"Can't Help Myself" l'inquietante robot di Sun Yuan e Peng Yu fa impazzire TikTok

E’ boom su TikTok per l’inquietante scultura robotica di Sun Yuan & Peng Yu, “Can’t Help Myself”. Commissionata dal Guggenheim Museum al duo di artisti cinesi nel 2016 e presentata alla Biennale di Venezia nel 2019, l’opera, è diventata un fenomeno virale solo in questi giorni. A scoppio ritardato. Totalizzando milioni di visualizzazioni. Numeri degni della clip di un cantante famoso o di una star hollywoodiana

La dinamica, come spesso succede per le tendenze dei social media, è presumibile. Ma non è facile risalire all’evento che l’ha innescata, tale è la mole di materiale pubblicato sulla rete. I brevi video, spesso rimaneggiati, aggiungendo musiche, filtri e didascalie, sono tantissimi. E hanno dato il via a una discussione accesa e dai confini imprecisi. Anche geograficamente parlando. Tanto è vero che se “Can’t Help Myself” fa impazzire un’utenza prevalentemente giovane negli Stati Uniti, pure TikTok in Italia si appassiona all’argomento. Anzi in molti commenti le persone ricordano di averla vista in azione proprio a i Giardini della città lagunare.

Ma perchè l’installazione di Sun Yuan e Peng Yu è diventata così famosa a scoppio ritardato? Secondo la rete la scultura sarebbe invecchiata. Si mostrerebbe più lenta, meno sciolta nei movimenti e lascerebbe intravedere persino degli accenni di ruggine. Così in alcune brevi sequenze compare con in sottofondo una musica nostalgica o con qualche elemento che fa riferimento allo scorrere del tempo. Tuttavia in altre si esibisce con la consueta ruvida energia. E suscita commenti del tenore di: “Questo è in assoluto il mio pezzo d’arte preferito” o addirittura “Da quando l’ho vista in Biennale ne sono stata ossessionata”.

Per realizzare “Can’t Help Myself”, Sun Yuan e Peng Yu hanno lavorato con un robot industriale, sensori di riconoscimento visivo e sistemi software. Nell’opera un braccio robotico cerca instancabilmente di contenere l’espandersi di un liquido rosso e vischioso simile al sangue.

Pressochè tutte le installazioni di Sun Yuan e Peng Yu- Spiegava il catalogo della Biennale d’arte 2019- hanno lo scopo di suscitare meraviglia e tensione nel pubblico, e il gesto di guardare (talvolta sbirciare) compiuto dai singoli spettatori è un elemento costitutivo delle loro opere più recenti, che spesso prevedono la messa in scena di spettacoli che evocano un senso di minaccia”.

Infatti vista dal vivo “Can’t help Myself” lascia a bocca aperta per la forza, di cui la sensazione di pericolo è uno degli assi portanti. E malgrado gli autori, in un primo momento, abbiano scelto di sottolineare come la funzione di contenimento messa in pratica dal braccio robotico si colleghi al tema delle frontiere, l’opera ha molteplici chiavi di lettura (sociale, politica, psicologica e artistica). Ma è legata filo stretto ai concetti di automazione, intelligenza artificiale e tecnologia tout court.

Per ironia della sorte, nonostante recenti ricerche tendano a far risalire al lavoro dei bot gran parte dei fenomeni virali della rete, l’interesse degli utenti di TikTok nei confronti di “Can’t help Myself” di Sun Yuan & Peng Yu, invecchiata o meno, sembra sincero. E non poteva essere altrimenti con una scultura in grado di grattarsi e dimenare il sedere con naturalezza.

Sun Yuan and Peng Yu, Can’t Help Myself, 2016, Mixed media. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

L'installazione immersiva di Motoi Yamamoto fatta solo di sale e vernice blu

Motoi Yamamoto, A Path of Memories (2021). All images Courtesy Motoi Yamamoto

Motoi Yamamoto crea installazioni artistiche effimere, rigorosamente site-specific, con il sale marino. Nel caso di quella creata per la Triennale di Oku-Noto a Suzu, l’opera era anche immersiva. Per farla la tecnologia non è stata necessaria. In compenso gli ci sono voluti 5 mesi di lavoro, tanta idropittura blu e 7 tonnellate di sale.

“A Path of Memories” realizzata dall’astista giapponese Motoi Yamamoto (ne ho parlato spesso) nella ex scuola materna Kodomari a Suzu (una cittadina nella prefettura di Ishikawa, più o meno al centro del Giappone) è stata visibile fino a pochi giorni fa (5 novembre 2021). Creata in occasione della Triennale di Oku-Noto, l’opera è rimasta esposta per due mesi. Un periodo insolitamente lungo per le installazioni, spesso grandi e sempre laboriosissime, dell’artista originario di Hiroshima, che durante l’ultimo giorno di mostra vengono quasi sempre smantellate dal pubblico, invitato a buttare il sale di cui sono composte in mare o in un corso d’acqua.

D’altra parte quest’installazione, costituita solo parzialmente di sale, ha richiesto ben 5 mesi di lavoro. L’artista insieme al suo team ha, infatti, ridipinto completamente (dal pavimento al soffitto) le pareti dell’asilo con della vernice lavabile blu. Su cui poi hanno tracciato degli intricati labirinti bianchi.

Un lavoro stupefacente per pazienza e precisione che faceva da scenografia a una strettissima scala composta interamente di sale e posizionata su un pavimento di sale. La struttura sembrava costruita con vecchi mattoni, lavorati in maniera da apparire segnati dal tempo e scrostati. Per erigerla sono servite 7 tonnellate di cristalli di cloruro di sodio.

Simboleggiava i ricordi e la memoria. Un tema caro all’artista, che muove la sua pratica fin dai primi tempi.

"Continuo a creare per non dimenticare i ricordi della mia famiglia- ha scritto tempo fa Motoi Yamamoto- Il sale è sempre stato profondamente legato alla vita delle persone in Oriente e in Occidente. In Giappone è una sostanza indispensabile per usanze come i funerali."

“A Path of Memories”, oltre a contenere un riferimento al futuro attraverso il colore blu scelto dalla figlia, aveva la caratteristica di calare lo spettatore in un mondo parallelo. Di immergerlo in un paesaggio interiore.

Le opere di Motoi Yamamoto stanno per essere esposte alla galleria en-arts di Kyoto (dal 12 novembre al 12 dicembre). Ma per vedere le sue installazioni immersive e non, si può semplicemente dare uno sguardo al sito internet o all’account instagram dell’artista.

"Danse Macabre" di Hans Op de Beeck riproduce una giostra d'epoca a grandezza naturale con tanto di scheletri vestiti ammodino

Hans Op de Beck, Danse Macabre, Sculptural Installation, 2021. 950 × 650 × 950 cm. steel, aluminum, wood, polyester, polyamide, polyurethane, PVC coated nylon, plaster, coating. All images Courtesy Studio Hans Op de Beeck, Triennale Brugge

“Danse Macabre” (“Danza Macabra”) dell’artista belga Hans Op de Beck (altri articoli su di lui qui) è una scultura stupefacente. Per dimensioni innanzitutto (12 metri di larghezza per 4 d’altezza) e maniacale copia dei dettagli. Iperrealista e surreale. Riproduce una giostra d’epoca, a grandezza naturale, popolata di scheletri vestiti secondo la moda dell’800.

Artista poliedrico, Hans Op de Beck, è sempre in grando di stupire per la complessità dei suoi gruppi scultorei. Grigi, quasi senza eccezione, e fatti di materiali vari. Ma “Danse Macabre”, presentata alla Triennale di Bruges in Belgio la scorsa estate (si è conclusa alla fine di ottobre 2021), se possibile, lo fa di più.

L’opera è una rilettura contemporanea del tema della Natura Morta. Sviscerato in tutte le sue varianti e simbolismi possibili, inzuppato in salsa gotica e condito con un filo di umorismo nero.

"Op de Beeck- spiega il sito dell'artista- considera la giostra come una messa in scena di intrattenimento tipicamente umana, un po' tragicomica. È anche un oggetto piuttosto assurdo: solleviamo i nostri bambini e li mettiamo su cavalli di legno e poi li lasciamo girare in tondo senza meta. Tali oggetti di divertimento o costruzioni che non sono o non sono più in uso diventano malinconici. L'allegria tacitata o passata dona a quegli oggetti, che sono fatti principalmente per essere in movimento e affollati di gente, una cupezza, come il vuoto dopo una festa".

Il soggetti riprodotti in “Danse Macabre” non sono tuttavia nuovi all’artista di Bruxelles. Dalla giostra, per la sua ambivalenza, agli scheletri, fino ai piccoli oggetti della vita quotidiana riuniti in complesse composizioni (che rappresentano il nostro ancorarci a loro per sfuggire lo scorrere del tempo).

L’opera, installata nello splendido nucleo storico di Bruges, era fruibile da tutti gratuitamente. Concepita per essere in armonia con l’eleganza dell’architettura delle Fiandre ma anche per scontrarsi con il clima di spensieratezza estivo e la vivacità del centro cittadino. Era, in ultima analisi, un Memento Mori (altro tema iconografico caro all’artista, scelto facendo riferimento all’epoca di costruzione degli edifici circostanti come, per altro, il titolo Danza Macabra rende evidente .

Da pochi giorni non è più possibile vedere “Dance Macabre” a Bruges ma una selezione piuttosto consistente di sculture di Hans Op de Beck è attualmente in mostra alla Galleria Continua di San Gimignano. Inoltre il sito internet e l’account instagram dell’artista presentano con puntualità le sue colte e scenografiche creazioni.