Biennale di Venezia 2022| "Dreams have no Titles" lo sfavillante e caleidoscopico Padiglione Francia di Zineb Sedira

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

I Sogni non hanno titolo” (“Dreams have no Titles) è un intervento caleidoscopico e sfavillante, come si addice solo ai ricordi. Quelli più belli. Un cinematico gioco di specchi che l’artista Zineb Sedira (nata in un sobborgo di Parigi da genitori di origine algerina) ha messo in scena al Padiglione Francia per la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia.

Composta da un film e un’installazione, in cui i confini tra finzione e realtà, personale e collettivo, passato e presente si fondono, l’opera francese, si è meritata una menzione speciale della giuria per le migliori partecipazioni nazionali (insieme all’Uganda). Onorificenza superata soltanto dal Leone d’Oro assegnato alla britannica Sonia Boyce (le due donne sono amiche anche e si frequentano, dato che Sedira vive in Inghilterra dai tempi dell’università).

In concreto, l’artista, ha ricostruito a Venezia il cinema della sua adolescenza: il Cinéma Jean Vigo di Gennevilliers. Non quello dove accompagnava il padre con i nastri nei capelli a vedere spaghetti-western e le grandi produzioni hollywoodiane come “Cleopatra”, ma una sala che aveva imparato ad amare perché proiettava film militanti e anti-colonialisti oltre a quelli d’autore. Sullo schermo però ‘sta volta scorre la sua pellicola. Che naturalmente prima di tutto è un film sui film. E su quelli che celebrano l’indipendenza algerina in particolare.

Nel suo film- spiegano gli organizzatori- alterna remake di scene di film appartenenti al cinema militante degli anni Sessanta e Settanta, a sequenze di making of del suo film (…) L’artista trae ispirazione da diverse pellicole emblematiche della settima arte(…) La voce fuori campo (quella dell’artista ndr.), invece, narra la storia della sua vita della sua famiglia e sulla sua comunità

Per realizzare questo film Zineb Sedira ha fatto lunghe ricerche d’archivio in Italia, Francia e Algeria. Dato che i film che le interessavano erano quelli immediatamente successivi all’Indipendenza algerina. E di solito erano co-produzioni tra questi tre paesi. Il motivo è presto detto: “L’opera dell’artista coniuga, autobiografia, finzione e documentario. NeI Sogni non hanno Titolo, questi tre registri si mescolano per mettere in risalto la solidarietà internazionale, che fa da sfondo ed è rappresentata dall’indipendenza dell’Algeria, acquisita nel 1962 (…)”.

Durante queste lunghe ricerche ha persino ritrovato una pellicola che si credeva perduta: “Le mani libere” (o “Tronco di fico”) del regista italiano Ennio Lorenzini.

Il film di Sedira culmina in un ballo, che il protagonista comincia dopo aver bevuto qualcosa al bancone di un bar. Nell’altra sala, infatti, ritroviamo lo stesso bancone, lo stesso cameriere, gli stessi attori che ballano di fronte ai nostri occhi. Ma ci sono anche i riflettori e gli oggetti di scena oltre ad altre meticolose ricostruzioni di luoghi e cose servite all’artista a mettere insieme l’opera o che hanno segnato la sua biografia (e che quindi l’hanno portata e concepirla). In sostanza, Zineb Sedira, ci sospende in una dimensione atemporale in cui passato e presente si rincorrono circolarmente. In francese questa tecnica si chiama mise en abyme (letteralmente messa nell’abisso, termine poetico e un po’ inquietante che indica una scena che è il riflesso di un riflesso e quindi si riproduce all’infinito). Ma ci regala anche la possibilità di essere parte della nascita del lavoro stesso, condividendo l’energia creativa e la gioia del suo momento culminante.

Metaforicamente, poi, ci invita a partecipare al sogno. Quello delle pellicole da cui il film trae ispirazione, quello del film, quello dell’artista o della sua comunità, poco importa. Perché mentre lo fa, Sedira, indaga con noi sul concetto di memoria collettiva e mette in discussione quello di autenticità.

“I Sogni non hanno titolo” (“Dreams have no Titles”) è curato da: Yasmina Reggad, Sam Bardaouil e Till Fellrath. L'opera di Zineb Sedira occcuperà il Padiglione Francia per tutta la durata della 59esima Esposizione Internazionale d'Arte Biennale di Venezia.

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Les rêves n'ont pas de titre © Thierry Bal et © Zineb Sedira

Pavilion of FRANCE, Les rêves n’ont pas de titre / Dreams have no titles. 59th International Art Exhibition - La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by:Marco Cappelletti Courtesy La Biennale di Venezia

Biennale di Venezia 2022| "The Concert" di Latifa Echakhch, porta l'eco dell'Arte fra i fuochi rituali del Padiglione Svizzera

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Scenografico, ma di un simbolismo stringente, dove nulla è lasciato al caso. “The Concert”, Il Padiglione Svizzera di Latifa Echakhch per la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia è affasciante e sintetico. Davvero ben riuscito. Non a caso l’artista franco-marocchina residente a Vevey (sul Lago di Ginevra nel Cantone di Vaud), è rappresentata da alcune tra le gallerie più influenti del mondo.

Il visitatore accede al padiglione dal cortile interno: la luce del giorno pervade l’ambiente, calpesta tizzoni ormai spenti ridotti in briciole, vede installazioni di legno intrecciato che intuisce essere state rese informi dal fuoco. Per poi entrare nelle sale, dove la notte cala poco a poco. Con lei tornano gli incendi. Man mano che procede però, le sculture riprendono le loro sembianze: antropomofe e monumentali. Sempre più ricche, mentre le fiamme si spengono e i riverberi del tramonto le lambiscono.

Concepita per essere visitata ascoltando una colonna sonora (da scaricare gratuitamente all’ingresso attraverso un codice a barre), “The Concert” è un viaggio a ritroso attraverso una notte di fuochi rituali. Quelli che in vari paesi e culture scandiscono i cambi di stagione e propiziano il futuro.

Tra loro “il rogo di pupazzi di paglia nella notte di San Giovanni-spiegano gli organizzatori- che dovrebbe proteggere contro i demoni e le malattie nel periodo del solstizio alla fine di giugno, o, in Svizzera, il «Böögg», dato alle fiamme sul Sechseläutenplatz per scacciare l’inverno.” Ma nella stessa notte di capodanno era antica usanza bruciare oggetti per avere un nuovo anno prospero e felice.

Questi riti, catartici e carichi di speranza, sono radicati nel folklore perchè simboleggiano l’esistenza di una fine e quella di un nuovo inizio oltre a sottolineare la ciclicità del tempo. Echakhch li paragona a un grande concerto e attraverso di loro cerca nella Biennale la stessa eco interiore. Una profonda e duratura rinascita ma anche il cristallizzarsi del potere dell’Arte nell’animo di ognuno.

"Vogliamo che il pubblico- ha detto l'artista- lasci l’esposizione con la stessa sensazione di quando si esce da un concerto. Che senta l’eco di questo ritmo, di quei frammenti di memoria. Ogni volta, la Biennale offre un profluvio di eccellenza artistica. Un’onda che culmina in una magnificenza catartica per poi rifluire, lasciando un paesaggio deserto di edifici abbandonati".

Si chiede, insomma, se l’arte, può, come la musica, iniziare a esistere anche quando il silenzio e un senso di vuoto prendono il sopravvento.

The Concert” procede a ritroso sia per esigenze narrative (ci svela i contenuti della storia poco a poco), che per chiudere il cerchio della visita con la parte più positiva del racconto (quella della fervente attesa; una sorta di cortesia verso chi entra). Ma soprattutto per dialogare con l’architettura del padiglione progettato da Bruno Giacometti nel 1951.

L’artista ha creato l’installazione con materiali riciclati da precedenti edizioni de la Biennale. Sempre nell’ottica dell’intervento, legato ai concetti di trasfomazione e permanenza.

Latifa Echakhch ha concepito “The Concert” in collaborazione con il percussionista e compositore svizzero Alexandre Babel e il curatore italiano Francesco Stocchi. L’esposizione sarà accompagnata da un vinile e da un libro "che riflettono le discussioni che hanno guidato il progetto". Il Padiglione Svizzera si potrà visitare per tutta la durata della Biennale d’Arte di Venezia 2022 (fino al 27 novembre).

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Annik Wetter

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Annik Wetter

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Annik Wetter

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Samuele Cherubini

Installation view of The Concert by Latifa Echakhch, Swiss Pavilion at the 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, 2022. Courtesy the artist. Photo: Annik Wetter

A Venezia "An Archaeology of Silence" di Kehinde Wiley reinterpreta in chiave black gli antichi dipinti di eroi caduti

Kehinde Wiley ritratto di giovane venzia

“Femme Piquée Par Un Serpent (Mamadou Gueye),” or “Woman Stung By A Snake (Mamadou Gueye),” (2022), oil on canvas, 131 7/8 x 300 inches .All Images © Ugo Carmeni

Dopo un excursus nelle sublimi brume del Romanticismo e nella sua mistica laica alla National Gallery di Londra, l’artista statunitense Kehinde Wiley (conosciuto a livello globale per essere stato il primo artista afro-americano chiamato a ritrarre un presidente a fine mandato), ritorna sul terreno della ritrattistica pre-romantica. Con una serie di opere che traggono ispirazione da “Corpo di Cristo morto nella tomba” di Hans Holbein il Giovane (1521) e, in generale, dai dipinti di antichi maestri con al centro l’immagine di un eroe caduto. Naturalmente Wiley attualizza le composizioni del passato e sostituisce i protagonisti con uomini e donne di colore.

La nuova serie, che amplia il corpus di opere DOWN del 2008, è stata realizzata per l’importante mostra "Kehinde Wiley: An Archaeology of Silence", in corso alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia ed inclusa tra gli eventi collaterali autorizzati alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale "Il latte dei sogni". A curarla è Christophe Leribault (Presidente del Musée d’Orsay e del Musée de l’Orangerie di Parigi) mentre l’organizzazione la firma il Musée d’Orsay.

Wiley in queste opere (sia grandi dipinti che sculture in bronzo) restituisce dignità fino a proiettare nel mito le immagini di giovani uomini e donne sconosciuti. Le loro pose vulnerabili sono l’emblema di una resa inevitabile, dolorosissima, ma carica d’onore. In questo modo l’artista newyorkese celebra ancora una volta la forza e la resilienza della gente di colore. Oltre a puntare di nuovo l’obbiettivo sul razzismo, la violenza e i preconcetti di cui sono vittima in maniera sistematica e da parte di un sistema intero.

Questa- ha detto- è l’archeologia che sto portando alla luce: lo spettro della violenza della polizia e del controllo dello stato sui corpi di giovani neri in tutto il mondo”.

Lo sfondo dei dipinti sono i soliti motivi floreali che fanno da contrappunto alla semplicità dello streetwear contemporaneo. Le pose abbandonate, poi, permettono all’artista di imporre ai corpi torsioni sensuali, capaci di coprire la tela imprigionando lo sguardo dell’osservatore. Nei bronzi, invece, dove la policromia potrebbe scoraggiare l’attenzione, Wiley usa un vocabolario di particolari che ringiovaniscono il mezzo espressivo e risvegliano la voglia di guardare.

"Kehinde Wiley: An Archaeology of Silence rimarrà alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia fino al 24 luglio 2022 soltanto (anzichè per tutta la durata della Biennale d’Arte “Il latte dei sogni”). L’artista condivide inoltre la sua opera su instagram che permette di farsi per sommi capi un’idea dei vari momenti del suo lavoro.

Kehinde Wiley an archaeology of silence

Front: “The Virgin Martyr Cecilia” (2022), bronze, 251 × 152 3/4 × 70 1/8 inches. Back: “Young Tarentine II (Ndeye Fatou Mbaye)” (2022), oil on canvas, 131 7/8 × 300 inches. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo umo venezia

“Dying Gaul (Roman 1st Century)” (2022), bronze, 21 1/8 × 18 7/8 × 47 inches. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo uomo venezia

Detail of “Dying Gaul (Roman 1st Century)” (2022), bronze, 21 1/8 × 18 7/8 × 47 inches. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley dipinto uomo venezia

“The Wounded Achilles (Fillipo Albacini)” (2022), oil on canvas, 70 1/8 × 107 7/8 inches. All images © Templon, Paris –Brussels. Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo donna venzia

Image © Ugo Carmeni

Kehinde Wiley bronzo donna venezia

Image © Ugo Carmeni