Le golose cermiche di Mechelle Bounpraseuth che raccontano la vita passando per gli scaffali del supermercato

Tutte le immagini © Mechelle Bounpraseuth

Tutte le immagini © Mechelle Bounpraseuth

Mechelle Bounpraseuth tratteggia un autoritratto intimo e personale attraverso gli oggetti della quotidianità. Bottiglie di ketchup, barattoni di caffè liofilizzato riutilizzati, patatine fritte, lattine vuote, lacca per capelli, sono improbabili totem evocativi, che dagli scaffali della grande distribuzione, passando per la routine famigliare, si insinuano nella memoria. E che l’artista australiana riproduce in sculture di ceramica lucide e colorate.

Figlia di rifugiati laotiani, Mechelle Bounpraseuth è cresciuta in un sobborgo di Sydney. Nella sua formazione hanno pesato la conversione della famiglia ai Testimoni di Geova e lo squallore del quartiere. Ma se il contesto in cui era avvolta la casa della sua infanzia lascia un ricordo agrodolce nella giovane artista (spesso evocato con una punta di nostalgia nelle sue opere), la religione invece, diventa fonte di frustrazione e alienazione. Ma Mechelle alla fine trova la sua strada: studia ceramica, si sposa, ha una figlia.

Nelle sue sculture ritornano i ricordi d’infanzia. La gioia della cena in famiglia, evocata dai barattoli di salse e spezie, le mattinate passate con la madre in piscina in cerca di lattine vuote da rivendere e, in seguito, di nuovo un corso di cucina a cui entrambe si erano iscritte, che è diventato occasione per passare del tempo insieme divertendosi.

Ho fatto un breve corso di Cottura al Forno- ha detto in un intervista a liminalmag- presso la East Sydney Tech, che ora è la National Art School, è stato abbastanza divertente. Dato che la mamma si preoccupava molto e pensava che non sarei stata al sicuro sul treno di notte, si è iscritta anche lei al corso. Ci siamo divertite così tanto insieme e abbiamo imparato tante nuove abilità come le tecniche di decorazione di una torta. Ho ancora gli strumenti del mio kit da chef (…), ma ora li utilizzo quando lavoro la ceramica”.

Ne vengono fuori delle sculture imperfette nella forma, ma coloratissime, e lucenti come pietre preziose. Quasi che gli oggetti d’uso comune, nel passaggio dal supermercato alla memoria della quotidianità, si facessero meno anonimi, più personali. Persino più simpatici.

Le sculture in ceramica di Mechelle Bounpraseuth sono per l’artista anche un mezzo per esplorare la sua identità come persona e come figlia di immigrati. Per chi le osserva, invece, sono un linguaggio universale capace di narrare storie diverse che l’autrice, però, ha venato di tenerezza ed ironia.

Mechelle Bounpraseuth pubblica le sue ceramiche sull’account Instagram. Mentre i ricordi che si celano dietro ogni opera sono raccontati sul suo sito internet (via it’s nice that)

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I Capibara di peluche in uno zoo giapponese aiutano a mantenere la distanza di sicurezza

image via izu shaboten zoo

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Lo zoo Izu Shabonten di Shizuoka (nella parte centro-meridinale del Giappone), per indurre i clienti del suo ristrante a mantenere il distanziamento sociale, non ha tolto tavoli. Ma ha messo dei capibara di pelusche nei posti che avrebbero dovuto rimenere vuoti..

i simpatici giocattoli in questo modo spingono i clienti a mantere le distanze di scurezza e contemporaneamente fanno loro compagnia. L’idea, oltre ad essere commercialmente intelligente (diversi tipi di peluche che ritraggono gli animali dello zoo sono in vendita al negozio di souvenir), dimostra rispetto nei confronti degli ospiti (che non devono cercare da soli la distanza giusta dagli altri commensali) e li mette in un stato d’animo positivo anzichè ricordargli la pandemia.

Nella sala ci sono anche giraffe, panda rossi e procioni, ma i capibara sono decisamente i più numerosi. I grandi roditori originari del Sud America sono, infatti, degli animali simbolo per lo zoo Izu Shabonten che, oltre a dare la possibilità di ammirarli, offre una vasta serie di attività imperniate su di loro.

I capibara, originari di zone del pianeta dal clima temperato passano la gran parte del loro tempo in acqua, ma si sono adattati a vivere nello zoo giapponese da decenni ormai. Tuttavia all’inzio, durante l’inverno, a questi pacifici animaletti mancava qualcosa. A scoprire come risolvere il problema fu un guardiano dello zoo, che, nel 1982, dopo aver pulito il loro recinto, vide i capibara correre felici verso una pozza d’acqua tiepida che si era formata per terra.

Da allora i capibara durante la stagione fredda hanno una piscina termale in cui immergersi.

Lo zoo Izu Shabonten, durante la pandemia di COVID 19, è stato chiuso per un periodo relativammente breve se rapportato al lunghissimo lockdown italiano, ma dal 16 maggio ha riaperto. Per garantire la salute del pubblico mette a disposizione gel disinfettante, obbliga all’uso della mascherina e mette i capibara di peluche per il distanziamento nel ristorante. Ha anche fatto dei cartelli che indicano in modo chiaro la distanza di sicurezza che va mantenuta dagli altri visitatori. E’ misurata in…capibara. (via Spoon and Tamago)

images via twitter user @chacha0rca

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image via colossal

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Il manuale giapponese contro la pandemia di Spagnola con consigli validi ancora oggi

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Tra il 1918 e il 1921 l’influenza spagnola uccise 50 milioni di persone nel mondo (stando alle sole stime ufficiali) e ne infettò oltre 500 milioni. In Giappone arrivò nella primavera del 1918 insieme a un gruppo di lottatori di sumo che erano stati in tournée a Taiwan. Il dipartimento di salute pubblica del governo giapponese dell’epoca, creò un manuale per spiegare alle persone come proteggersi dal virus. I consigli che dava sono più o meno gli stessi che oggi vengono ripetuti contro la diffusione del COVID 19.

Anzi sono di più. Naturalmente il manuale raccommandava di mantenere la distanza di sicurezza e usare le mascherine (l’abitudine tutta orientale di coprire le vie respiratorie durante la stagione fredda è nata allora). Spiegava che era opportuno separare una persona infetta dagli altri membri della famiglia. Ma consigliva anche i raggi del sole come disinfettante naturale. E raccomandava a tutti di fare sempre i gargarismi appena tornati a casa.

E poi naturalmente di vaccinarsi. Infatti, anche se un vero e proprio vaccino per la Spagnola durante l'epidemia non ci fosse, si poteva fare quello contro la polmonite che era una delle principali complicazioni dell’infezione.

Al principio l’influenza spagnola in Giappone venne sottovalutata. Il paese era alle prese con il colera e si pensò che non fosse il caso di preoccuparsi per una malattia con un basso tasso di mortalità. Senza considerare che la Spagnola era molto contagiosa. Così la seconda ondata del vitus colpì duramente l’arcipelago del sol levante.

Il manuale giapponese creato per proteggere la popolazione dal contagio da Spagnola è stato recentemente ristampato da Heibonsha. (via Open Culture)

Questo manifesto mostra i rischi a cui si espogono le persone care quando non si usa la mascherina in casa

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Questo manifesto  raccomanda l’uso della mascherina quando si è fuori casa per proteggersi e proteggere.

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Questo manifesto raccomanda di vaccinarsi

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Qui si ricorda di fare sempre i  gargarismi appena rietrati

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esporre gli oggetti al sole per disinfettarli e vaccinarsi

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