Wayne Thiebaud che dipingeva torte, ritratti e paesaggi rubati al sogno americano

Wayne Thiebaud, Pie Rows, 1961 Oil on canvas, 55.9 x 71.1 cm Collection of the Wayne Thiebaud Foundation © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich Photo: Matthew Kroening

Nato nel 1920 e mancato nel 2021, Wayne Thiebaud, ha documentato 100 anni di storia americana. A modo suo, senza rappresentare importanti avvenimenti o mode. Per lo più dalla provincia, con discrezione, uno stile privo di sensazionalismo, e una pittura magistralmente padroneggiata, in bilico tra realismo ed astrazione.

Di solito dipingeva torte, rossetti, distributori di caramelle, lecca lecca o altri oggetti di consumo. Rimanendo fedele all’intuizione giovanile che ne fanno un precursore della Pop Art. Ma anche ritratti e paesaggi. Rivisitando, in ultima analisi, tre generi pittorici classici della storia dell’arte (natura morta, ritratto, paesaggio). Con una padronanza del mezzo magistrale.

D’altra parte Thiebaud, poco conosciuto in Europa, per quanto collocabile tra i massimi esponenti dell'arte figurativa americana, lavorerà nel solco creato da pittori come Edward Hopper e Georgia O'Keeffe, e nominerà per primo Diego Velázquez, Paul Cézanne, Henri Rousseau e Piet Mondrian come importanti pietre miliari. Senza contare l’opinione positiva che esprimerà verso altri artisti a lui più o meno contemporanei, come come Willem ed Elaine de Kooning (che conobbe durante un soggiorno a New York negli anni '50).

Ma gli influssi che si ritrovano nella sua arte vanno oltre i salotti buoni delle avanguardie storiche europee, o le gallerie di tendenza degli espressionisti astratti statunitensi, e si calano nella cartellonistica e nelle scelte di artisti prettamente commerciali. Senza dimenticare che Wayne Thiebaud, nato a Mesa, in Arizona, e cresciuto a Long Beach, in California, trascorse l'estate del 1936 lavorando nel dipartimento di animazione dei Walt Disney Studios (dove imparò tra l'altro a disegnare Topolino). E, mentre prestava servizio nell'esercito, si occupò della serie a fumetti per il bollettino della Mather Air Force Base.

Fu uno stimatissimo professore di pittura per tutta la vita. E proprio il suo amore per questo mezzo espressivo gli fece rifiutare l’etichetta di artista pop, malgrado la sua opera venne insclusa, insieme a quella di  Roy Lichtenstein , Andy Warhol, Jim Dine, Phillip Hefferton, Joe Goode, Edward Ruscha e Robert Dowd, nella storica mostra " New Painting of Common Objects " (1962, segnò l’inizio della Pop Art).

La sua opera, basata su un impianto frontale, i colori pastello, l’assenza di prospettiva e la sostanziale monocromia dello sfondo, passa da un resoconto della sua contemporaneità (come quando sostituisce espositori di dolci a frutta o fiori nelle sue nature morte), a commenti umoristici sul consumismo (ad esempio in "Eating Figures (Quick Snack)", una coppia guarda i propri hot dog con espressione sconcertata), fino ad instillare nell’osservatore un senso di nostalgia.

Ma l’aspetto più impressionante del lavoro di Thiebaud è il doppio registro che si ritrova in ogni sua opera. Da una certa distanza, infatti, il realismo della rappresentazione non conosce cedimenti, è solido, i soggetti definiti in ogni particolare non hanno segrati; mentre avvicinandosi alla tela le pennelate vibrano di vita propria e si liberano nell’astrazione. Spesso sono ricche, tattili. Tanto che il fumettista Saul Steinberg paragonò il suo lavoro ai mosaici romani.

Nei ritratti amava mettere particolari poco appariscenti strettamente legati alla moda dell’epoca ed abbinarli a pose dei soggetti composte, ma naturali, lievemente sgraziate. Mentre i paesaggi li dipingeva dall’alto, lascindo che il soggetto della rappresentazione e l’astrazione insita nella sua pittura, per un momento, si avvicinassero.

Thiebaud, tuttavia, rimane conosciuto soprattutto per le sue nature morte. Scaffali di cherry pies e cheese cake, distributori di caramelle e gomme da masticare, ma anche rossetti, giocattoli e peluches. Tutti, per qualche ragione, così smaccatamente americani. Lui in un’intervista, rilasciata nel 2017 ad Apollo Magazine, ha così commentato: "Dopo tutto, sono un americano. Ho attraversato il paese in macchina e vedi la stessa cosa in ogni ristorante da Sacramento a New York. Le stesse torte di meringa. Quindi ha cominciato ad avere molto senso dipingerli ed è stato molto intrigante".

La Fondazione Beyeler di Basilea (Svizzera) da gennaio ha in corso una mostra dedicata a Wayne Thiebaud. L’esposizione, è importante perchè l’artista, anche dopo la scomparsa, rimane poco conosciuto in Europa, ma soprattutto per la consistente quantità di disegni e dipinti che i visitatori avranno la possibilità di ammirare. Ben 65, provenienti principalmente da collezioni pubbliche e private americane.

Intitolata semplicemente “Wayne Thiebaud” e curata da Ulf Küster  (che è Senior Curator della Fondazione Beyeler), la mostra, rimarrà aperta fino al 21 maggio 2023.

Wayne Thiebaud, Eating Figures (Quick Snack), 1963 Oil on canvas, 181.6 x 120.7 cm Private Collection, Courtesy Acquavella Galleries © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich

Wayne Thiebaud, Pie Rows (detail), 1961 Oil on canvas, 55.9 x 71.1 cm Collection of the Wayne Thiebaud Foundation © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich Detail of Photo: Matthew Kroening

Wayne Thiebaud, Two Paint Cans, 1987 Oil on paper mounted on cardboard, 34.9 x 50.5 cm Collection of the Wayne Thiebaud Foundation © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich Photo: Matthew Kroening

Wayne Thiebaud, Student, 1968 Oil on canvas, 152.7 x 122.2 cm The Doris and Donald Fisher Collection at the San Francisco Museum of Modern Art © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich Photo: Katherine Du Tiel

Wayne Thiebaud, Three Cones, 1964 Oil on cardboard, 33 x 37.5 cm Collection of Bill and Donna Acquavella © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich

Wayne Thiebaud, Girl with pink hat, 1973 Oil on canvas, 91.4 x 74.9 cm San Francisco Museum of Modern Art Donation by Jeannette Powell © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich Photo: Katherine Du Tiel

Wayne Thiebaud, 35 Cent Masterworks, 1970-72 Oil on canvas, 91.4 x 61 cm Collection of the Wayne Thiebaud Foundatio © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich

Wayne Thiebaud, Flood Waters,2006/2013 Oil on canvas, 121.9 x 152.4 cm Private Collection, Courtesy Acquavella Galleries © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich

Wayne Thiebaud, Untitled (City View9, 1993 Oil on canvas, 50.8 x 40.6 cm Collection of the Wayne Thiebaud Foundation © Wayne Thiebaud Foundation/2022, ProLitteris, Zurich Photo: Matthew Kroening

La silenziosa foresta di Toshihiko Shibuya, intessuta con muschio e migliaia di puntine da disegno

Toshihiko Shibuya, Black Dragon. All images Courtesy Toshihiko Shibuya

Parte del ciclo scultoreo “Generation”, la nuova serie di opere "Generation - Origin /Occurrence " di Toshihiko Sibuya, celebra la poesia di una foresta avvolta dal silenzio invernale e la bellezza mutevole della natura. Lo fa accostando l’uno all’altro lavori strettamente minimali, seppur ricchissimi nella tessitura. Ed interamente costellati di spilli.

Per realizzarli l’artista di Sapporo (isola di Okkaido, Giappone) si è limitato a dipingere, più spesso di bianco ma anche di nero, dei rami ricoperti di muschio. E ad applicare sulla corteccia migliaia di puntine da disegno a testa sferica, dello stesso colore scelto per l’opera.

I rami, Shibuya, li ha prelevati dalla foresta così com’erano. Non li ha tagliati o modellati. E persino il muschio di alcune opere, nato a seguito delle cure dell’artista nel 2020, si è limitato a non riformarsi dopo essere seccato. Creando una base scultorea piena di sollecitazioni tattili, micro-motivi e forme imprevedibili, senza alterare il soggetto.

Per restituire la magia del paesaggio, l’artista ben deciso a non modificare il creato, oltre a sottolineare la tessitura dei pezzi con la monocromia e ad applicare centinaia di puntine da disegno su ognuno, si è concentrato sulla distribuzione degli elementi nello spazio.

Le opere, infatti, sono state tutte esposte all’Istituto d'Arte Contemporanea di Sapporo CAI03/CAI durante la mostra “Forest of the Silence” che si è recentemente conclusa (il 18 febbraio). E si sono dovute confrontare con le luci artificiali e l’architettura asciutta e razionale della galleria. Uno scenario inadatto a restituire l’immagine di una foresta innevata. Eppure, talvolta adagiate su leggeri piedistalli altre sistemate direttamente a terra, le sculture, se la sono cavata egregiamente. Merito, almeno in parte, dell’illuminazione che l’artista ha studiato per essere drammatica ma anche avvolgente. In equilibrio tra il mistero (che dà il senso della scoperta) e l’atemporalità (attraverso la quale lo spettatore cammina senza avere la sensazione di andare incontro a dei pericoli).

I lavori di volta in volta rievocano codici iconografici diversi. Il quadro d’insieme richiama alla mente il bosco, nel quale le persone si muovono in simbiosi con la natura. La sensazione prevalente è quella della pace interiore; il linguaggio artistico il paesaggio. Ma, mentre lo sguardo si sofferma sulle singole opere e il punto di vista cambia, si fanno strada associazioni diverse. Così i tronchi spezzati e dipinti di bianco, messi in fila su dei piedistalli, a un primo sguardo si trasformano in stele abbondantemente decorate. Affiorano immagini di alfabeti primordiali. Mentre i rami si fanno vere e proprie sculture.

E’ il caso dell’opera dipinta di nero “Black Dragon”, che con il suo corpo serpeggiante e un estremità simile ad un abbozzo di testa con un corno in cima, ha fatto esclamare a molti visitatori: “Questo sembra un drago nero"! Le circa 800 puntine da disegno, eburnee, luminose come scaglie, completano il pezzo.

"Il drago nero è un dio- drago che protegge- ha spiegato Toshihiko Shibuya- l'acqua, il nord e l'inverno nella Teoria dei cinque elementi. La Teoria dei cinque elementi è un pensiero filosofico naturale che ha avuto origine nell'antica Cina".

Nel pensiero orientale, il drago nero, oltre ad essere un simbolo benaugurante, è una divinità vendicatrice.

"Si dice che porti cose buone con la sua energia positiva, ma anche che possa manipolare il tempo per punire coloro che danneggiano inutilmente la natura. Trovo che questo aspetto sia molto interessante."

Al centro della poetica di Shibuya, infatti, c’è la dinamica bellezza della natura proiettata nel tempo ciclico delle stagioni. Con i suoi cantici circolari di vita, morte e rinascita.

Non a caso, un posto d’onore nella “Forest of the Silence” ce l’aveva un’altra opera di grandi dimensioni: “White Reborn”. Legno di ciliegio (parte di un ramo o di un tronco) che era già stato oggetto di un’installazione dell’artista direttamente nella foresta. La scultura, nella sua sua posa rilassata, quasi di riposo, nell’ambito dell’esposizione spiccava: "L’illuminazione è stata pensata affinché questo oggetto diventi una presenza simbolica nello spazio . La parete frontale esprime una tenue e delicata luminosità con la luce riflessa che illumina l'oggetto".

In occasione di “Forest of the Silence”, Toshihiko Shibuya, ha installato all’esterno dell’Istituto d'Arte Contemporanea di Sapporo CAI03/CAI anche “Snow Pallet 16”, l’ultimo capitolo della sua annuale opera dedicata al paesaggio innevato. Shinbuya, però, condivide il suo lavoro anche attraverso l’account instagram e il sito internet.

Toshihiko Shibuya, White Reborn. All images Courtesy Toshihiko Shibuya

I ponti incompiuti sono un simbolo di corruzione. Per questo un artista li ha fotografati tutti

Md Fazla Rabbi Fatiq, Untitled, work in progress (2022-ongoing)

La serie di fotografie “Untitled” dell’artista del Bangladesh, Md Fazla Rabbi Fatiq, condensa in una laconica metafora i problemi del suo paese. Quella dei ponti incompiuti. E lo fa con un linguaggio asciutto da documentario d’altri tempi.

Le immagini che si susseguono, svelando architetture geometriche fatiscenti, spesso solo abbozzate, sono state catturate con rigore quasi scientifico. Non sono omogenee nella scelta della prospettiva, né nella distanza, ma nella piatta rigidità dell’immagine. Le forme sono addolcite solo dal tempo cupo, spesso nebbioso, che costituisce anche un commento. Una delle poche libertà che l’artista si è preso nei confronti di foto che altrimenti vogliono essere obbiettive fino all’impersonalità.

Nato nel ‘95, Md Fazla Rabbi Fatiq, vede nella fotografia il suo linguaggio privilegiato. E il suo stile cambia molto a seconda dell’argomento che decide di trattare. Ad esempio, in “Home”, l’artista esprime l’angoscia del confinamento e la paura della pandemia con immagini dinamiche, molto colorate, al limite dell’astrazione ma anche inquietanti e, a tratti, persino sgradevoli.

Invece, in questa serie dedicata alle infrastrutture di comunicazione, che gli è valsa il premio Samdani Art Award (il principale premio artistico del Bangladesh) e quindi una residenza di studio-lavoro presso la prestiogiosa Delfina Foundation di Londra, usa il gergo del documentario per esprimere quello che considera un dato di fatto.

"Spesso le strade sono crollate- scrive l’artista sul suo sito internet- e in molti casi non ancora costruite ma centinaia di strutture di ponti si, e vengono abbandonate in campi aperti, canali e terreni agricoli. Anche dopo aver stanziato un budget enorme, gli appaltatori si appropriano indebitamente del fondo e lasciano il cantiere incompiuto perchè sono sostenuti dai partiti politici(...) Le persone così devono usare la barca per 10 mesi all'anno(...) D'altra parte, l'età media di questi ponti abbandonati è di quasi due decenni. La maggior parte di loro non è costruita in modo sostenibile e molti, di recente costruzione, stanno crollando dopo anni di lavori. Per le comunità locali, questi ponti sono come sogni abbandonati che non trovano mai la sponda nella realtà.  Pertanto, queste disposizioni simmetriche di ponti disfunzionali rappresentano non solo architetture geometriche ma sono anche simboli della corruzione in Bangladesh".

In questo Md Fazla Rabbi Fatiq vede anche le radici del perpetuarsi della povertà nel suo paese.

"Più la corruzione è pervasiva in una società, maggiore è la disparità di reddito che, a sua volta, porta a un'ulteriore perpetuazione della corruzione. Esiste un'analoga associazione positiva tra corruzione e povertà: maggiore è il livello di corruzione, maggiore è il livello di povertà".

Sullo sfondo la Natura. Distante, silenziosa. Carica le fotografie dell’artista di una poetica malinconia.

Md Fazla Rabbi Fatiq al Samdani Art Award si è guadagnato la vittoria insieme a Purnima Akta che invece usa la pittura attingendo alla mitologia, alle miniature Muhgal (che venivano usate in India per illustrare i manoscritti) e all'arte popolare, per rappresentare imminenti disastri ecologici (Akta però andrà in residenza nel Ghana, dove c’è il Savannah Center for Contemporary Art and Red Clay dell’artista Ibrahim Mahama, anzichè a Londra).

Per farsi un idea più precisa del lavoro Md Fazla Rabbi Fatiq, si può dare uno sguardo alle fotografie sul sito internet del giovane artista bangladese o sull’account instagram.

Md Fazla Rabbi Fatiq, Untitled, work in progress (2022-ongoing)

Md Fazla Rabbi Fatiq, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Md Fazla Rabbi Fatiq, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Purnima Aktar, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Purnima Aktar, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.