"Fireflies on the Water" una delle Infinity Mirror Room più iconiche di Yayoi Kusama verrà esposta a Bergamo

Yayoi Kusama, Fireflies on the Water, 2002. Mirrors, plexiglass, lights, and water, 111 × 144 1/2 × 144 1/2 in. (281.9 × 367 × 367 cm). Whitney Museum of American Art, New York; purchase with funds from the Postwar Committee and the Contemporary Painting and Sculpture Committee and partial gift of Betsy Wittenborn Miller 2003.322. © Yayoi Kusama. Photograph by Sheldan C. Collins

Amatissima, Yayoi Kusama, fa parte di quel ristretto numero di artisti capaci di pentrare nell’immaginario collettivo globale. E mentre le vetrine Louis Vuitton ancora celebrano la sua opera (oltre alla collezione che ha creato in collaborazione con la maison francese), il Palazzo della Ragione di Bergamo ha annunciato che il prossimo 17 novembre inaugurerà "Yayoi Kusama. Infinito Presente". Una personale dedicata all’artista originaria di Matsumoto, che tra le altre cose esporrà "Fireflies on the Water". Una delle “Infinity Mirror Room” più iconiche di Kusama. Normalmente conservata al Whitney Museum of American Art di New York ed esposta in Italia per la prima volta.

Con un’iconografia molto nota e riconoscibile (le zucche, i puntini, le sfere riflettenti, gli specchi), Yayoi Kusama è una delle donne dalle opere più care al mondo ed è al dodicesimo posto nella classifica mondiale degli artisti più venduti all'asta (dati 2022). Un posto che si è guadagnata in oltre settant’anni di carriera e con un’incrollabile dedizione al lavoro, nonostante i problemi di salute mentale che l’hanno accompagnata per tutta la vita (fin da bambina, Kusama, ha sofferto di allucinazioni). Ma che le ha anche portato qualche difficoltà. Recentemente, ad esempio, sono stati messi in circolazione e venduti dei falsi NFT a suo nome.

Tra le serie di opere più apprezzate di Yayoi Kusama c’è di sicuro quella delle “Infinity Mirror Rooms”. Antenate delle installazioni immersive, Kusama cominciò a realizzarle nel ‘63, permettendo allo spettatore di sperimentare l’essenza psichedelica della sua arte. Spazi raccolti resi immensi da un rivestimento di specchi, poetici o provocatori, spesso punteggiati di luci, mettono chi le osserva di fronte a una serie di domande sulla percezione e il senso d’identità. E’ il caso di "Fireflies on the Water", in cui, come dice il titolo, l’ambiente viene completato da uno specchio d’acqua.

I visitatori accedono all’opera attraverso una passerella, intorno alla quale c’è il laghetto che riflette l’oscurità e i 150 punti luce, resi infiniti dagli specchi che rivestono le pareti e il soffitto della stanza. Viene da se che le persone procedano destabilizzate, prive di punti di riferimento spaziali e timorose di finire in acqua. Uno stato d’animo utile all’artista, che mette così il pubblico nella condizione di dubitare dei propri sensi, di interrogarsi su se stesso e intraprendere un percorso onirico all’interno dell’opera. "Fireflies on the Water", inoltre, fa riferimento anche al paesaggio giapponese e al mito di Narciso.

L’opera, come quasi sempre capita con il lavoro di Kusama, è densa di riferimenti autobiografici.

"Yayoi Kusama. Infinito Presente", non sarà un’esposizione completa come la retrospettiva organizzata dal Hirshhorn Museum di Washington e giocata sulle stanze specchianti (nella quale sono state mostrate ben sei “Infinity Mirror Room” di Kusama), ma è la prima personale dell’artista giapponese che si tine in Italia da diversi anni a questa parte. E solo per questo è un appuntamento importante.

È una mostra ambiziosa e speciale – ha detto il curatore Stefano Raimondi, fondatore e direttore del network per l’arte contemporanea di Bergamo, The Blank Contemporary Art - resa possibile da un progetto articolato, che ha richiesto due anni di lavoro, e dai rapporti internazionali con il Whitney Museum of American Art, senza dubbio uno dei più importanti musei al mondo”.

"Yayoi Kusama. Infinito Presente” sarà parte delle manifestazioni previste per "Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023". E si terrà al Palazzo della Ragione di Bergamo dal prossimo 17 novembre fino al 14 gennaio 2024.

© Yayoi Kusama, Fireflies on the Water, 2002. Mirrors, plexiglass, lights, and water, 111 × 144 1/2 × 144 1/2 in. (281.9 × 367 × 367 cm). Whitney Museum of American Art, New York; purchase with funds from the Postwar Committee and the Contemporary Painting and Sculpture Committee and partial gift of Betsy Wittenborn Miller 2003.322. © Yayoi Kusama. Photograph by Jason Schmidt.  

Yayoi Kusama, Fireflies on the Water, 2002. Mirrors, plexiglass, lights, and water, 111 × 144 1/2 × 144 1/2 in. (281.9 × 367 × 367 cm). Whitney Museum of American Art, New York; purchase with funds from the Postwar Committee and the Contemporary Painting and Sculpture Committee and partial gift of Betsy Wittenborn Miller 2003.322. © Yayoi Kusama. Photograph by Sheldan C. Collins

Yayoi Kusama, Portrait; ©YAYOI KUSAMA

La silenziosa foresta di Toshihiko Shibuya, intessuta con muschio e migliaia di puntine da disegno

Toshihiko Shibuya, Black Dragon. All images Courtesy Toshihiko Shibuya

Parte del ciclo scultoreo “Generation”, la nuova serie di opere "Generation - Origin /Occurrence " di Toshihiko Sibuya, celebra la poesia di una foresta avvolta dal silenzio invernale e la bellezza mutevole della natura. Lo fa accostando l’uno all’altro lavori strettamente minimali, seppur ricchissimi nella tessitura. Ed interamente costellati di spilli.

Per realizzarli l’artista di Sapporo (isola di Okkaido, Giappone) si è limitato a dipingere, più spesso di bianco ma anche di nero, dei rami ricoperti di muschio. E ad applicare sulla corteccia migliaia di puntine da disegno a testa sferica, dello stesso colore scelto per l’opera.

I rami, Shibuya, li ha prelevati dalla foresta così com’erano. Non li ha tagliati o modellati. E persino il muschio di alcune opere, nato a seguito delle cure dell’artista nel 2020, si è limitato a non riformarsi dopo essere seccato. Creando una base scultorea piena di sollecitazioni tattili, micro-motivi e forme imprevedibili, senza alterare il soggetto.

Per restituire la magia del paesaggio, l’artista ben deciso a non modificare il creato, oltre a sottolineare la tessitura dei pezzi con la monocromia e ad applicare centinaia di puntine da disegno su ognuno, si è concentrato sulla distribuzione degli elementi nello spazio.

Le opere, infatti, sono state tutte esposte all’Istituto d'Arte Contemporanea di Sapporo CAI03/CAI durante la mostra “Forest of the Silence” che si è recentemente conclusa (il 18 febbraio). E si sono dovute confrontare con le luci artificiali e l’architettura asciutta e razionale della galleria. Uno scenario inadatto a restituire l’immagine di una foresta innevata. Eppure, talvolta adagiate su leggeri piedistalli altre sistemate direttamente a terra, le sculture, se la sono cavata egregiamente. Merito, almeno in parte, dell’illuminazione che l’artista ha studiato per essere drammatica ma anche avvolgente. In equilibrio tra il mistero (che dà il senso della scoperta) e l’atemporalità (attraverso la quale lo spettatore cammina senza avere la sensazione di andare incontro a dei pericoli).

I lavori di volta in volta rievocano codici iconografici diversi. Il quadro d’insieme richiama alla mente il bosco, nel quale le persone si muovono in simbiosi con la natura. La sensazione prevalente è quella della pace interiore; il linguaggio artistico il paesaggio. Ma, mentre lo sguardo si sofferma sulle singole opere e il punto di vista cambia, si fanno strada associazioni diverse. Così i tronchi spezzati e dipinti di bianco, messi in fila su dei piedistalli, a un primo sguardo si trasformano in stele abbondantemente decorate. Affiorano immagini di alfabeti primordiali. Mentre i rami si fanno vere e proprie sculture.

E’ il caso dell’opera dipinta di nero “Black Dragon”, che con il suo corpo serpeggiante e un estremità simile ad un abbozzo di testa con un corno in cima, ha fatto esclamare a molti visitatori: “Questo sembra un drago nero"! Le circa 800 puntine da disegno, eburnee, luminose come scaglie, completano il pezzo.

"Il drago nero è un dio- drago che protegge- ha spiegato Toshihiko Shibuya- l'acqua, il nord e l'inverno nella Teoria dei cinque elementi. La Teoria dei cinque elementi è un pensiero filosofico naturale che ha avuto origine nell'antica Cina".

Nel pensiero orientale, il drago nero, oltre ad essere un simbolo benaugurante, è una divinità vendicatrice.

"Si dice che porti cose buone con la sua energia positiva, ma anche che possa manipolare il tempo per punire coloro che danneggiano inutilmente la natura. Trovo che questo aspetto sia molto interessante."

Al centro della poetica di Shibuya, infatti, c’è la dinamica bellezza della natura proiettata nel tempo ciclico delle stagioni. Con i suoi cantici circolari di vita, morte e rinascita.

Non a caso, un posto d’onore nella “Forest of the Silence” ce l’aveva un’altra opera di grandi dimensioni: “White Reborn”. Legno di ciliegio (parte di un ramo o di un tronco) che era già stato oggetto di un’installazione dell’artista direttamente nella foresta. La scultura, nella sua sua posa rilassata, quasi di riposo, nell’ambito dell’esposizione spiccava: "L’illuminazione è stata pensata affinché questo oggetto diventi una presenza simbolica nello spazio . La parete frontale esprime una tenue e delicata luminosità con la luce riflessa che illumina l'oggetto".

In occasione di “Forest of the Silence”, Toshihiko Shibuya, ha installato all’esterno dell’Istituto d'Arte Contemporanea di Sapporo CAI03/CAI anche “Snow Pallet 16”, l’ultimo capitolo della sua annuale opera dedicata al paesaggio innevato. Shinbuya, però, condivide il suo lavoro anche attraverso l’account instagram e il sito internet.

Toshihiko Shibuya, White Reborn. All images Courtesy Toshihiko Shibuya

I ponti incompiuti sono un simbolo di corruzione. Per questo un artista li ha fotografati tutti

Md Fazla Rabbi Fatiq, Untitled, work in progress (2022-ongoing)

La serie di fotografie “Untitled” dell’artista del Bangladesh, Md Fazla Rabbi Fatiq, condensa in una laconica metafora i problemi del suo paese. Quella dei ponti incompiuti. E lo fa con un linguaggio asciutto da documentario d’altri tempi.

Le immagini che si susseguono, svelando architetture geometriche fatiscenti, spesso solo abbozzate, sono state catturate con rigore quasi scientifico. Non sono omogenee nella scelta della prospettiva, né nella distanza, ma nella piatta rigidità dell’immagine. Le forme sono addolcite solo dal tempo cupo, spesso nebbioso, che costituisce anche un commento. Una delle poche libertà che l’artista si è preso nei confronti di foto che altrimenti vogliono essere obbiettive fino all’impersonalità.

Nato nel ‘95, Md Fazla Rabbi Fatiq, vede nella fotografia il suo linguaggio privilegiato. E il suo stile cambia molto a seconda dell’argomento che decide di trattare. Ad esempio, in “Home”, l’artista esprime l’angoscia del confinamento e la paura della pandemia con immagini dinamiche, molto colorate, al limite dell’astrazione ma anche inquietanti e, a tratti, persino sgradevoli.

Invece, in questa serie dedicata alle infrastrutture di comunicazione, che gli è valsa il premio Samdani Art Award (il principale premio artistico del Bangladesh) e quindi una residenza di studio-lavoro presso la prestiogiosa Delfina Foundation di Londra, usa il gergo del documentario per esprimere quello che considera un dato di fatto.

"Spesso le strade sono crollate- scrive l’artista sul suo sito internet- e in molti casi non ancora costruite ma centinaia di strutture di ponti si, e vengono abbandonate in campi aperti, canali e terreni agricoli. Anche dopo aver stanziato un budget enorme, gli appaltatori si appropriano indebitamente del fondo e lasciano il cantiere incompiuto perchè sono sostenuti dai partiti politici(...) Le persone così devono usare la barca per 10 mesi all'anno(...) D'altra parte, l'età media di questi ponti abbandonati è di quasi due decenni. La maggior parte di loro non è costruita in modo sostenibile e molti, di recente costruzione, stanno crollando dopo anni di lavori. Per le comunità locali, questi ponti sono come sogni abbandonati che non trovano mai la sponda nella realtà.  Pertanto, queste disposizioni simmetriche di ponti disfunzionali rappresentano non solo architetture geometriche ma sono anche simboli della corruzione in Bangladesh".

In questo Md Fazla Rabbi Fatiq vede anche le radici del perpetuarsi della povertà nel suo paese.

"Più la corruzione è pervasiva in una società, maggiore è la disparità di reddito che, a sua volta, porta a un'ulteriore perpetuazione della corruzione. Esiste un'analoga associazione positiva tra corruzione e povertà: maggiore è il livello di corruzione, maggiore è il livello di povertà".

Sullo sfondo la Natura. Distante, silenziosa. Carica le fotografie dell’artista di una poetica malinconia.

Md Fazla Rabbi Fatiq al Samdani Art Award si è guadagnato la vittoria insieme a Purnima Akta che invece usa la pittura attingendo alla mitologia, alle miniature Muhgal (che venivano usate in India per illustrare i manoscritti) e all'arte popolare, per rappresentare imminenti disastri ecologici (Akta però andrà in residenza nel Ghana, dove c’è il Savannah Center for Contemporary Art and Red Clay dell’artista Ibrahim Mahama, anzichè a Londra).

Per farsi un idea più precisa del lavoro Md Fazla Rabbi Fatiq, si può dare uno sguardo alle fotografie sul sito internet del giovane artista bangladese o sull’account instagram.

Md Fazla Rabbi Fatiq, Untitled, work in progress (2022-ongoing)

Md Fazla Rabbi Fatiq, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Md Fazla Rabbi Fatiq, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Purnima Aktar, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.

Purnima Aktar, Image by Farhad Rahman. Copyright Dhaka Art Summit 2023.