La silenziosa foresta di Toshihiko Shibuya, intessuta con muschio e migliaia di puntine da disegno

Toshihiko Shibuya, Black Dragon. All images Courtesy Toshihiko Shibuya

Parte del ciclo scultoreo “Generation”, la nuova serie di opere "Generation - Origin /Occurrence " di Toshihiko Sibuya, celebra la poesia di una foresta avvolta dal silenzio invernale e la bellezza mutevole della natura. Lo fa accostando l’uno all’altro lavori strettamente minimali, seppur ricchissimi nella tessitura. Ed interamente costellati di spilli.

Per realizzarli l’artista di Sapporo (isola di Okkaido, Giappone) si è limitato a dipingere, più spesso di bianco ma anche di nero, dei rami ricoperti di muschio. E ad applicare sulla corteccia migliaia di puntine da disegno a testa sferica, dello stesso colore scelto per l’opera.

I rami, Shibuya, li ha prelevati dalla foresta così com’erano. Non li ha tagliati o modellati. E persino il muschio di alcune opere, nato a seguito delle cure dell’artista nel 2020, si è limitato a non riformarsi dopo essere seccato. Creando una base scultorea piena di sollecitazioni tattili, micro-motivi e forme imprevedibili, senza alterare il soggetto.

Per restituire la magia del paesaggio, l’artista ben deciso a non modificare il creato, oltre a sottolineare la tessitura dei pezzi con la monocromia e ad applicare centinaia di puntine da disegno su ognuno, si è concentrato sulla distribuzione degli elementi nello spazio.

Le opere, infatti, sono state tutte esposte all’Istituto d'Arte Contemporanea di Sapporo CAI03/CAI durante la mostra “Forest of the Silence” che si è recentemente conclusa (il 18 febbraio). E si sono dovute confrontare con le luci artificiali e l’architettura asciutta e razionale della galleria. Uno scenario inadatto a restituire l’immagine di una foresta innevata. Eppure, talvolta adagiate su leggeri piedistalli altre sistemate direttamente a terra, le sculture, se la sono cavata egregiamente. Merito, almeno in parte, dell’illuminazione che l’artista ha studiato per essere drammatica ma anche avvolgente. In equilibrio tra il mistero (che dà il senso della scoperta) e l’atemporalità (attraverso la quale lo spettatore cammina senza avere la sensazione di andare incontro a dei pericoli).

I lavori di volta in volta rievocano codici iconografici diversi. Il quadro d’insieme richiama alla mente il bosco, nel quale le persone si muovono in simbiosi con la natura. La sensazione prevalente è quella della pace interiore; il linguaggio artistico il paesaggio. Ma, mentre lo sguardo si sofferma sulle singole opere e il punto di vista cambia, si fanno strada associazioni diverse. Così i tronchi spezzati e dipinti di bianco, messi in fila su dei piedistalli, a un primo sguardo si trasformano in stele abbondantemente decorate. Affiorano immagini di alfabeti primordiali. Mentre i rami si fanno vere e proprie sculture.

E’ il caso dell’opera dipinta di nero “Black Dragon”, che con il suo corpo serpeggiante e un estremità simile ad un abbozzo di testa con un corno in cima, ha fatto esclamare a molti visitatori: “Questo sembra un drago nero"! Le circa 800 puntine da disegno, eburnee, luminose come scaglie, completano il pezzo.

"Il drago nero è un dio- drago che protegge- ha spiegato Toshihiko Shibuya- l'acqua, il nord e l'inverno nella Teoria dei cinque elementi. La Teoria dei cinque elementi è un pensiero filosofico naturale che ha avuto origine nell'antica Cina".

Nel pensiero orientale, il drago nero, oltre ad essere un simbolo benaugurante, è una divinità vendicatrice.

"Si dice che porti cose buone con la sua energia positiva, ma anche che possa manipolare il tempo per punire coloro che danneggiano inutilmente la natura. Trovo che questo aspetto sia molto interessante."

Al centro della poetica di Shibuya, infatti, c’è la dinamica bellezza della natura proiettata nel tempo ciclico delle stagioni. Con i suoi cantici circolari di vita, morte e rinascita.

Non a caso, un posto d’onore nella “Forest of the Silence” ce l’aveva un’altra opera di grandi dimensioni: “White Reborn”. Legno di ciliegio (parte di un ramo o di un tronco) che era già stato oggetto di un’installazione dell’artista direttamente nella foresta. La scultura, nella sua sua posa rilassata, quasi di riposo, nell’ambito dell’esposizione spiccava: "L’illuminazione è stata pensata affinché questo oggetto diventi una presenza simbolica nello spazio . La parete frontale esprime una tenue e delicata luminosità con la luce riflessa che illumina l'oggetto".

In occasione di “Forest of the Silence”, Toshihiko Shibuya, ha installato all’esterno dell’Istituto d'Arte Contemporanea di Sapporo CAI03/CAI anche “Snow Pallet 16”, l’ultimo capitolo della sua annuale opera dedicata al paesaggio innevato. Shinbuya, però, condivide il suo lavoro anche attraverso l’account instagram e il sito internet.

Toshihiko Shibuya, White Reborn. All images Courtesy Toshihiko Shibuya

Lo scultore Hugh Hayden ha creato un'inestricabile foresta di banchi scolastici al Madison Square Park

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

Entrando al famosissimo Madison Square Park , nella parte settentrionale di Manhattan, in queste settimane è difficile non imbattersi in una foresta di banchi scolastici da cui si ergono fitti rami. L’installazione, composta da 100 sculture identiche di Hugh Hayden, uno degli astri nascenti della scena artistica newyorkese, si estende all’ombra degli alberi su quattro campi distinti, come un rigoglioso ed inestricabile sottobosco. O un roveto, come sembra suggerirne il titolo: Brier Patch.

L’opera pubblica parla di disparità d’accesso all’istruzione. Per questo i banchi, cristallizzati in un immagine nostalgica dal design inconfondibilmente anni ‘60, sono vuoti. Inacessibili. Sembrano anzi ritornati di dominio della Natura dopo un breve periodo allo stato di artefatti.

"Gli oggetti stessi sono in transizione tra culturale e naturale- ha detto a New York Times l'artista Mark Dion , professore di Hayden all'università- Si rifà al meglio dei surrealisti come Man Ray e Meret Oppenheim , dove gli oggetti sono così inquietanti. Oscillano in questo mondo misterioso. È una sedia e non è una sedia".

Lo scultore statunitense focalizza il suo interesse sulla difficoltà di accesso ad un’istruzione di qualità da parte delle minoranze. Un labirinto burocratico che può ferire molto profondamente. A meno di non essere furbi come il Br'er Rabbit (il titolo dell’installazione in realtà fa soprattutto riferimento a lui), l’astuto coniglio che dai racconti orali dell’Africa occidentale si è trasferito negli Stati Uniti meridionali insieme agli schiavi, per essere definitivamente consacrato nell’immaginario popolare dalla Disney anni dopo.

Nato nell’83 a Dallas da una famiglia afroamericana di insegnati, Hugh Hayden, si è laureato in architettura e ha praticato la professione per una decina d’anni, prima di dedicarsi a tempo pieno alle arti visive. Adesso vive a New York ed è rappresentato sul territorio statunitense e inglese dalla influente Lisson Gallery. Le sculture in legno (materiale che sceglie rigorosamente a chilometro zero o giù di lì), sono le opere che lo identificano con maggior chiarezza. Si tratta, come nell’installazione di Madison Square Park, di oggetti d’uso comune ricoperti di rami o spine. Ma ha anche nascosto una macchina della polizia sotto un lenzuolo con i buchi per gli occhi stile cartone animato. Oltre ad aver trasfomato tegami e padelle in tanto colorate quanto divertenti maschere africane.

Brier Patch resterà al Madison Square Park fino al 24 aprile. Hugh Hayden ha un sito internet e un account instagram che è possibile consutare per dare uno sguardo agli altri suoi lavori. (via Colossal)

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

“Brier Patch” at Madison Square Park (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Yasunori Matsui

Hayden durnte l'installazione di “Brier Patch” (2022). Image courtesy of the artist and Madison Square Park Conservancy, by Rashmi Gill

Le sculture in legno di Willy Verginer sempre più oniriche e sospese

Detail of “Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

Detail of “Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

La scultura lignea iperrealista di Willy Verginer (ne ho parlato qui) è unica nel suo genere. Sia perché l’uso del legno non è molto diffuso nell’arte contemporanea (soprattutto come oggetto di scultura figurativa), sia perché si riappropria di una tradizione strettamente locale, nel tempo diventata pratica artiginale condivisa, e la rivisita in modo nuovo ma personale.

Verginer, che vive e lavora a Ortisei, mette insieme elementi di design, del folklore tirolese, della Storia dell’Arte, persino della fotografia e della moda, per riconciliare l’ieri con l’oggi. Spingere il fantasma dell’artigianato furori dal santuario dell’arte. E lo fa con maestria, mettendo insieme un iperrealismo maniacale con punti di intaglio lasciati liberi, per vezzo o conferire movimento a personaggi preferibilmente ritratti in pose statiche. D’altra parte le opere di Verginer sono metafore, i suoi soggetti si parano davanti a noi (il più delle volte non considerandoci nemmeno), per spingerci a leggere i messaggi che ci portano. Onirici e sospesi, parlano sopratutto di ecologia ma (meno di frequente) anche di altri temi d’attualità.

Nella serie di opere più recente, “Rayuela” (il termine spagnolo che indica il gioco della Campana), ispirata all’omonimo romanzo dalle moltepici letture (in italiano intitolato “Il gioco del mondo”) dell’argentino Julio Cortázar, Verginer , oltre a legare a filo stretto la letteratura alle sue sculture, le inserisce in un racconto aperto e in una riflessione filosofica sul divenire. Regala, insomma, loro quello che più sembrava mancargli di più: una storia con una dimmensione temporale più estesa.

"(Nel gioco della campana), i ragazzi delineano una mappa ideale sul terreno- ha detto Verginer al sito This is Colossal- che parte dalla terra e raggiunge il cielo, attraverso tappe intermedie contrassegnate da quadrati numerati, su cui saltano a seconda del punto in cui viene lanciato un sasso. Riesco a vedere una metafora della vita in questo gioco; la nostra esistenza è piena di questi salti e ostacoli. Ognuno di noi mira a raggiungere una sorta di cielo".

Willy Verginer sarà in mostra a giugno alla galleria Royer di Toronto e a settembre alla Zemack Contemporary Art Gallery di Tel Aviv. Nel frattempo, le opere della serie Rayuela e di altri cicli si possono ammirarare sul suo account instagram.

“Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

“Chimica del pensiero” (2019), lindenwood, acrylic color, 168 x 46 x 45 centimetri

“Palvaz” (2019), legno di tiglio, colore acrilico, 95 x 70 x 47 centimetri

“Palvaz” (2019), legno di tiglio, colore acrilico, 95 x 70 x 47 centimetri

“I pensieri non fanno rumore” (2019), different types of wood, acrylic color, 150 x 100 x 107 centimetri

“I pensieri non fanno rumore” (2019), different types of wood, acrylic color, 150 x 100 x 107 centimetri

“Rayuela” (2020), tiglio, acrylic color, 123 x 110 x 90 centimetri

“Rayuela” (2020), tiglio, acrylic color, 123 x 110 x 90 centimetri