I dipinti più belli di Monet dal Musée Marmottan di Parigi da vedere ancora per un mese a Milano

Claude Monet (1840-1926) Passeggiata vicino ad Argenteuil, 1875 Olio su tela, 61x81,4 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, dono Nelly Sergeant-Duhem, 1985 Inv. 5332 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

Le mostre dedicate agli Impressionisti restano tra gli eventi più amati dal grande pubblico, tanto da essere diventate, nel tempo, una sorta di clichè. Spesso vuoto. Non è il caso della grande esposizione centrata sull’opera di Claude Monet in corso a Palazzo Reale, che riunisce ben 57 dipinti dai quali lo stesso artista francese non si era mai voluto separare e che teneva appesi alle pareti della sua dimora di Giverny in Normandia (quella del giardino famoso per le ninfee e tutt’ora visitabile). Dei capolavori insomma, adesso conservati al Musée Marmottan di Parigi.

Che li ha spediti in blocco a Milano, dove rimarranno ancora per circa un mese

La mostra, curata da Marianne Mathieu e realizzata in collaborazione con il Musée Marmottan e l’Académie Des Beaux Arts – Institut de France, si intitola appunto:Dal Musée Marmottan Monet, Parigi”. Ed è uno di quegli eventi che mettono d’accordo tutti a prescindere dalla conoscenza dell’argomento e dall’età. Ovviamente è immersiva, con stagni virtuali e cascate di fiori luminosi, sia per coinvolgere maggiormente il visitatore dando dinamismo al percorso, che per abbattere la barriera della pittura tra l’opera e chi osserva. Ma “Dal Musée Marmottan Monet, Parigi” non si limita a questo e chiama in causa lo spettatore appena possibile, con giochi e semplici divertenti esercizi che rendono l’esperienza piacevole. A misura di famiglia o di pomeriggio tra amici. Ma non per questo meno appagante dal punto di vista culturale vero e proprio, perché le opere ci sono: da Ninfee (1916-1919) a Le rose (1925-1926), da Sulla spiaggia di Trouville (1870) a Passeggiata ad Argenteuil (1875) fino a Charing Cross (1899‐1901).

Si parte dagli arredi in stile Impero e dai dipinti neoclassici tanto cari al fondatore del Musée Marmottan Monet, Paul Marmottan, per muoversi nella ricerca artistica e nella vita di Claude Monet attraverso altri sei gruppi di opere. La prima sezione tratteggia le origini del Musée Marmottan Monet (Paul Marmottan, in realtà, non era un fan degli impressionisti e le opere di Monet, il museo se l’è accaparrate grazie al lascito del figlio minore di Claude, Michel Monet) e nel contempo ci spiega il passaggio dallo Stile Impero all'Impressionismo. La seconda sezione ci immerge nella a pittura en plein air, tra trasporti rivoluzionati dalle nuove reti ferroviarie e pittori liberi di approvvigionarsi di colori meno costosi e finalmente conservati in un comodo tubetto. La terza si intitola “La luce Impressionista” ed entra nel cuore della ricerca degli Impressionisti e di Monet in particolare. Nella quarta si va dalle opere del periodo londinese fino all’abitudine di ritrarre particolari del giardino di Giverny. La quinta è dedicata ai grandi pannelli come le Ninfee. La sesta si focalizza sulle opere che si avviano verso l’astrazione e che influenzeranno molti artisti negli anni successivi. Per concludere con la settima sezione interamente dedicata ai fiori si intitola Le rose come l’ultima tela che l’artista francese dipinse nel 1926, a 85, prima di morire.

In breve la mostra ci fa incontrare il giovane Claude, innovatore e irrequieto ricercatore della luce, completamente calato nell’atmosfera di novità della seconda metà dell’800, per condurci gradatamente fino alla pittura ancora più innovativa ma anche meditativa della maturità avanzata che vira verso l’astrazione, fatta di tagli audaci (quasi fotografici,) colori riflessi, forme rarefatte e bidimensionalità. Senza trascurare la vita privata: dalla morte della prima moglie Camille alla progressiva perdita della vista del pittore.

A seguire le fotografie di alcune opere esposte a Palazzo Reale, oltre alle immagini del suggestivo allestimento e a un raro filmato del Giardino di Giverny in cui compare Claude Monet. Per vedere “Dal Musée Marmottan Monet, Parigi” (che fa parte del progetto “Musei del mondo a Palazzo Reale” e che mira a portare nello spazio espositivo milanese intere collezioni conservate all’estero) c’è tempo fino al 30 gennaio 2022 dopodichè le opere torneranno al Musée Marmottan Monet di Parigi.

Claude Monet (1840-1926) Lo stagno delle ninfee, 1917-1919 circa Olio su tela, 130x120 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5165 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento

Claude Monet (1840-1926) Vétheuil nella nebbia, 1879 Olio su tela, 60x71 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5024 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento

Claude Monet (1840-1926) Ninfee, 1916-1919 circa Olio su tela, 130x152 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5098 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento

Claude Monet (1840-1926) Iris, 1924-1925 circa Olio su tela, 105x73 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5076 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento (particolare)

Claude Monet (1840-1926) Falesia e porta d’Amont. Effetto del mattino, 1885 Olio su tela, 50x61 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5010 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento (particolare)

Claude Monet (1840-1926) Il ponte giapponese, 1918-1919 circa Olio su tela, 74x92 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5177 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento

Claude Monet (1840-1926) Ninfee, 1916-1919 circa Olio su tela, 200x180 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5119 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"Dal Musée Marmottan Monet, Parigi", Palazzo Reale. Veduta dell'allestimento

Claude Monet (1840-1926) Le rose, 1925-1926 Olio su tela, 130x200 cm Parigi, Musée Marmottan Monet, lascito Michel Monet, 1966 Inv. 5096 © Musée Marmottan Monet, Académie des beaux-arts, Paris

"I'm here": l'integralista riluttante di Sun Yuan & Peng Yu

Sun Yuan e Peng Yu, I am here, 2006-2010, Vetroresina, gel di silice / Fiberglass, silice gel, 200 x 130 cm, Edizione 3 di 3 / Edition 3 of 3 Collezione privata / Private collection

“I’m here” fa parte del vasto filone delle sculture iperrealiste firmate dal duo Sun Yuan e Peng Yu. Creata nell’ormai lontano 2006 è un opera più che mai attuale perchè invita a riflettere sul rapporto con il Medioriente. Rappresenta, appunto, un mediorientale, vestito con abiti tradizionali ed armato di tutto punto. L’uomo, concentrato e silenzioso, spia da un buco nel muro chi entra e chi esce.

“I’m here” di Sun Yuan & Peng Yu è stata inclusa nell’importante collettiva “Corpus Domini Dal Corpo Glorioso alle Rovine dell’Anima” (curata da Francesca Alfano Miglietti) che Palazzo Reale di Milano dedica al corpo (inteso in senso fisico e spirtuale; pensato sia come sinonimo di individuo che, per estensione, di società) accostando ad esponenti dell’Iperrealismo storico e della Body Art artisti più giovani.

Sun Yuan & Peng Yu realizzano spesso sculture iperrealiste, talvolta disturbanti, altre surreali. A un primo sguardo le opere sembrano spavaldamente provocatorie ma il loro scopo è solo quello di attirare l’attenzione spingendo chi guarda a una riflessione sull’argomento proposto. Come le loro sorelle robotiche (ad esempio “I can’t help myself” o “Dear”, entrambe esposte alla Biennale di Venzia) si prestano ad essere lette su più piani.

“I’m here” è meno criptica di altre e l’abbigliamento, con tanto di fucile d’assalto, del soggetto della scultura, fa subito pensare a una lettura politico-sociale. Ma pure qui, a ben guardare, quella psicologica non è per niente da scartare.

A Milano, come nelle precedenti installazioni dell’opera, lo spettatore entrando nella stanza non vede la scultura, ma un buco nella parete posta di fronte all’ingresso. Avvicinandosi, si rende conto che all’altro capo di quel foro c’è un occhio che lo sta spiando. E solo a quel punto, girerà intorno al muretto, per scoprire chi lo osserva con insistenza.

Ovviamente Sun Yuan & Peng Yu, spingono lo spettatore a riflettere sia sul soggetto della scultura che sulla propria reazione. E, come fanno spesso, mixano abilmente la sensazione di pericolo imminente ad un ironia asciutta, quasi crudele.

“I’m here”, però, ha una particolarità rispetto ad altre opere del duo di artisti cinesi: a seconda del luogo in cui viene esposta assume significati diversi. Com’è ovvio, infatti, un turco ci vedrà cose diverse, da un italiano, un americano, un cinese, un palestinese o un australiano.

“I’m here” di Sun Yuan & Peng Yu sarà a Palazzo Reale di Milano per tutta la durata di “Corpus Domini Dal Corpo Glorioso alle Rovine dell’Anima” (fino al 30 gennaio 2022). Un approfonndimento sulle sculture iperrealiste in mostra lo trovate qui. Altre opere di Sun Yuan e Peng Yu si possono vedere sul sito internet degli artisti o sull’account instagram della sola Peng Yu.

CorpusDomini, Foto Allestimento SunYuan&PengYu Shiota EdoardoValle

L'artista Max Magaldi ha sostituito gli spettatori di un antico teatro con dei telefonini

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi ha recentemente sostituito tutti i posti in platea, oltre ai palchi, del Teatro Petrella di Longiano (in provincia di Forlì) con dei telefonini. 150 dispositivi in tutto. Su ognuno comparivano immagini hakerate dai social, mentre i device si producevano nell’esecuzione polifonica di una pièce musicale contemporanea.

La scultura sonora e visiva, prodotta da STUDIO STUDIO STUDIO (il laboratorio di supporto ad altri artisti contemporanei fondato da Edoardo Tresoldi) si chiamava Vainglory e gli spettatori potevano attraversarla o limitarsi a guardarla dal palco.

Lo scopo dell’opera era quello di attirare la nostra attenzione sull’abuso di devices tecnologici e social network. Salvo trarci contemporaneamente in inganno: invogliandoci cioè a fotografare l’instervento, o a condividere gli scatti sulla rete.

"Le immagini e i suoni scelti dall’artista-spiegano gli organizzatori dell'evento- indagano la faccia oscura e illuminata della tecnologia, attingendo a un immaginario dalle sfumature ironiche, tra il surreale e l’iperreale, e ad espressioni vicine all’universo dei meme".

In fondo, il coinvolgere il pubblico è un antico tema delle arti performative, che l’installazione di Max Magaldi, porta semplicemente alle estreme conseguenze attraverso l’uso della tecnologia. Anzi, come in una riedizione del mito di Narciso, si può dire che gli spettatori osservino dal palcoscenico se stessi. O meglio la superficiale (talvolta grottesca) proiezione di se. Della propria immagine trasformata in maschera, e della propria voce diventata rumore di fondo.

Il rovesciamento proposto da Magaldi- continuano- con Vainglory rende evidente il moto di superbia, il vanto mal riposto di questo egocentrismo esibito che genera un rumore che soffoca anche la creatività, restando però lontano dal palcoscenico

Nato nel 1982, Max Magaldi è un batterista di lunga data che da qualche anno a questa parte si dedica anche alle arti visive. Proprio per questo le sue installazioni trovano nel suono la loro ossatura anche quando sono composte da più elementi. Magaldi ha collaborato con Edoardo Tresoldi e con lo spagnolo Gonzalo Borondo, fornendo alle opere di entrambi un completamento musicale. Lui si definisce muralista sonoro

Vainglory, fa riferimento alla vanità, e ha dato l’avvio a un’indagine di Max Magaldi sui sette vizi capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia) in versione digitale. La serie si intitola theVices. Per saperne di più sulle sue sculture sonore e visive è possibile consultare il sito internet dell’artista italiano o seguirlo attraverso l’account instagram.

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte