Scopri i nidi impermanenti e poetici di Tadashi Kawamata nascosti nel centro di Milano

Nest, Tadashi Kawamata, Fondazione Cariplo. Photo: Daniele Perani

L’artisita giapponese Tadashi Kawamata ha disseminato il centro di Milano con delle installazioni site-specific pensate per essere smantellate alla fine dell’esposizione (Nests in Milan, fino al 23 luglio). Le opere pubbliche riproducono dei grandi nidi, attraverso una fitta griglia di assi di legno. Collocate, talvolta sulle facciate, altre sui tetti degli edifici, non sono immediate da individuare.

Nato nel ‘53 sull’Isola di Hokkaido, Tadashi Kawamata, a soli 28 anni è già un astro in ascesa. Nell’82 rappresenterà il Giappone insieme ad altri artisti alla Biennale di Venezia e poi pareteciperà a due edizioni consedutive di Documenta di Kassel. In seguito insegnerà all’Università di Belle Arti di Tokyo, prima e all’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parigi, poi. I suoi interventi, nel tempo, sono stati ospitati da locations molto prestigiose tra le quali: Palazzo Strozzi a Firenze, il Madison Square Park di New York, il Centre Pompidou di Parigi e Place Vendôme sempre a Parigi.

La sua opera dialoga strettamente con l’architettura e il tessuto urbano. Ma anche con psicologia e sociologia. Ed è anche per questo che gli piace proporre la forma del nido. Costruzione archetipica essenziale che "rimanda-spiegano gli organizzatori dell'evento- alla necessità universale di costruire, sia nel mondo animale che in quello umano, un luogo in cui trovare riparo". Il senso di vulnerabilità e la presenza di potenziali pericoli sono quindi sottintesi. Allo stesso modo il nido comunica sicurezza e la laboriosa gioia della primavera. Un senso di serena freschezza sottolineato dai colori discreti delle installazioni.

Ma le opere di Kawamata sono ingannevoli. E i suoi nidi hanno un lato oscuro. Se da una parte, infatti , non fanno altro che spingerci a riflettere sugli edifici in cui viviamo e sugli spazi che ci circondano. Dall’altra, sono simili a bozzoli, corpi estranei che si insionuano nel tessuto urbano pronti ad ospitare una creatura aliena. Per non parlare, poi, di quando l’artista gira i nidi su se stessi, trasformandoli in igloo tratteggiati ed insidiosi.

Com’è successo nell’antico palazzo parigiono di cui Artbooms ha parlato tempo fa. Questa volta i nidi di Tadashi Kawamata sono stati, invece, collocati sul Grand Hotel et de Milan, al Centro Congressi Fondazione Cariplo e nel Cortile della Magnolia di Palazzo Brera. Tutti edifici scelti per il loro valore simbolico, sia civile che culturale. Le tre opere pubbliche sono state realizzate in occasione della mostra Nests in Milan (a cura di Antonella Soldaini) che si terrà alla Building gallery dal 31 di marzo. Per l’inaugurazione Kawamata realizzarà anche un quarto intervento sulla facciata dell’edificio che ospita la galleria.

Nest, Tadashi Kawamata, Fondazione Cariplo. Photo: Daniele Perani

Nest, Tadashi Kawamata, Cortile della Magnolia Photo: Daniele Perani

Nest, Tadashi Kawamata, Cortile della Magnolia Photo: Daniele Perani

Nest, Tadashi Kawamata, Grand Hotel et de Milan. Photo: Daniele Perani

Nest, Tadashi Kawamata, Grand Hotel et de Milan. Photo: Daniele Perani

Tadashi Kawamata, Tree Huts at Place Vendôme, 2013 Installation in situ, Place Vendôme, Parigi Ph. Fabrice Seixas © Tadashi Kawamata Courtesy of the artist

Tadashi Kawamata, Tree Huts, 2013 Installation in situ, Palazzo Strozzi, Firenze Ph. Martino Margheri, Markus Bader © Strozzina, Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze Courtesy of the artist

Tadashi Kawamata, The Shower, 2017 Installazione in situ, Fondazione Made in Cloister, Chiostro della Chiesa di Santa Caterina a Formiello, Napoli Ph. Riccardo Piccirillo © Fondazione Made in Cloister, Napoli Courtesy of the artist

Tadashi Kawamata, Nests in Milan, 2020, matita, pastello e penna su carta / pencil, crayon, and pen on paper, 29,7 × 21 cm disegno preparatorio, progetto per la facciata del Grand Hotel et de Milan / preliminary sketch, project for the facade of Grand Hotel et de Milan, via Monte di Pietà 24, Milano Ph. Paolo Riolzi Studio

Una bambola kokeshi affamata e dei leoni komainu robotici salutano i visitatori al tempio Kiyomizu-dera di Kyoto

Fino al 13 marzo all’ingresso del tempio di Kiyomizu-dera, una gigantesca bambola tradizionale kokeshi accoglieva i visitatori insieme a una coppia di leoni guardiani komainu in versione robotica. Le opere, realizzate rispettivamente dal collettivo giapponese Yotta e dall’artista Kenji Yanobe sono state posizionate in occasione della fiera degli artisti di Kyoto 2022. E sono due rivisitazioni della scultura monumentale.

La bambola kokeshi, da sempre modellata in legno e dipinta con vari colori fino a riprodurre un kimono, resta un simbolo del Giappone, ma in passato fu talmente famosa da ispirare il design della matrioska russa. Quella del collettivo Yotta si chiama “Hanako” e si prende molte libertà rispetto alla sua antenata. Tanto per cominciare nelle dimensioni: la bambola posizionata all’ingresso del tempio patrimonio Unesco misura 12 metri e mezzo. Altezza monumentale, che contraddice, con la posizione (quella di un giocattolo caduto a terra). E con il peso. “Hanako”, infatti, è un leggerissimo gonfiabile.

Ma la bambola kokeshi del collettivo Yotta (composto dagli artisti: Kizaki Kimitaka, Kanetani Koji e Yamawaki) non si limita a questo. E’ anche parlante. Recita filastrocche, canta canzoncine allegre, borbotta e ogni tanto dice: “Ho fame!”

Stanno zitti e si limitano a 3 metri e 30, i komainu di Kenji Yanobe. I leoni giapponesi che fanno la guardia ai templi per allontanare gli spiriti maligni, qui, mixano tradizione e contemporaneità senza dimenticare l’ironia. Una ha le fauci splancate l’altra chiuse.

Wikipedia spiega: "La bocca aperta pronuncia la prima lettera dell'alfabeto sanscrito , che si pronuncia "a", mentre la chiuso è pronunciare l'ultima lettera, che si pronuncia "um", per rappresentare l'inizio e la fine di tutte le cose. Insieme formano il suono Aum , una sillaba sacra in diverse religioni come l'induismo , il buddismo e il giainismo" .

Ma nella versione di Yanobe i komainu si trsformani nei robottini di un manga e hanno pose da animale domestico.

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Metaspore di Anicka Yi: Cosa vedere e cosa evitare al Pirelli Hangar Bicocca

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Una coppia presenta il green pass: ”Avete prenotato? “ “Si ma siamo un po’ in anticipo”. “Non importa: andate pure. Oggi si può”. E’ primo pomeriggio e al Pirelli Hangar Bicocca c’è ancora poca gente. L’atrio è invaso dalla luce fredda ma già intensa che passa dalle grandi vetrate dell’ingresso, eppure, una volta varcate le porte che separano dallo Sheed (uno degli spazi espositivi ricavati dall’ex-fabbrica milanese in cui un tempo si producevano locomotive), ci si trova avvolti nella penombra. Le opere di Anicka Yi occupano l’intera sala, che sembra fatta apposta per contenerle.

Sono 20 e fanno di Metaspore la più grande mostra mai dedicata all’artista coreano-americana (fino al 24 luglio 2022) che quest’anno ha avuto l’onore di occupare la Turbine Hall della Tate Moderna di Londra con un’installazione site-specific (In Love with the world). Si va dai primi successi nel 2010-11 (infatti, Anicka Yi, si dedica all’arte solo dal 2008) fino a Biologizing the Machine (Spillover zoonotica) creata proprio per quest’esposizione.

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Appena entrati sembra di varcare un secondo ingresso mentre si attraversa la galleria composta da quelle che in realtà sono due installazioni più o meno uguali (Effectively Synergizing Backward Overflow e Ice Water in the Veins). Bianche, con sopra stampati quelli che a prima vista possono sembrare pattern decorativi (in realtà batteri al microscopio), ospitano delle piccole vetrine retroilluminate. Nelle teche c’è un po’ di tutto ma senza ricorrere alla guida messa a disposizione dall’Hangar (gratuita ma un po’ piccola per chi soffre anche del minimo problema alla vista) non ci si arriverebbe mai. E’ una delle caratteristiche più spiccate del lavoro di Yi, che si ritrova in buona parte delle opere in mostra: visivamente piacevoli, a volte persino apparentemente preziose, possono essere fatte di materiali improbabili o sgradevoli. Come ci riesca non si sa.

Anicka Yi, Biologizing the Machine (spillover zoonotica), 2022 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Commissionata e prodotta da Pirelli HangarBicocca, Milano Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Ma basta guardare Biologizing the Machine (Spillover zoonotica) (da non confondere con Biologizing the Machine (Terra incognita), presentata alla Biennale di Venezia) per avere una prova incontrovertibile di questa strana trasmutazione alchemica della materia che passa per le mani di Yi e degli esperti cui si affianca (in questo caso gli scienziati del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università degli Studi di Milano). Anche avvicinandosi fin quasi ad appoggiare il naso sulle teche non c’è verso di capire che quelle colorate e raffinate composizioni sono colture di batteri. Anzi, se ci si accosta, si possono scorgere delle piccole cavità nella materia dalle quali fanno capolino dei minuscoli cristalli scuri.

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Stesso discorso per Skype Sweater. Già il paracadute militare gonfiato dall’aria a formare degli igloo leggeri e luminosi, fa sfuggire all’osservatore la sua originale funzione. E passi per il parallelepipedo di sapone che ingloba tubi di gomma e rasoi. Ma riuscire a capire che dentro quella borsa Longchamp trasparente ci sono interiora di bovino e gel per capelli è impossibile: si scorgono solo forme poco definite ma aggraziate, sprazi di colore. Per non parlare del sacchetto di plastica fritto in tempura che sembra un materiale prezioso. Forse oro, ma luccica persino di più.

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

In confronto le sette vasche trasparenti di Shameplex, riempite di gel per ultrasuoni verde vivo, non hanno segreti. Con i loro spilli che ossidandosi disegnano motivi scuri e più o meno geometrici nella superficie viscosa e ben livellata. Qui Yi cita il Minimalismo storico. L’opera è leggermente disturbante ma quasi non ci se ne rende conto.

Auras, Orgasms and Nervous Peaches, invece, con le sue macchie scure agli angoli di una stanza rivestita di piastrelle bianche, che ricordano i bagni pubblici, lo è molto di più. Fuori, da tre buchi, sgorga un liquido giallastro che sembra urina ma è olio d’oliva. Nell’aria si dovrebbe diffondere l’odore dell’olio ma con la mascherina non è facile dstinguerlo. E’ più probabile non sentire niente.

Tuttavia si può supporre che avvertendolo ci sarebbe un momento di confusione. Ad Anicka Yi, infatti, piace spiazzare il visitatore mettendolo di fronte a paure che non ricorda di avere, a condizionamenti di cui non conosce la forza e dei quali, spesso, non è nemmeno cosciente.

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Ma ogni tanto, Yi, ci regala anche momenti piacevoli, come con Releasing the Human from the Human. Malgrado il titolo sinistro (Liberare l’Umano dall’Umano), composta com’è da sei lampade circolari di alga laminaria da cui si irradia una luce calda e dal vorticare di insetti robotici, ricorda le sere d’estate. E’ gradevole, anche la presenza aliena di mosche o falene che siano, non porta fantascientifiche inquietudini, visto che a farle girare è un banale pernetto.

Anicka Yi, Immigrant Caucus, 2017 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista, 47 Canal, New York, Gladstone Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

New York’s A Bitch, But Good Forbid the Bitch Divorce You è tutt’un’altra storia. Collocata in fondo alla sala a vedersi è semplicissima: solo una coppia di oblò da lavanderia sulla parete scura. Aprendoli si sentono due distinti odori che l’artista ha creato in collaborazione con il profumiere francese Christophe Laudamiel (tra gli altri ha lavorato con Ralph Lauren, Michael Kors e Tom Ford) e che per lei rappresentano le emozioni contrastanti che accompagnano la fine di una relazione. Ma si insinuano nelle narici in malo modo. E sono persistenti. Uno in particolare riesce a ricordare bitume, polvere e ambienti mal sani insieme ad altre note non meglio definite in un sol colpo.

Non vanno annusati due volte o troppo a lungo. Altrimenti meglio abbandonare l’idea di affrontare incolumi l’installazione olfattiva Immigrant Cucasus. In cui Anicka Yi (questa volta insieme a Barnabé Fillion) ha ibridato il sudore delle donne asiatico-americane con le sostanze emesse dalle formiche carpentiere.

Anicka Yi, Laptop Lap Burn, 2015 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista, 47 Canal, New York, Gladstone Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Anicka Yi, Skype Sweater, 2010/2017 (particolare) Paracadute militare in nylon, sapone, resina, tubi di gomma, pigmento, lame di rasoio, vetrini da microscopio, borsa in PVC e pelle, gel per capelli, trippa, ami da pesca, involucro in mylar fritto in tempura, aste di plastica, rete da pesca, plexiglass Dimensioni variabili Veduta dell’installazione, Art Basel Unlimited, Basilea, 2017 Courtesy l’artista, Gladstone Gallery, New York Bruxelles, e 47 Canal, New York Foto Peter Hauck

Anicka Yi, Skype Sweater, 2010/2017 (particolare) Paracadute militare in nylon, sapone, resina, tubi di gomma, pigmento, lame di rasoio, vetrini da microscopio, borsa in PVC e pelle, gel per capelli, trippa, ami da pesca, involucro in mylar fritto in tempura, aste di plastica, rete da pesca, plexiglass Dimensioni variabili Veduta dell’installazione, Art Basel Unlimited, Basilea, 2017 Courtesy l’artista, Gladstone Gallery, New York Bruxelles, e 47 Canal, New York Foto Peter Hauck

Anicka Yi, Shameplex, 2015 (particolare) Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 The Museum of Modern Art, New York Fund for the Twenty-First Century, 2017 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio

Anicka Yi, “Metaspore”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2022 Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano Foto Agostino Osio