Tra acqua alta e bagni di folla la Biennale di Venezia 2019 raggiunge i 600mila visitatori

La Biennale d’ Arte di Venezia 2019 si è conclusa domenica scorsa totalizzando poco meno di 600mila visitatori (593.616) spalmati sui circa sei mesi d’apertura. Rispetto all’edizione del 2017 c’è stato un leggero calo (erano 615.152) ma se la si confronta con gli anni precedenti si tratta sempre di un successo. Anche perchè il mal tempo che ha funestato la città lagunare nelle ultime settimane potrebbe aver frenato i ritardatari.

“I visitatori sono stati ancora una volta, nonostante le difficoltà delle recenti settimane, nell’ordine di 600.000- ha detto il presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta- di cui una presenza di giovani ancora in crescita. I visitatori sono diventati il partner principale della Biennale. Da essi viene un contributo decisivo per il mantenimento di condizioni di autonomia e libertà. In tali difficoltà abbiamo avvertito in misura ancor maggiore la responsabilità che ci viene dall’operare in e a favore di una città che ci ospita e ci abbellisce e alla quale vorremmo sempre rendere almeno parte di quanto ci dona.”

La Biennale di Venezia 2019, curata dallo statunitense Ralph Rugff, si intitolava May you Live in Interesting Times (Possa tu Vivere Tempi Interessanti) citando un’antica maledizione cinese di cui politici e autori occidentali si sono riempiti la bocca nel corso degli anni. Peccato che pare non sia mai esistita.

Si tratta di un finto cimelio culturale, l’ennesimo ’orientalismo’ fabbricato in Occidente-ha scritto Rugoff- Eppure, malgrado la condizione fittizia, ha avuto degli effetti retorici decisamente reali su importanti scambi politici. Questo tipo di artefatti incerti, sospetti e insieme ricchi di significato, suggerisce potenziali traiettorie esplorative che sembrano meritare un approfondimento (…) Allo stesso tempo, mi auguro che l’arte possa fornirci gli strumenti per ripensare le possibilità dei ‘tempi interessanti’ in cui stiamo vivendo, e trasformare così questa maledizione in una sfida da affrontare con entusiasmo.

Con queste premesse Rugoff ha costruito una mostra con una curvatura spettacolare, che rispetto ad altre edizioni accettava di trarre linfa anche dal Mercato, inserendo diversi artisti blue chip. Una Biennale ottimista, direi. Fluida, sia per com’era concepita, che per la scelta di far fare doppia apparizione agli artisti (ai Giardini e all’Arsenale).

Il numero di artisti coinvolti nella Biennale 2019, conseguentemente, è diminuito drasticamente rispetto a quella del 2017 (79 a 120). In compenso sono aumentate le partecipazioni nazionali (90 a 86). Anche il numero di nazioni rappresentate per la prima volta è cresciuto (nel 2017 erano 3, mentre quest’anno sono state 4; cioè: Ghana, Madagascar, Malesia e Pakistan). La percentuale di giovani che hanno visitato l’esposizione, invece, è rimasta alta, e invariata (anche se sono saliti in numero assoluto): il 31 %.

May you Live in Interesting Times ha anche avuto parecchi visitatori famosi. Tra loro: Brad Pitt, Julie Andrews, Tim Robbins, Atom Egoyan, Lucrecia Martel, Rodrigo Prieto, Shin’ya Tsukamoto, Emir Kusturica, Laurie Anderson, Chiara Ferragni, Fedez e Susanna Nicchiarelli.

Per molti artisti che hanno partecipato alla Biennale di Venezia 2019, tuttavia, non sarà un addio all’Italia fino a data da destinarsi ma un arrivederci a molto presto. E’ il caso di Tomas Saraceno che dal 22 febbraio 2020 sarà protagonista di una grande mostra a Palazzo Strozzi (Firenze).

Sun Yuan and Peng Yu, Can’t Help Myself, 2016, Mixed media. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Sun Yuan and Peng Yu, Can’t Help Myself, 2016, Mixed media. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Carol Bove, Various works, 2017-2019 (Arsenale); Stainless steel, found steel and urethane paint. Photo by Maris Mezulis

Carol Bove, Various works, 2017-2019 (Arsenale); Stainless steel, found steel and urethane paint. Photo by Maris Mezulis

Liu Wei, Microworld, 2018; Aluminium plates.Photo by: Italo Rondinella. Courtesy: La Biennale di Venezia

Liu Wei, Microworld, 2018; Aluminium plates.Photo by: Italo Rondinella. Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of LITHUANIA, Sun & Sea (Marina). Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of LITHUANIA, Sun & Sea (Marina). Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of UNITED STATES OF AMERICA, Martin Puryear: Liberty / Libertà. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of UNITED STATES OF AMERICA, Martin Puryear: Liberty / Libertà. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Angelica Mesiti, ASSEMBLY, 2019 (production still) three-channel video installation in architectural amphitheater. HD video projections, color, six-channel mono sound, 25 mins, dimensions variable. © Photography: Bonnie Elliott. Commissioned by the …

Angelica Mesiti, ASSEMBLY, 2019 (production still) three-channel video installation in architectural amphitheater. HD video projections, color, six-channel mono sound, 25 mins, dimensions variable. © Photography: Bonnie Elliott. Commissioned by the Australia Council for the Arts. Courtesy of the artist and Anna Schwartz Gallery, Australia and Galerie Allen, Paris.

Shoplifter, Sapiens Chromo. image © ugo carmeni

Shoplifter, Sapiens Chromo. image © ugo carmeni

Pavilion of PHILIPPINES, Mark Justiniani, Island Weather. Photo by: Italo Rondinella. Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of PHILIPPINES, Mark Justiniani, Island Weather. Photo by: Italo Rondinella. Courtesy: La Biennale di Venezia

Batteri, alghe e algoritmi si parlano nelle opere, che sembrano dipinti astratti, di Anicka Yi

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Coreana, Anicka Yi non si è formata come artista, la filosofia è l’obbiettivo delle sue opere e la scienza un mezzo per avvicinare l’osservatore alle domande che lei stessa si pone. Tuttavia i colori dei suoi lavori e spesso anche la loro tessitura non mancano di bellezza e una certa intensità.

“Biologizing the machine (terra incognita)”, per esempio, l’installazione che Anicka Yi ha presentato alla Biennale di Venezia 2019. “May you live in Interesting Times”, è giocata su una paletta di colori intriganti che esplodono nella monocromia dello spazio espositivo. Fa persino pensare all’Informale. E il fatto che col tempo la cromia e le forme si modifichino non fa altro che aggiungere fascino ai pannelli della Yi. Eppure si tratta soltanto di una coltura di Winogradsky (dal nome di un microbiologo russo), cioè un ecosistema di biofilm batterico e colonie di microalghe.

Non si può neppure dire che lo scopo principale dell’artista fosse quello di mostrarci un momento di raccordo tra la storia dell’arte e l’esperienza scientifica. “Biologizing the machine (terra incognita)”, infatti, fa parte di una serie di opere in cui Anicka Yi si chiede come stabilire nuovi canali di comunicazione tra l’intelligenza artificiale delle macchine e forme di vita organiche.

Una domanda difficile a cui l’artista risponde con un meccanismo altrettanto complesso: “I pannelli di Winogradsky- spiega la guida della Biennale- attivati da un particolare odore emesso dai batteri appositamente ingegnerizzati al loro interno, incorporano un sistema di IA che ne regola la crescita (…)”. Insomma, così la macchina e le microscopiche forme di vita dell’opera della Yi si parlano. Anzi, dipendono l’una dalle altre. L’odore è l’elemento scatenante e la lingua comune di questo strano dialogo. Questo spinge l’artista a chiedersi: se in futuro le macchine avranno più naso di noi, il nostro olfatto si ridurrà ulteriormente?

Le opere di Anicka Yi hanno il pregio e il difetto di condurre in un dedalo di domande che portano ad altre domande ancora. Ma viste dal vivo sono piacevoli e capaci di generare emozioni in chi le guarda a prescindere.

Le installazioni di Anicka Yi, come le altre opere esposte in May you live in Interesting Times”, si potranno osservare fino alla fine della Biennale d’Arte di Venezia 2019.

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Anicka Yi , Biologizing the Machine (terra incognita), 2019. Acrylic vitrines, stainless steel, silt, bacteria, algae, gas sensors, scent algorithm, infrared lights.Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

Gli psichedelici colori del "Rubber Pencil Devil" di Alex da Corte dove l'artista interpreta tutti i personaggi con un trucco spesso come una scultura da indossare

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Rubber Pencil Devil” dell’artista statunitense Alex da Corte, è un video-collage composto da 57 momenti esposto alla Biennale d’arte di Venezia 2019, May you Live in Interesting Times” (curata da Ralph Rugoff). Un film presentato in una sala di proiezione satura di colori e luci al neon, in cui ogni personaggio è stato rubato alla memoria collettiva occidentale e malignamente manipolato per farne qualcosa di diverso da ciò che appare. Come un alieno che ha preso le sembianze di un comune cittadino americano in un film degli anni ‘50.

C’è la statua della libertà, la Bella Addormentata, Burt Simpson, Duffy Duck, la Pantera Rosa e tanti altri. La maggior parte di loro è interpretato dall’artista stesso, che sfoggia un trucco talmente pesante da essere stato paragonato ad una scultura da indossare.

Come al solito Da Corte pota la cultura pop in territori inesplorati, tante sono le citazioni che si sovrappongono e i colori vivi accostati l’uno all’altro come campiture bidimensionali. Il suo è un libro dei ricordi statunitense che per estensione appartiene un po’ a tutti noi occidentali, ma che nelle mani dell’artista assume sfumature grottesche e vagamente inquietati. Il ritmo di ogni scena è lento, ipnotico. L’accostarsi dei fotogrammi psichedelico. Ma alla fine si sorride. Certo qualcosa non quadra: Burt fuma, la Statua della Libertà ruba un televisore da una casa di periferia ecc Il fatto è che la familiarità che abbiamo con i personaggi e le situazioni che l’artista ci ripropone, non ci permette di accorgerci che si sono svuotati. Ripetuti in continuazione, inesorabilmente al di fuori del contesto storico-sociale in cui nascono, sono come contenitori vuoti di cui conosciamo solo l’aspetto.

“Rubber Pencil Devil” viene trasmesso all’Arsenale mentre ai Giardini Alex da Corte ha presentato l’installazione “The Decorated Shed”. Entrambe le opere si potranno visitare fino alla conclusione della Biennale di Venezia 2019.

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia

Alex Da Corte , Rubber Pencil Devil, 2019; Mixed media. Photo by: Andrea Avezzù. Courtesy: La Biennale di Venezia