Tutti gli artisti nella nuova pubblicità Coca-Cola a cominciare da Aket

Ambientata in un museo immaginario in cui sembrano concentrati tutti i capolavori iconici della storia dell’arte, la nuova pubblicità Coca-Cola, in realtà, dà spazio anche ad artisti contemporanei meno conosciuti A cominciare dallo street-artist francese Aket che, da un giorno all’altro, è diventato famoso.

Come lo spot. Cuore della campagna Masterpiece (comprende anche una galleria online, cartelloni pubblicitari in 3D e oggetti da collezione digitali), che non ha mancato di diventare virale e accendere un vero e proprio dibattito. D’altra parte, la pubblicità Coca-Cola, è un prodotto raffinato che non si limita a sfruttare la psicologia di chi guarda per raggiungere il consumatore ma mette in campo anche un cocktail visivo all’avanguardia, composto da riprese dal vivo, effetti digitali e intelligenza artificiale (ci hanno lavorato le agenzie: Electric Theatre Collective e Blitzworks).

Lo spot si svolge in uno spazio espositivo di fantasia, che ha caratteristiche architettoniche affascinanti ma ibride. Un po’ fa pensare a un museo europeo (forse il Louvre), un po’ al Moma di New York. Allo stesso modo, le opere tra le quali si svolge la danza virtuale della bottiglietta di Coca-Cola, sono opera di artisti del passato e del presente. Famosi e non. Eppure, accostati a Andy Warhol, William Turner, Edward Munch, Vincent Van Gogh, Utagawa Hiroshige e Johannes Vermeer, tutti sono apparentemente già parte della storia dell’arte.

In realtà, i contemporanei di Coca-Cola, prima di questo spot erano tutti poco conosciuti. Ma dall’uscita della campagna pubblicitaria sono diventati di botto, noti a persone di tutto il mondo. Si tratta del francese Aket, del fotografo idiano-inglese Vikram Kushwah, della pittrice egiziana Fatma Ramadan del pittore sudafricano Wonderbuhle e della pittrice colombiana-francese Stefania Tejada.

Ad aprire le danze è l’opera "Divine Idyll" di Aket, che per questo rimane particolarmente impressa. L’autore è uno street-artist originario di un paese della Piccardia, che adesso vive a Lille. Si fa chiamare anche Aket Kubic, perchè di solito rappresenta personaggi dalle forme ispirate al Cubismo. Al centro dei suoi graffiti: scene di vita quotidiana, combattimenti ma anche una sua versione di soggetti classici (come “le bagnanti”). Ha anche creato un personaggio, “Mr. Tarin”, che ironizza sui difetti dei francesi. Tra gli artisti contemporanei della pubblicità è l’unico occidentale.

Nello spot Coca-Cola, il protagonista del dipinto di Aket, dopo aver rubato una bottiglietta di Coca-Cola dipinta da Warhol nel ‘62 (“Coca-Cola 3”), la lancia a un marinaio de “Il Naufragio” (1804) di Turner. Quest’ultimo la tira alla protagonista di “Falling in Library” di Kushwah, che, con l’aiuto delle signore rappresentate in “The Blow Dryer”, riesce a raggiungere l’eroe de “L’Urlo” di Munch. A sua volta, il disperato protagonista, la passa al ragazzo ritratto da Wonderbuhle che, esce dal quadro, per poi cadere sul letto della famosa “Camera di Vincent ad Arles” di Van Gogh. A questo punto lo spot mette in gioco l’azione, e la protagonista del decoratissimo dipinto di Tejada, si esibisce in una vera e propria acrobazia, per far atterrare la preziosa bibita nel paesaggio innevato de "Il ponte-tamburo di Meguro e collina del tramonto" (parte della serie "Cento vedute famose di Edo") di Hiroshige. Di qui la “Ragazza con l’orecchino di Perla” di Vermeer può prenderla. Ed ecco che, finalmente, quest’ultima la fa avere, con tanto di strizzatina d’occhio, ad uno studente a corto d’ispirazione durante una prova di disegno al museo.

In breve, Coca-Cola ha messo in scena una danza a cui partecipano i soggetti delle opere d’arte. In uno spirito multiculturale molto attuale. A cui altri artisti, di ieri e di oggi, hanno contribuito, secondo la stessa multinazionale americana, che gli ha citati come fonte d’ispirazione (da Modigliani o Monet fino a Zena Assi).

Gli affascinanti e malinconici ritratti senza forma del Gian Maria Tosatti pittore

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Conosciuto per le sue gransi installazioni ambientali, scenografiche e pervase di una sottile malinconia, Gian Maria Tosatti, che la scorsa estate ha rappresentato l’Italia alla 59esima Biennale di Venezia (per la prima volta da solo), si dedica da tempo anche alla pittura. Opere astratte, pensate come ritratti collettivi sospesi tra passato e futuro. I ritratti delle emozioni di una generazione, incapaci di dare forma ad un presente che all’artista appare fugace ed incerto.

Non a caso tra i due cicli pittorici, presentati da Tosatti in anteprima al Pirelli Hangar Bicocca durante la mostra “Now/here” (attualmente in corso nello spazio espositivo milanese), ce n’è uno che si chiama “Ritratti”. Si tratta di grandi supporti rettangolari di metallo usurato. Il mutare della materia in queste opere simboleggia lo scorrere del tempo. Contemporaneamente l’artista originario di Roma (vive a Napoli), attraverso la tessitura tattile e cangiante di “Ritratti”, allude a costellazioni di emozioni inesprimibili e fa eco alle ampie geometrie vissute che compongono Pirelli Hangar Bicocca (un tempo sede del gruppo Ansaldo).

Le opere, dipinte in oro e ruggine, su pannelli in ferro assemblati e installati su strutture in tubo giunto, sono molto grandi, talmente a loro agio nello spazio che le ospita da sembrare scultoree. Le dorature che le impreziosiscono, poi, fanno riferimento alla tradizione pittorica occidentale, dai mosaici bizantini, ai dipinti medioevali fino alle più recenti pratiche sperimentali di artisti italiani degli anni settanta (Jannis Kounellis, Gino De Dominicis e Luciano Fabro) ma ricordano anche alla lontana il Kiefer più recente.

Tosatti, con “Ritratti, dice di aver dato vita a “una superficie che separa il regno delle cose da quello dell’anima”.

Nell’altra serie presentata a Pirelli Hangar Bicocca si scorgono invece dei vaghi residui figurali. Ma di paesaggio e non di ritratto. La serie, che dà anche il titolo alla personale, si chiama “Now/here” e fa subito venire in mente il paesaggio notturno con lucciole dell’ultima stanza dell’installazione "Storia della notte e destino delle comete". Le grandi tele, dieci in tutto, in questa serie, sono sospese al soffitto e interamente coperte con tratti e sfumature di grafite e carboncino bianco. La composizione può suggerire l’esistenza di una linea d’orizzonte al di sopra della quale starebbero sospesi dei candidi cerchi. Le forme, simili a pianeti o astronavi, talmente lucenti e ferme nel profondo grigiore dello sfondo, portano con se una sensazione di inquietudine e levità.

D’altra parte, l’ambiguità e il tono perentorio del nome della serie, aiutano l’osservatore ad andare alla deriva in uno spazio di domande irrisolte. “Now\here”, infatti, che si può leggere sia “Adesso Qui” (now here) che “Nessun Luogo” (nowhere), sembra alludere a un presente sfuggente e ingannevole.

E, naturalmente ad un corso storico che si fa sentimento collettivo. Sia “Ritratti” che “Now\here”, infatti, come tutte le altre opere dell’artista, vanno letti come una riflessione sul confine che separa individuale e collettivo, nel tentativo di dare forma allo spirito di un’epoca.

La mostra “Now\here” di Gian Maria Tosatti, è stata illuminata dal light designer e direttore di fotografia Pasquale Mari. Rimarrà al Pirelli Hangar Bicocca fino al 30 luglio 2023 e dal 6 aprile farà coppia con la personale “Grand Bal” dell’ingese Ann Veronica Janssens.

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti Ritratto #004, veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti NOw/here #008 (particolare), veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano,

2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

Gian Maria Tosatti “NOw/here”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Ela Bialkowska, OKNOstudio

L'essenza inafferrabile degli autoritratti di Vivian Maier a Palazzo Sarcinelli di Conegliano

Self portrait Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

La scomparsa fotografa statunitense, Vivian Maier, conosciuta per aver lavorato come babysitter per mantenersi (nonostante oggi sia considerata una figura cardine della street-photography del ‘900), nella sua vita scattò un gran numero di autoritratti. Si tratta di immagini particolari, veloci eppure strutturate, molto enigmatiche, in cui lei appare e scompare, svelando poco di se (come, del resto, pare fosse solita fare anche di persona). Queste fotografie di Maier, saranno al centro della mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, che si inaugurerà il prossimo 23 marzo, al Palazzo Sarcinelli di Conegliano (in provincia di Treviso).

Scoperta solo dopo la sua morte e presentata al grande pubblico come la tata-fotografa americana, Vivian Maier, di origini austro-francesi ma nata negli Stati Uniti dove trascorse tutta la sua vita adulta, morì in miseria pur non avendo mai smesso di fotografare. Chi l’ha conosciuta l’ha descritta così: eccentrica, forte, supponente, intellettuale e molto riservata. Pare indossasse sempre un cappello floscio, un abito lungo, un cappotto di lana e scarpe da uomo. Aveva anche un passo deciso con cui percorreva le strade di Chicago e New York raccontando le città attaverso i suoi scatti e contemporaneamente un’epoca.

Aveva perso i genitori da giovane e dopo essersi sopostata tra Europa e Stati Uniti mise radici nel Nuovo Continente. Lì si manteneva facendo la babysitter e la badante. Non si sarebbe mai sposata ne avrebbe mai stretto relazioni intime con nessuno. Viaggiò, diventò un’accumulatrice di oggetti di poco conto ed ebbe sempre problemi con i soldi. Problemi seri con i soldi. Tanto che da anziana a salvarla dal finire senza un tetto furono alcuni dei bambini che aveva cresciuto. Eppure nel 2007, solo due anni prima della morte, il contenuto del magazzino dove conservava le sue fotografie venne venduto: c’era un debito da saldare.

Gli scatoloni di rullini della Maier finirono all’asta, dove fruttarono subito 20mila dollari. Da quel momento in avanti il loro valore si sarebbe alzato e il lavoro della fotografa statunitense sarebbe diventato famoso in tutto il mondo. La vendita fu una circostanza fortunata, perchè il materiale avrebbe potuto finire nell’immmondizia. Peccato che l’autrice non ne trasse alcun beneficio

La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier- ha scritto la curatrice della mostra di Cornegliano, Anne Morin- che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa

Vivian Maier avrebbe lasciato oltre 120mila negativi, filmati super 8mm, tantissimi rullini mai sviluppati, foto e registrazioni audio. Scattò sia in bianco e nero che a colori. In una carriera ultra quarantennale.

Nel vasto archivio fotografico della Maier sono molti anche gli autoritratti. Questi ultimi tradiscono inquietudine e hanno un essenza ineffabile. Maier infatti scattava in esterni e aveva l’abitudine di fotografare la propria ombra o se stessa riflessa in specchi e superfici varie. Nonostante sia il soggetto delle immagini, Maier appare condizionata dall’ambiente che la circonda, a volte fusa ad esso. Come se diventasse invisibile.

L’abilità con cui coglie i giochi di luce e i piani che si formano nella bidimensonalità della fotografia, rendono le immagini incredibilmente sfaccettate. Ma non ci dicono assolutamente nulla su Maier come soggetto di se stessa, anzi, a volte, quest’ultima scompare quasi del tutto.

"Vivian Maier -scrive di nuovo Anne Morin-si destreggiava con una versione di sé sul confine tra la sparizione e l'apparizione del suo doppio, riconoscendo forse che un autoritratto è "una presenza in terza persona (che) indica la simultaneità di quella presenza e della sua assenza".

La mostra degli autoritratti di Vivian Maier, “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, è stata organizzata da ARTIKA in sinergia con diChroma Photography ed è curata da Anne Morin. Sarà a Palazzo Sarcinelli di Conegliano dal 23 marzo all'11 giugno 2023.

Self portrait Chicago 1970 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

New-York, October 18 1953 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

Self portrait NewYork, 1953 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

Self portrait 1959 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY

Self portrait NewYork, 1955 Estate of Vivian Maier Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery NY