nel mondo che confinati nelle loro case durante l’emergenza sanitaria hanno creato un vero e proprio diario per immagini della loro esperienza (per esempio qui). Non in Giappone però dove non c’è stato il lockdown e la necessità di fuggire da una quotidianità distopica è venuta meno.

Toshihiko Shibuya, infatti, non ha creato una serie di opere ispirate ai giorni trascorsi, ma un solo lavoro che riunisce tutte le fasi del periodo anomalo che ancora stimo vivendo.

Generation 7 è un vero e proprio ecosistema che comincia a prendere forma il marzo scoro, quando l’artista di Sapporo (isola di Hokkaido) va a raccogliere dei rami modellati dal mare nella costa più vicina. Poco dopo è la volta del muschio, che Shibuya prende in montagna. In Aprile fissa il muschio ai rami e comincia ad annaffiare la sua creazione mattina e sera. A giugno, proprio mentre il coronavirus molla la presa nella gran parte dei paesi dell’emisfero settentrionale, il muschio di Generation7 prende a crescere e con lui anche altre piccole piante.

Quando ho visto crescere il muschio - spiega- ho installato 1500 puntine da disegno con la testa sferica!”

Le puntine da disegno, che l’artista usa sempre per tratteggiare con elementi artificiali un paesaggio naturale, sottolinenado la forma e la grana della superficie, sono state scelte per confondersi con l’opera. Osservatrici sileziose, che ad uno sguardo poco attento posono sembrare funghi, spore o uova, a seconda del punto in cui sono state collocate.

"Ho evocato immagini di vita riproduttiva- continua Toshihiko Shibuya- Le puntine dovrebbero essere viste come una massa di uova depositate da pesci, anfibi, molluschi, o spore o funghi oppure muffe melmose."

Generation7, che in qualche modo ricorda l’arte del giardino giapponese, tuttavia è un vero e proprio micro-ecosistema sospeso in una vita propria ma allo stesso tempo contaminato dall’ambiente che lo ospita.

Durante l’esposizione- racconta-le due porte della galleria erano aperte per proteggere il pubblico dal coronavirus attraverso la ventilazione. Un giorno, un ape è volata all’interno della stanza e si è posata sulla scultura. Ci è rimasta per 15 minuti. Può essere che il colore rosa delle puntine l’abbia confusa scambiandole per fiori. Ad ogni modo due tipi diversi di funghi sono nati durante l’esposizione. L’oggetto cambia e cresce giorno dopo giorno”.

Generation 7 di Toshihiko Shibuya nasce per mostrare la resilienza della natura e la sua capacità d’adattamento ai cambiamenti più impensati. E quindi per rendere plastica la difficoltà della lotta al coronavirus

Batteri e virus sono forme di vita sulla Terra- conclude- Non c’è niente che possiamo fare per fermare Madre Natura. Quand lavoro io non cerco mai di controllare la natura, ma le stò vicino e cerco di usarla intelligentemente”.

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L'artista Victor Solomon ha riparato un vecchio campo da basket con il kitnsugi

Tutte le immagini di Shafik Kadi e © Victor Solomon

Tutte le immagini di Shafik Kadi e © Victor Solomon

L’artista statunitense Victor Solomon ha riparato un vecchio campo da basket a sud di Los Angeles con l’antica tecnica giapponese del kintsugi. Trasformandolo in uno spazio atipico e modaiolo. L’opera si chiama “Kintsugi Court”.

E’ da un po’ che il kintsugi, che consiste nel riparare ceramiche rotte con oro e argento liquidi o con lacca mischiata a polvere di metalli preziosi, è entrato nel campo d’azione delle arti visive. Alla base di questa pratica, infatti, c’è l’idea che dalle ferite possa nascere una forma ancora più bella sia dal punto di vista esterico che interiore. Un concetto che non poteva non affascinare chi fa scultura o installazioni. Qui ho parlato di Rachel Sussman che ci ha riparto strade e pavimenti ma anche di Yee Sookyung che l’ha usato per creare delle enormi e bellissime sculture.

Victor Solomon ha usato il kintsugi per celebrare la guarigione rendendola più evidente. D’altra parte, l’accostare tecniche che danno sensazione di ricchezza e mantengono un’aura spirituale al campo da basket e in genere allo sport, per lui non è una novità. L’ha già fatto, per esempio, mettendo delle vetrate che ricordavano quelle gotiche come supporto per un canestro.

In “Kintusugi Court” è stata la volta dell’anrica arte giapponese. Solomon ha riparato le crepe dell’asfalto mischiando polvere d’oro alla resina, ha poi sostituito i canestri con una coppia in tema (dorati).

"Lo sport può intrattenere, ispirare e distrarre- ha detto- ma più a proposito di tutti, la piattaforma dello sport può aiutarci a guarire"

Altre opere di Victor Solomon, oltre a immagini di “Kintugi Court” (e del suo bellissimo cagnolino), si possonovedere sull’account instagram dell’artista. (via Colossal)

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