Biennale di Venezia 2022| Brick House di Simone Leigh, il monumentale busto in bronzo di una donna nera da Leone d’Oro

Simone Leigh, Brick House, veduta dell’installazione (con intorno i quadri di Belkis Ayòn) 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Chi entra all’Arsenale quest’anno trova ad accoglierlo una figura monumentale. Silenziosa ed enigmatica, naturale ed elegante. Apparentemente imperturbabile. Si tratta di “Brick House” dell’artista statunitense Simone Leigh, che oltre ad essersi aggiudicata il Leone d’Oro come miglior artista partecipante alla Biennale di Venezia, “Il Latte dei Sogni”, curata da Cecilia Alemani, alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, rappresenta anche il suo Paese. Con la mostra “Sovereignty” in un Padiglione Stati Uniti per l’occasione trasformato in edificio africaneggiante (che però prende di mira l’Esposizione Coloniale di Parigi del ’31), con pali di legno a rivestire le facciate e il tetto completamente ricoperto di paglia, Leigh, ha fatto centro.

Tutto però nasce da “Brick House”. Originariamente esposta alla rassegna d’arte organizzata nel parco soprelevato High Line di New York, la scultura rappresenta il monumentale busto di una donna nera, con i capelli acconciati in treccioline, fermate ad una ad una da conchiglie di ciprea (un simbolo ricorrente nella poetica di Leigh che, per modellarle, usa come stampo un’anguria). La figura non ha occhi ma guardandola si ha l’impressione che, più che non vedere gli altri, non voglia che le persone incontrino il suo sguardo, percependo i suoi pensieri.

Già a portare l’opera alta 5 metri di fronte alla 10ma Avenue ci aveva pensato Cecilia Alemani. "Sono rimasta molto colpita dal suo lavoro alla mostra Kitchen (una personale di Leigh tenutasi a Chelsea nel 2012 ndr)- ha detto Alemani al giornalista Calvin Tomkins su New Yorker- È stato sicuramente qualcosa di inaspettato rispetto a quello che stava succedendo in quel momento, e ho potuto vedere che con il giusto supporto poteva portare la sua pratica a un altro livello". Così l’artista, nata a Chicago da una famiglia benestante di pastori nazareni d’origine giamaicana, con un quarto di milione di dollari a disposizione, ha potuto creare “Brick House”.

Parte della serie “Anatomy of Architecture”, in cui corpi e riferimenti architettonici si fondono, l’opera è una scultura bronzea. Un materiale relativamente nuovo per Simone Leigh, abituata a lavorare la ceramica. Tuttavia, proprio l’uso costante ed ostinato di questa pratica, anche quando il mondo dell’Arte relegava chiunque vi si avvicinasse nel girone delle Arti Applicate senza possibilità di redenzione, l’ha aiutata a portarla a termine. Per realizzare il pieno, da cui trarre gli stampi per colare il metallo, infatti, sono servite circa due tonnellate di argilla. Poi il materiale appositamente prelevato da una cava francese (che si dice sia quella che usò Auguste Rodin) sono state montate su un'armatura e scolpite.

Se il volto dà un genere, un’etnia e una rarefatta ma intensa empatia a Brick House, la gonna, simile ad una casa d’argilla, le serve per mettere radici nella società. A definirne il pensiero. Che è cosmopolita e variegato, con riferimenti all’architettura in argilla e legno del popolo Batammaliba in Benin e Togo, alle case a obice dei Mousgoum in Ciad e Camerun e al ristorante Mammy's Cupboard, a Natchez, in Mississippi. Quest’ultimo riproduce bellamente lo stereotipo razzista della lavoratrice domestica di colore: la Mammy. Anche se a sua discolpa va detto che è stato costruito nel ’40 e recentemente ha cercato di rappezzare la situazione, ridipingendo il volto della figura che ospita il ristorante con un colore più chiaro.

Il nome del busto bronzeo di Leigh letteralmente significa: casa di mattoni. Fa riferimento a un film documentario ma è soprattutto un’espressione afroamericana: "Se chiamassi qualcuno una casa di mattoni- ha spiegato l’artista sempre a New Yorker- qualsiasi persona di colore saprebbe di cosa stavo parlando. È una donna che... esito a usare la parola 'forte', a causa degli stereotipi delle donne nere come torri di forza. Si tratta dell'idea di una donna ideale, ma molto diversa dalla donna ideale occidentale, che è fragile”.

Brick House”, collocata all’interno del percorso de “Il Latte dei Sogni”, come le figure del Padiglione Stati Uniti della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte, nasce però anche dall’esigenza delle donne di colore di trovare intorno a loro rappresentazioni di se. Ha quindi a che fare con il concetto di memoria collettiva e con il senso d’identità. L’opera di Simone Leigh accoglierà i visitatori all’Arsenale fino alla conclusione della Biennale di Venezia (fissata in generale per il 27 novembre, anche se il solo Arsenale chiuderà i battenti già il 25 settembre 2022) .

Simone Leigh, Brick House, veduta dell’installazione (con intorno i quadri di Belkis Ayòn) 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by:Ela Bialkowska OKNOstudio Courtesy: La Biennale di Venezia

Simone Leigh, Brick House, veduta dell’installazione (con intorno i quadri di Belkis Ayòn) 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Simone Leigh, Brick House, veduta dell’installazione (con intorno i quadri di Belkis Ayòn) 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by:Ela Bialkowska OKNOstudio Courtesy: La Biennale di Venezia

Sunshine State, il nuovo film intimo e sociale di Steve McQueen al Pirelli Hangar Bicocca

Steve McQueen, “Sunshine State”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Il film “Sunshine State” di Steve McQueen (Sir Steven Rodney McQueen) è il fiore all’occchiello della grande mostra che Pirelli Hangar Bicocca di Milano ha dedicato al regista inglese e che, infatti, dal recente lungometraggio prende il nome (“Steve McQueen Sunshine State”, in corso dal 31 marzo). Commissionato e prodotto dall’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022, dove doveveva originarimente essere presentato, ha avuto una gestazione di 20 anni.

L’opera, fonde memoria personale e collettiva, cucendo “The Jazz Singer” (“Il Cantante Jazz”), primo film sonoro intepretato da Al Jolson, con riprese ravvicinate del sole. Mentre una storia, raccontata al regista da suo padre, viene frammentata e ripetuta in sottofondo.

Come anticipato da Artbooms, “Steve McQueen Sunshine State” (curata da Vicente Todolí e organizzata in collaborazione con la Tate Modern di Londra), si compone di 6 film che ripercorrono la carriera dell’artista vincitore del Turner Prize e del premio Oscar, e di una scultura. Quest’ultima però, non è "Weight" (come indicato nell’articolo di febbraio) ma "Moonlit". Per un totale di 7 opere.

Moonlit”, composta da due rocce marmoree rivestite da una lamina di foglia d’argento e messe l'una accanto all'altra, è un lavoro poetico e minimale. Che evoca allo stesso tempo, scoperta, echi primoridiali, e specularità ma soprattutto immagini di un cataclisma. La scultura, riflette le scene di “Sunshine State” che le sta accanto, generando una sorta di eco sorda e metaforica.

La nascita di “Sunshine State” si protrae così avanti nel tempo rispetto all’idea che l’ha generato, perchè McQueen non riusciva ad ottenere i diritti di “The Jazz Singer”. Il vecchio film però era fondamentale per il regista, perchè oltre ad essere recitato in blackface, è una pietra miliare della storia del Cinema: il primo sonoro, quello che con i suoi incassi salverà la Warner Bros (in quel periodo sull’orlo del fallimento). Senza contare che il successo della pellicola in bianco e nero, mostra inequivocabilmente quanto stereotipi e pregiudizi sulle persone di colore fossero accettati e condivisi.

Mentre McQueen stava ancora cercando di ottenere i diritti di “The Jazz Singer”, il padre gli racconterà cosa gli era successo mentre raccoglieva arance come lavoratore stagionale in Florida (comunemente chiamata, appunto Sunshine State). Una sera di tanti anni prima, gli dice, era uscito con due uomini che conosceva appena per bere una birra. Ma uno scontro violento e razzista lo aveva costretto a trascorre la serata da solo, nascosto in un fosso. Questa storia in “Sunshine State” si ripete e si dilata, fino a quando i dialoghi non si concludono con la frase: "Pensavo che mio padre si stesse trattenendo, ma mi teneva stretto".

"Ciò che è stato interessante per me- ha detto il regista londinese- è stato il modo in cui il film, The Jazz Singer, e la storia di mio padre si sono fuse e poi c'era l'intimità di tutto questo".

Sia oggi che venerdì (5 e 6 maggio 2022) per vedere il film inedito di Steve McQueen “Sunshine State” e visitare la mostra di cui l’opera è il fulcro, sarà necessario attendere fino alle 20. (Metaspore” di Anicka Yi, invece, sarà accessibile anche in giornata). Poi però, le visite proseguiranno fino a mezzanotte. Per ascoltare il regista dal vivo al Pirelli Hangar Bicocca di Milano conversare con la studiosa Cora Gilroy-Ware, bisognerà, infine, aspettare fino a venerdì 13 maggio.

Steve McQueen, Caribs’ Leap, 2002 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Commissionato da documenta e Artangel, con il supporto di Heinz & Simone Ackermans © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Sunshine State, 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Opera commissionata per l’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 Fotogramma da The Jazz Singer. Courtesy Warner Bros. Pictures © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Caribs’ Leap, 2002 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Commissionato da documenta e Artangel, con il supporto di Heinz & Simone Ackermans © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Moonlit, 2016 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Sunshine State, 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Opera commissionata per l’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 Fotogramma da The Jazz Singer. Courtesy Warner Bros. Pictures © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, “Sunshine State”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Cold Breath, 1999 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Static, 2009 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Western Deep, 2002 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Commissionato da documenta e Artangel, con il supporto di Heinz & Simone Ackermans © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Charlotte, 2004 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, “Sunshine State”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Sunshine State, 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Opera commissionata per l’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Steve McQueen, Sunshine State, 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Opera commissionata per l’International Film Festival Rotterdam (IFFR) 2022 © Steve McQueen. Courtesy l’artista, Thomas Dane Gallery, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Biennale di Venezia 2022| "Dreams have no Titles" lo sfavillante e caleidoscopico Padiglione Francia di Zineb Sedira

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

I Sogni non hanno titolo” (“Dreams have no Titles) è un intervento caleidoscopico e sfavillante, come si addice solo ai ricordi. Quelli più belli. Un cinematico gioco di specchi che l’artista Zineb Sedira (nata in un sobborgo di Parigi da genitori di origine algerina) ha messo in scena al Padiglione Francia per la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia.

Composta da un film e un’installazione, in cui i confini tra finzione e realtà, personale e collettivo, passato e presente si fondono, l’opera francese, si è meritata una menzione speciale della giuria per le migliori partecipazioni nazionali (insieme all’Uganda). Onorificenza superata soltanto dal Leone d’Oro assegnato alla britannica Sonia Boyce (le due donne sono amiche anche e si frequentano, dato che Sedira vive in Inghilterra dai tempi dell’università).

In concreto, l’artista, ha ricostruito a Venezia il cinema della sua adolescenza: il Cinéma Jean Vigo di Gennevilliers. Non quello dove accompagnava il padre con i nastri nei capelli a vedere spaghetti-western e le grandi produzioni hollywoodiane come “Cleopatra”, ma una sala che aveva imparato ad amare perché proiettava film militanti e anti-colonialisti oltre a quelli d’autore. Sullo schermo però ‘sta volta scorre la sua pellicola. Che naturalmente prima di tutto è un film sui film. E su quelli che celebrano l’indipendenza algerina in particolare.

Nel suo film- spiegano gli organizzatori- alterna remake di scene di film appartenenti al cinema militante degli anni Sessanta e Settanta, a sequenze di making of del suo film (…) L’artista trae ispirazione da diverse pellicole emblematiche della settima arte(…) La voce fuori campo (quella dell’artista ndr.), invece, narra la storia della sua vita della sua famiglia e sulla sua comunità

Per realizzare questo film Zineb Sedira ha fatto lunghe ricerche d’archivio in Italia, Francia e Algeria. Dato che i film che le interessavano erano quelli immediatamente successivi all’Indipendenza algerina. E di solito erano co-produzioni tra questi tre paesi. Il motivo è presto detto: “L’opera dell’artista coniuga, autobiografia, finzione e documentario. NeI Sogni non hanno Titolo, questi tre registri si mescolano per mettere in risalto la solidarietà internazionale, che fa da sfondo ed è rappresentata dall’indipendenza dell’Algeria, acquisita nel 1962 (…)”.

Durante queste lunghe ricerche ha persino ritrovato una pellicola che si credeva perduta: “Le mani libere” (o “Tronco di fico”) del regista italiano Ennio Lorenzini.

Il film di Sedira culmina in un ballo, che il protagonista comincia dopo aver bevuto qualcosa al bancone di un bar. Nell’altra sala, infatti, ritroviamo lo stesso bancone, lo stesso cameriere, gli stessi attori che ballano di fronte ai nostri occhi. Ma ci sono anche i riflettori e gli oggetti di scena oltre ad altre meticolose ricostruzioni di luoghi e cose servite all’artista a mettere insieme l’opera o che hanno segnato la sua biografia (e che quindi l’hanno portata e concepirla). In sostanza, Zineb Sedira, ci sospende in una dimensione atemporale in cui passato e presente si rincorrono circolarmente. In francese questa tecnica si chiama mise en abyme (letteralmente messa nell’abisso, termine poetico e un po’ inquietante che indica una scena che è il riflesso di un riflesso e quindi si riproduce all’infinito). Ma ci regala anche la possibilità di essere parte della nascita del lavoro stesso, condividendo l’energia creativa e la gioia del suo momento culminante.

Metaforicamente, poi, ci invita a partecipare al sogno. Quello delle pellicole da cui il film trae ispirazione, quello del film, quello dell’artista o della sua comunità, poco importa. Perché mentre lo fa, Sedira, indaga con noi sul concetto di memoria collettiva e mette in discussione quello di autenticità.

“I Sogni non hanno titolo” (“Dreams have no Titles”) è curato da: Yasmina Reggad, Sam Bardaouil e Till Fellrath. L'opera di Zineb Sedira occcuperà il Padiglione Francia per tutta la durata della 59esima Esposizione Internazionale d'Arte Biennale di Venezia.

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Les rêves n'ont pas de titre © Thierry Bal et © Zineb Sedira

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia