Schiumose trini di porcellana avvolgono sempre più le figure scolpite da Claudia Fontes

Foreignres. All images © Claudia Fontes

Foreignres. All images © Claudia Fontes

Nel procedere con la sua serie di sculture in porcellana, “Foreigners” (di cui ho già parlato), Claudia Fontes, fa virare verso l’astrazione le sue bianche figurine. Che, sempre più avvolte da una massa porosa simile a grandi coralli o schiuma, sembrano sul punto di svanire.

Artista di origine Argentina, Claudia Fontes, è molto conosciuta per il monumentale intervento “The Horse Problem” realizzato nel Padiglione Argentina della Biennale di Venezia 2017. La scultura è il suo medium preferito anche se non l’unico.

Vive a Londra, città capace di alimentare la sua riflessione sulla diversità e con i suoi parchi di non farle dimenticre le immagini della natura, che poi confluiscono nel suo lavoro. La serie di piccole sculture in porcellana “Foreigners” è un’esempio della capacità di Fontese di mixare queste osservazioni con riflessioni più ampie ed esperienze personali.

A colpire di “Foreigners” (Forestieri) è la delicata fragilità, la capacità della forma di scomporsi fin quasi all’astrazione per poi permetterci di sbirciare frammenti di racconto. Il bianco e le porose trine che compongono le parti non figurali evocano candore, pulizia, purezza. Danno, insomma, un commento emotivo alla scena.

Ma di cosa parlano? Come dice il nome (forestieri), della metamorfosi del senso d’identità di chi è straniero in Inghilterra. Che, da una parte è estraneo in quella terra e dall’altra si fonde con essa.

"Queste statuette-spiega Claudia Fontes sul suo sito web- raffigurano processi di metamorfosi e ibridazione tra le creature con cui condivido questo particolare sistema bio-politico: alberi, piante, rocce e funghi."Straniero" e "Foresta" condividono la stessa radice, "foris", che significa fuori, fuori casa, città, campagna e fuori dalla nostra comprensione del mondo come esseri umani."

L’artista ha scelto apposta il delicato materiale di pregio, per contrapporlo alle sfumature negative che spesso si associano al termine ”stranieri”. Le dimensioni delle statue poi (ognuna di loro non è più grande del palmo di una mano), sono state scelte per evocare la grandezza delle figure neolitiche che, secondo una teoria, servivano a creare il concetto di “persona” dal momento che si potevno reggere e maneggiare come giocattoli.

Il fatto che adesso la metamorfosi che questi personaggi stanno subendo sia più marcata, che i loro corpi siano questi indistinguibili si può leggere anche come un modo di proteggerli, di creare loro uno spazio privato. Una casa insomma, proprio nella terra che li etichettava come forestieri. Come se man mano che passa il tempo diventassero sempre più parte di essa.

Claudia Fontes, attualmente stà sperimentando l’uso di due sfumature di colore per evocare con maggior forza la roccia sedimentata. Alcune sue sculture della seria “Foreigners” in aprile faranno parte della mostra Simbìologìas, al Centro Cultural Kirchner di Buenos Aires. L’account Instagram di Claudia Fontes permette di vedere molte altre immagini di opere dell’artista di origini argentine. (via Colossal)

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#uffizidamangiare: Tutte le settimane un'opera delle Gallerie degli Uffizi ispira la ricetta di un cuoco famoso

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Le Gallerie degli Uffizi di Firenze hanno recentemente lanciato una capagna social molto interessante che unisce le pubblicità alle opere d’arte al marketing gastronomico e territoriale. Si intitola #uffizidamangiare (#uffizitoeat) e abbina pittura e cucina in una serie di viedeo che vengono pubblicati ogni domenica sulla pagina facebook del museo.

I brevi filmati mostrano un quadro conservato nelle Gallerie fiorentine e un cuoco conosciuto che, prendendo ispirazione dal soggetto rappresentato nell’opera, propone al pubblico un ricetta italiana. Più spesso toscana, ovviamente. Ma i video possono anche stupire, come è successo nel primo video in cui lo chef Fabio Picchi (Ristorante Cibrèo di Firenze) di fronte al dipinto della settimana “Ragazzo con cesto di pesce” di Giacomo Cerruti (pittore lombado del ‘700, detto il “Pitocchetto” per l’abitudine di ritrarre persone umili, cioè “pitocchi”), ha spiegato che il ragazzino non ha con se un aragosta ma una granceola. Che Picchi descrive così: “ La granceola è un crostaceo rosso bruno, un tipo di granchio che vive nei mari italiani, isole comprese. (...) Ma come si mangia la granceola? (...) Tutti i pesci, così come la spigola raffigurata nel dipinto, non vogliono troppi condimenti e vanno accompagnati in modo semplice. allora ci vuole solo una buona maionese fatta in casa! "

Nel secondo video della serie #uffizidamangiare (#uffizitoeat), invece, il macellaio Dario Cecchini di fronte a “Dispensa con botte, selvaggina, carni e vasellami” (1624) di jacopo Chimenti detto l’Empoli, cerca di rispondere alla domanda “Cosa si mangiava a Firenze nel ‘600?”. Secondo Cecchini la carne e propone la ricetta originale della fiorentina.

Per il terzo appuntamento, invece, la chef stellata Valeria Piccini (Ristorante Caino di Montemerano) propone un’elaborata ricetta di sevaggina ispirandosi a una natura morta di Jacopo Chimenti detto l'Empoli (1551–1640).

Domenica prossima (14 febbraio 2021) Marco Stabile, altro chef stellato (L’ora d’Aria a Firenze), prenderà, invece, spunto da ‘Peperoni e uva’ di Giorgio De Chirico.

#uffizidamangiare (#uffizitoeat) è una campagn social semplice ma efficace, che insieme a ricordare al pubblico le spledide opere conservate nelle Gallerie degli Uffizi di Firenze, gli fa sognare il terrotorio toscano, i vini e le delizie gastronomiche. Insomma una vacanza da prendersi appena un raggio di luce aprirà uno spiraglio in mezzo all’oscurità dell’epidemia. Tuttavia il progetto ha dei punti deboli. Per adesso non ha sottotitoli in lingue straniere, ma soprattutto la maggior parte dei prodotti tipici del territorio presentati, offendono la sensibilità di vegetariani e vegani. Che sono quasi il 7 per cento della sola popolazione italiana.

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Shepard Fairey realizza un murale di 700 metri quadri nel cuore di Milwaukee

Shepard Fairey, Voting Rights are Human Rights. Photo by Niki Johnson

Shepard Fairey, Voting Rights are Human Rights. Photo by Niki Johnson

Lo street-artist, attivista e grafico statunitense, Shepard Fairey (ne avevo già parlato qui), conosciuto anche come Obey Giant o, per comodità, semplicemente Obey, ha recentemente realizzato un enorme murale a Milwaukee (Wisconsin).

Si intitola “Voting Rights are Human Rights” e affronta il tema del diritto di voto con il consueto stile di Shepard Fairey, che usa elementi compositivi rubati alla decorazione e al fumetto ma soprattutto alla grafica, alle vecchie pubblicità e ai manifesti di propaganda elettorale d’epoca. Il mix è sempre raffinato e seducente per tutti (per quanto Fairey, da Democratico convinto, fa battaglie per i diritti civili, ma legate con forza alle sue convinzioni politiche che le rendono spesso di parte).

A Milwaukee il suo lavoro è stato affiancato da un gruppo di artisti della zona (tra cui Tyanna Buie, Niki Johnson, Tom Jones, Claudio Martinez e Dyani White Hawk ). che hanno completato l’opera con la loro creatività. Rendendo il grande murale (oltre 687 metri quadri di superficie dipinta) ancora più ammaliante e assertivo.

Qualcuno potrebbe comunque chiedersi: perchè fare un murale sul diritto di voto negli Stati Uniti, quando è garantito ad ogni cittadino americano da tanti anni? II problema nacque nel 2013 (in piena presidenza Obama) quando la Corte Suprema dichiarò incostituzionale la quinta sezione del Voting Right Act del '68., in cui c’erano norme che semplificavano l’accesso al voto degli afroamericani negli Stati più restii a permettergli di arrivare ai seggi. Delle norme, come l’assistenza per gli analfabeti in inglese, (è necessario saper leggere e parlare la lingua correttamente per votare) sembrano oggi superate, ma secondo alcuni la mancanza della quinta sezione comprometterebbe, o rischierebbe di compromettere, l’accesso al voto di molte persone e in particolare quello degli afroamericani..

Shepard Fairey è tra loro. E a questo tema voleva addirittura dedicare un tour, nel corso del quale avrebbe realizzato un diverso murale in alcune città degli Stati Uniti. Ma in periodo di coronavirus lo sponsor non se l’è sentita e lo street-art tour è saltato. Tuttavia Fairey teneva talmente al progetto che almeno il lavoro di Milwaukee l’ha voluto fare. Pagando di tasca propria tutti gli assitenti e gli artisti della zona che hanno contribuito alla realizzazione del mastoditico “Voting Rights are Human Rights” .

Al centro dell’opera un giovane uomo di colore che cammina, guardando di fronte a se con un’ espressione, ad un tempo, seria e sincera. Il protagonista, Fairey l’ha rubato a un’immagine scattata durante una marcia per i diritti civili della metà degli anni ‘60, dal famoso fotografo Steve Schapiro.

Prima che “Voting Rights are Human Rights” si materializzasse su un muro di Milwaukee, Shepard Fairey aveva già usato quell’immagine (d’accordo con l’autore) su una serie di manifesti , riscuotendo molto successo. D’altra parte i manifesti di Obey sono molto amati e collezionati. Si possono vedere e comprare sul suo sito internet , ma per non scontrarsi con la dogana, se si fa sul serio, meglio rivolgersi a una galleria specializzata sul lavoro dell’artista statunitense, come la Strip Art Gallery (sede a Monza, lavoro online).

Shepard Fairey, Voting Rights are Human Rights. Photo by Jon Furlong

Shepard Fairey, Voting Rights are Human Rights. Photo by Jon Furlong

Shepard Fairey, Voting Rights are Human Rights. Photo by Jon Furlong

Shepard Fairey, Voting Rights are Human Rights. Photo by Jon Furlong