L'artista Max Magaldi ha sostituito gli spettatori di un antico teatro con dei telefonini

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi ha recentemente sostituito tutti i posti in platea, oltre ai palchi, del Teatro Petrella di Longiano (in provincia di Forlì) con dei telefonini. 150 dispositivi in tutto. Su ognuno comparivano immagini hakerate dai social, mentre i device si producevano nell’esecuzione polifonica di una pièce musicale contemporanea.

La scultura sonora e visiva, prodotta da STUDIO STUDIO STUDIO (il laboratorio di supporto ad altri artisti contemporanei fondato da Edoardo Tresoldi) si chiamava Vainglory e gli spettatori potevano attraversarla o limitarsi a guardarla dal palco.

Lo scopo dell’opera era quello di attirare la nostra attenzione sull’abuso di devices tecnologici e social network. Salvo trarci contemporaneamente in inganno: invogliandoci cioè a fotografare l’instervento, o a condividere gli scatti sulla rete.

"Le immagini e i suoni scelti dall’artista-spiegano gli organizzatori dell'evento- indagano la faccia oscura e illuminata della tecnologia, attingendo a un immaginario dalle sfumature ironiche, tra il surreale e l’iperreale, e ad espressioni vicine all’universo dei meme".

In fondo, il coinvolgere il pubblico è un antico tema delle arti performative, che l’installazione di Max Magaldi, porta semplicemente alle estreme conseguenze attraverso l’uso della tecnologia. Anzi, come in una riedizione del mito di Narciso, si può dire che gli spettatori osservino dal palcoscenico se stessi. O meglio la superficiale (talvolta grottesca) proiezione di se. Della propria immagine trasformata in maschera, e della propria voce diventata rumore di fondo.

Il rovesciamento proposto da Magaldi- continuano- con Vainglory rende evidente il moto di superbia, il vanto mal riposto di questo egocentrismo esibito che genera un rumore che soffoca anche la creatività, restando però lontano dal palcoscenico

Nato nel 1982, Max Magaldi è un batterista di lunga data che da qualche anno a questa parte si dedica anche alle arti visive. Proprio per questo le sue installazioni trovano nel suono la loro ossatura anche quando sono composte da più elementi. Magaldi ha collaborato con Edoardo Tresoldi e con lo spagnolo Gonzalo Borondo, fornendo alle opere di entrambi un completamento musicale. Lui si definisce muralista sonoro

Vainglory, fa riferimento alla vanità, e ha dato l’avvio a un’indagine di Max Magaldi sui sette vizi capitali (superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia) in versione digitale. La serie si intitola theVices. Per saperne di più sulle sue sculture sonore e visive è possibile consultare il sito internet dell’artista italiano o seguirlo attraverso l’account instagram.

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Max Magaldi, Vainglory. Photo © Roberto Conte

Alberonero sconvolge con minimali memorie di primavera il paesaggio severo di una valle umbra

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Lo scorso autunno l’artista di Lodi Alberonero ha realizzato una serie di cinque installazioni nel territorio del comune perugino Vallo di Nera (Umbria). Tutte fatte con materiali reperiti sul luogo (soprattutto rami e tronchi d’albero) tessuti e resine, le opere, portavano un tocco di malinconia, con le loro sfumature di colori vivi, fuse in un paesaggio aspro e quasi monocromo. Come fantasmi di un tempo che si allontanava. E che adesso, con la primavera, torneranno a popolarlo sotto forma di memorie viventi (ricordi veicolati dalle sfumature di fiori e gemme) in una perfetta circolarità.

Il progetto, intitolato “Monte Immagine”, era parte del programma “Umbria, una terra che ti muove” (promosso da C.U.R.A. - Centro Umbro di Residenze Artistiche). Detto in altre parole, Alberonero ha partecipato a una residenza (sviluppata in collaborazione con STUDIO STUDIO STUDIO) conclusasi con le installazioni che copongono “Monte Immagine”

Alberonero, conosciuto soprattutto per le opere d’arte pubblica, è laureato in design d’Interni e ha costruto il suo stile distintivo piegando gli strumenti di lavoro del designer alle necessità dell’Arte. Così le sfumature pensate a tavolino per accostarsi alla perfezione, che dal pantone si spostano su un’intero edificio, i colori vibranti ma artificiali di lenzuola e copripiumino che trovano la loro collocazione migliore all’interno della tavolozza di un bosco. E il quadrato, che di naturale non ha nulla, capace di farsi portavoce della semplificazione della forma persino in un ambiente incontaminato.

Insomma il lavoro di Alberonero, cautamente teatrale, si basa sul paradosso. Ma un paradosso difficile da individuare. Soprattutto quando le sue installazioni dal contesto urbano si spostano in mezzo alla natura.

E’ il caso di “Monte Immagine” in cui l’artista usa lievi tessuti colorati ed alberi per giocare con il paesaggio e dialogare col cielo. I rettangoli di stoffa e i colori, per lo più intensi e artificiali nella loro nitida vividezza, sulle prime non sembrano adatti all’ambiente in cui vengono inseriti. Ma la maniera in cui l’artista li usa, lasciandoli liberi di giocare col vento, sottolineare particolari e perdersi nella grandezza del cielo, rendono gli interventi leggeri e simbiotici.

Nelle mie opere- spiega Alberonero- cerco di fare un'esperienza di pratica del posto che mi conduce a essere in equilibrio con il luogo e a non modificarlo, ma alterarlo temporaneamente. Un approccio che hocondiviso in passato con i lavoratori del posto. In Valnerina, non a caso, ho incontrato Giuseppe,un pastore che mi ha aiutato a pensare come qui potevo lavorare sugli stati d'animo che nasconodai momenti straordinari e solitari con il luogo."

Monte Immagine”, concepito come un progetto temporaneo adesso è visibile solo nelle immagini che documentano le installazioni che lo componevano. Altre opere di Alberonero, invece, si possono guardare sulla pagina Instagram dell’artista. Mentre per tenersi informati sui suoi nuovi progetti c’è l’account Facebook.

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

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Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

Alberonero, Monte Immagine. Fotogtafie © Roberto Conte

'Gharfa' di Edoardo Tresoldi, come un castello moresco in rete metallica e sughero a Riyadh

Edoardo Tresoldi, Gharfa. “Chapter 1_Light up” (immagini notturne). Tutte le fotografie © Roberto Conte

Edoardo Tresoldi, Gharfa. “Chapter 1_Light up” (immagini notturne). Tutte le fotografie © Roberto Conte

'Gharfa' di Edoardo Tresoldi sembra un castello, in cui vuoti e pieni, pesantezza e leggerezza, luce e ombra, si rincorrono. Il risultato coniuga la potenza maestosa di un edificio fortificato con l’effimero fascino di un accampamento. E pensare che è fatto soltanto di rete metallica e sughero.

'Gharfa' di Edoardo Tresoldi è un padiglione ideato per far vivere esperienze, all’interno del progetto creativo temporaneo “Diriyah Oasis”, (progettato e curato dallo studio di Dubai Designlab Experience a Diriyah) nella capitale saudita Riyadh. Firmato da Studio Studio Studio, di cui Tresoldi è direttore artistico, è frutto della collaborazione tra l’artista milanese, lo street artist Alberonero, il musicista Max Magaldi e il green designer Matteo Foschi.

La struttura architettonica di Tresoldi, tuttavia, fa la parte del leone. Si tratta di un vero e proprio edificio dai tratti possenti che riecheggiano i palazzi del At-Turaif District (sito storico patrimonio UNESCO, al centro di un piano di sviluppo che prevede l’apertura di musei e istituzioni culturali) che sorge non lontano dal padiglione. I muri sono a tratti pieni di sughero, interrompendo il rapporto senza soluzione di continuità con l’esterno ma creando anche intimità e vere e proprie stanze

Ed è proprio grazie a queste pareti che 'Gharfa' diventa spazio espositivo. Al centro, infatti, c’è un’installazione video che fa ardere un fuoco virtuale nel cuore dell’edificio. Ma basta spostarsi per incontrare delle effimere nuvole artificiali che fanno da contraltare al tappeto (elemento iconico della cultura araba). Poi c’è l’installazione, ispirata alle decorazioni mediorientali, di Edoardo Tresoldi e Matteo Foschi realizzata con piante e materiali industriali. A Max Magaldi è stato affidato, invece, il commento sonoro. All’esterno, ‘Duna’ di Alberonero, cinge il castello con un drappo di tessuto semitrasparente: "rappresenta il simbolo di un orizzonte bianco e percorso nel vuoto. Una soglia tra visibile e invisibile".

In generale padiglione 'Gharfa' di Edoardo Tresoldi a Riyadh fa tesoro dell’esperienza di Simbiosi ad Artesella e si discosta dall’opera creata, per esempio, ad Abu Dhabi e in genere a tutta la sua produzione precedente, proprio per l’uso del sughero che, quando necessario, interrompe la fusione dell’architettura con l’ambiente.

Così l’artista ha spiegato l’opera: “Ogni elemento di Gharfa vive di vita propria ma è pensato all’interno di una composizione orchestrale che interpreta le contaminazioni culturali come patrimonio da cui nascon i linguaggi del domani.”

il padiglione dall’esterno

il padiglione dall’esterno

18_Studio Studio Studio_Gharfa_Diriyah Oasis_designed and curated by Designlab Experience © Roberto Conte.jpg
20_Studio Studio Studio_Gharfa_Edoardo Tresoldi detail_Diriyah Oasis_designed and curated by Designlab Experience © Roberto Conte.jpg
un particolare dell’installazione Duna di Alberonero

un particolare dell’installazione Duna di Alberonero

3_Studio Studio Studio_Duna by Alberonero dialogues with Gharfa_Diriyah Oasis_designed and curated by Designlab Experience © Roberto Conte.jpg
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Le nuvole artificiali di un''installazione

Le nuvole artificiali di un''installazione

l’installazione in piante e materiali industriali di Tresoldi e Foschi

l’installazione in piante e materiali industriali di Tresoldi e Foschi

10_Studio Studio Studio_Gharfa_Edoardo Tresoldi and Matteo Foschi installation_Diriyah Oasis_designed and curated by Designlab Experience © Roberto Conte.jpg
il video-focolare che arde al centro del padiglione

il video-focolare che arde al centro del padiglione

l’artista ha scelto di non nascondere proiettori o fonti di luce per mettere in evidenza la natura scenografica dell’edificio

l’artista ha scelto di non nascondere proiettori o fonti di luce per mettere in evidenza la natura scenografica dell’edificio

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