Il fotografo Max Farina ricompone un’iconica veduta di Venezia con oltre 60mila fotografie scattate in 10 anni di lavoro

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

E’ un progetto gugantesco quello che inaugurerà oggi al Fondaco dei Tedeschi di Venezia (dal 7 febbraio 2024). Il fotografo e architetto milanese Max Farina per realizzarlo ha impiegato 10 anni in cui ha ritratto più di 16mila persone ma soprattutto nei quali ha collezionato 60.557 tasselli (cioè vedute parziali della città lagunare). Perché in “The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years”, il panorama più iconico di Venezia (la vista che si gode dal ponte di Rialto) si compone come in un puzzle su un grande monitor di migliaia di scatti, colti in orari diversi, in condizioni metereologiche disomogenee oltre che in giorni ed anni differenti.

Il progetto di Rivus Altus- ha scritto Farina sul suo account Instagram- è iniziato a Venezia 10 anni fa, ha partecipato a fiere internazionali, è sbarcato prima a Beverly Hills e poi a New York, ha iniziato a girare il mondo nei luoghi più inaspettati, per tornare infine a Venezia con questa mostra al Fondaco dei Tedeschi . Un viaggio fotografico attraverso le trasformazioni della città di Venezia, ogni scatto racconta una storia: un decennio di dedizione e passione per immortalare lo scorrere del tempo nella città galleggiante”.

Per realizzare l’opera Farina ha preso spunto dal testo dello scrittore francese Georges Perec “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” (Parigi, 1975), in cui l’autore osserva una piazza della capitale francese da differenti punti di vista e in diversi momenti, annotando ogni variazione. Farina si è poi interrogato sull’attenzione che le persone riservano a soggetti riprodotti talmente tante volte da risultare privi di qualsiasi mistero, e, nonostante questo o proprio a causa di ciò, visitati e fotografati più degli altri. In questo mondo il fotografo riflette contemporaneamente su ciò che scegliamo di ricordare e su come la nostra esperienza, spesso, sia manipolata e manchi di autenticità. Tuttavia, le persone che compaiono in questi scatti sono sempre diverse e la loro presenza insieme al loro punto di vista sul panorama, rendono la città sempre nuova seppur immutata. Dando quindi anche uno spunto per pensare al concetto di autorialità e domandarsi cosa significhi fotografare panorami urbani

The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years” ha richiesto a Farina 500 ore di appostamento (che il fotografo ha diligentemente interpretato, riprendendo ogni volta la stessa posizione del primo scatto). Ed è anche un’indagine sullo scorrere del tempo (come si capisce dal termine “cronorama”, coniato per titolare la serie), sulla maniera impercettibile in cui si insinua nei paesaggi urbani apparentemente immutabili come quello veneziano, oppure plasticamente su quelli ugualmente noti ma in continuo divenire. Farina, infatti, da anni fotografa pure piazza Duomo a Milano ma anche Time Square e Brooklyn a New York e poi Parigi, Los Angeles insieme ad altre città.

Nato a Milano nel 1974, Max Farina, è particolarmente interessato ad esplora l’impatto visivo dello scorrere del tempo su punti di vista iconici, architettonici e paesaggistici. E’ laureato in architettura al Politecnico di Milano e dal ‘91 si dedica alla fotografia di reportage, architettura e documentazione del territorio. Parallelamente al suo lavoro di architetto e fotografo, nel 2010 ha fondato lo studio di comunicazione Farina ZeroZero.

The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years” di Max Farina al Fondaco dei Tedeschi di Venezia è stata realizzata in collaborazione con la San Polo Art Gallery (che ospita una mostra di opere del fotografo milanese) e si potrà visitare fino al 7 aprile 2024 (ad ingresso gratuito).

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina al lavoro a Venezia

Biennale di Venezia 2022| "The Nature of the Game" Il Padiglione Belgio di Francis Alÿs ci svela l'universalità del gioco

The Nature of the Game - Francis Alÿs credits: Roberto Ruiz

Composto da brevi video riprodotti su schermi di varie dimensioni e piccoli dipinti, “The Nature of the Game”, il Padiglione Belgio di Francis Alÿs, per la 59esima Esposzione Internazionale d’Arte, è uno di quelli da non perdere alla Biennale di Venezia 2022. Benchè l’artista originario di Anversa abbia deciso di puntare su “Children’s Games, una sua serie ben nota e se vogliamo storica (visto che è cominciata nel ‘99), le opere non smettono di essere sorprendenti, per i molteplici piani di lettura e per come mixano poesia e riflessione, semplicità e complessità, bellezza e degrado.

E poi “The Nature of the Game” presenta un corpo importante di nuove produzioni (ed altrettanti nuovi giochi). I film selezionati per il Padiglione Belgio alla Biennale di quest'anno sono stati realizzati in Afghanistan, Belgio, Canada, Repubblica Democratica del Congo, Hong Kong, Messico e Svizzera.

Come negli altri della serie “Children’s Games”, vi compaiono dei bambini intenti a giocare nella loro città o nel loro villaggio. Con un approccio immediato alla reltà, da esploratore, Alÿs non fa altro che documentare un rituale universale: quello del gioco. E ci mostra come i momenti ludici dei bambini, a prescindenre dalle diverse culture e della situazione del luogo in cui si trovano i piccoli, siano molto simili.

Una cosa che mi interessava in termini di esperienza di artista- ha detto- era il modo in cui i giochi per bambini tendevano ad avere una qualità universale... Un buon esempio è la rayuela, o campana: ci sono un numero infinito di varianti ma la meccanica di base rimane tra le tante culture che conosco. Lasci la terra per attraversare l'inferno e raggiungere il paradiso, e poi torni sulla terra saltando sull'inferno, cioè rinasci! È un gioco di riscatto".

Alla base della serie anche la necessità di documentare i giochi all’aperto per proteggerne la memoria. Come fossero racconti orali. Molti di questi giochi, infatti, sono rimasti immutati talmente a lungo da essere gli stessi rappresentati nel dipinto del XVII secolo "Giochi di bambini" di Bruegel. Il capoalavoro è stato inoltre collegato a una poesia anonima fiamminga del 1530 (pubblicata ad Anversa da Jan van Doesborch), saldando le loro radici ancora più indietro nel tempo.

"I giochi per bambini- ha scritto la curatrice Hilde Teerlinck- tendono a scomparire. L'aumento del traffico urbano, dei social media e dei giochi digitali e la paura dei genitori di lasciare che i bambini giochino nello spazio pubblico fanno sì che la tradizione di giocare all'aperto diventi ogni giorno meno comune. Questo processo potrebbe aver subito un'accelerazione a causa delle conseguenze del COVID-19 negli ultimi anni, creando un'urgente necessità di registrarli, ora."

Ad ogni video corrisponde almeno un dipinto che sottolinea il contesto in cui cui i giochi si svolgono. La loro cornice storica. Visto che i bimbi interagiscono estraniandosi dalla realtà; costruendo una sorta di universo parallelo. I dipinti, spesso ispirati dalle immagini fotogiornalistiche, contrappongo alla violenza delle immagini rappresentate, le piccole dimensioni (rigorosamente identiche) e una tavolozza delicata. Oltre ad un alone di poesia che li pervade come un’eco lontana.

The Nature of the Game”, il Padiglione Belgio di Francis Alÿs, è curato da Hilde Teerlinck. E si potrà visitare ai Giardini per tutta la durata della Biennale di Venezia 2022 (fino al 27 novembre). Nella primavera 2023 la mostra sarà invece presentata al centro d'arte contemporanea belga WIELS.

The Nature of the Game - Francis Alÿs credits: Roberto Ruiz

Untitled, Herat, Afghanistan, 2012 Oil on canvas 13 x 18 cm Copyright Francis Alys, Courtesy Galerie Pete Kilchmann, Jan Mot and David Zwirner Gallery.

The Nature of the Game - Francis Alÿs credits: Roberto Ruiz

Children’s Game #23: Step on a Crack, Hong Kong, 2020 5’ In collaboration with Félix Blume, Julien Devaux, and Rafael Ortega Copyright Francis Alys, Courtesy Galerie Pete Kilchmann, Jan Mot and David Zwirner Gallery.

The Nature of the Game - Francis Alÿs credits: Roberto Ruiz

Untitled, Bamiyan, Afghanistan, 2010 Oil on canvas 13 x 18 cm Copyright Francis Alys, Courtesy Galerie Pete Kilchmann, Jan Mot and David Zwirner Gallery.

The Nature of the Game - Francis Alÿs credits: Roberto Ruiz

Children’s Game #10: Papalote, Balkh, Afghanistan, 2011 4’13” In collaboration with Félix Blume and Elena Pardo Copyright Francis Alys, Courtesy Galerie Pete Kilchmann, Jan Mot and David Zwirner Gallery.

The Nature of the Game - Francis Alÿs credits: Roberto Ruiz

Helidon Xhixha celebra l'acqua e la luce di Venezia, mentre una scultura di 700 chili fluttua sulla laguna

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Di origine albanese Helidon Xhixha si è specializzato in sculture in acciaio inossidabile, specchiate, molto pesanti, ma lavorate in modo da apparire lievi. Come onde o neve. E capaci di fondersi con l’ambiente circostante.

A Venezia, dove l’acqua della laguna e il cielo, a tratti, prevalgono sull’architettura, giocando con la luce in modo particolare, le solide opere di Xhixha si fanno ancora più cangianti e dinamiche. Così il progetto “Luce, la Rinascita di Venezia” curato da Michele Bonuomo e Klodian Dedja per Imago Art Gallery di Lugano e dedicato a Helidon Xhixha, è stato realizzato proprio nella Serenissima. Dove l’artista aveva già collocato una sua opera in occasione della 56a Biennale di Venezia (e non solo). Si chiamava “Iceberg” e ha fluttuato sulla laguna per tutta l’estate del 2015.

Un lavoro che pesa 700 chili e che, insieme ad altre sei sculture (“Cattedrale d’acciaio”, “Roccia Marina”, “Riflesso Lunare”, “Getto di Luce”, “Ordine e Caos”, “Satellite”), è stata installata alle Tese dell’Arsenale. E’ l’unica che si fa trasportare dolcemente dall’acqua (richiamando alla mente i cambiamenti climatici) ma come le altre riflette, moltiplica e distorce ciò che le stà intorno. Diventando un momumento al pesaggio ma oprattutto alla luce. Mobile eppure fermo, camalontico eppure immutabile.

Ho sempre cercato di plasmare le mie opere attraverso la luce – ha commentato l’artista – Ho scelto Venezia perché le mie creazioni riescono a riflettere la grande bellezza di questa città. Sono realizzate in acciaio, e nei tempi bui in cui abbiamo bisogno della luce in questo periodo di incertezza, l’arte ha sempre avuto un ruolo importante. Io vorrei raccontare, attraverso la luce riflessa nelle mie opere, la rinascita di Venezia”.

Con il patrocinio del Comune di Venezia, la collaborazione di Vela Spa e con il coordinamento organizzativo di Sinergia Srl, “Luce, la Rinascita di Venezia” si potrà visitare gratuitamente fino al 13 dicembre 2020. Helidon Xhixha, oltre al sito internet ha un account instagram che su cui pubblica le foto del suo lavoro in tempo reale.

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia

Helidon Xhixha Credits: Cinzia Lorenzon/Sinergia