Mastodontiche radici avvolgono le mura di Bruges. Ma è una scultura di Henrique Oliveira

Henrique Oliveira - Banisteria Caapi (Desnatureza 4), 2021, VALLOIS, Paris_ Van de Weghe, New York - Triënnale Brugge 2021 © Stad Brugge - Matthias Desmet

Conosciuto per la capacità di fondere pittura, scultura e architettura in interventi allo stesso tempo, d’impatto scenografico e valore artistico, Henrique Oliveira, per la Triennale di Bruges in Belgio (che si è conclusa alla fine di ottobre) ha realizzato una stupefacente installazione. Vedendola, sembrava di trovarsi di fronte a delle enormi radici o a qualche forma di pianta parassita rampicante. Ma sproporzionata. Tanto da avvolgere completamente l’antica cinta muraria della città fiamminga.

L’opera, fa parte della serie “Desnatureza” e si intitola “Banisteria Caapi”, un albero diffuso in Sud America, chiamato anche ayahuasca (come l’omonima bevanda usata nei riti sciamanici), e conosciuto per le proprietà allucinogene.

D’altra parte nel lavoro dell’artista brasialiano l’idea di uno stato d’alterazione di coscienza che induce l’illusione di percepire mondi diversi è sempre presente. Già le dimensioni delle opere lo indicano. Da un altro punto di vista si potrebbe parlare di inganno. Ma inteso in senso positivo. Una sorta di escamotage per guardare la realtà con occhi diversi.

"I resti archeologici- spiega il sito internet dell'evento- nascosti della prima cinta muraria medievale hanno ispirato il contributo di Oliveira". L’artista ha poi sfruttato la presenza di un giardino immediatamente dietro il punto in cui ha posizionato la sua installazione: "Sembra che la natura abbia libero sfogo dietro i giardini recintati, ma la sua installazione è fuorviante. I rami sono artificiali e imitano la natura in modo magistrale. L'artista gioca sottilmente con ciò che vediamo in città ogni giorno e con ciò che si cela dietro quella realtà." In sostanza le stratificazioni architettoniche presenti in tutte le città europee ci forzano a una lettura erronea della realtà, così come la scultura ci fa credere che la natura si stia riprendendo i suoi spazi.

Henrique Oliveira, infatti, non usa mai elementi naturali veri e propri, il riferimento a una natura lussurreggiante è costante ma illusorio. Costruisce invece uno scheletro in metallo, su cui posiziona degli avanzi di compensato scartati nei cantieri edili di San Paolo, che tratta e a volte dipinge per arricchirne la trama. E piega, uno ad uno.

Lui dice che i suoi mega rami e le sue gigantesche radici sono dei Frankenstein proprio perchè sono fatti di tante parti diverse.

La scultura realizzata a Bruges da Henrique Oliveira non è più visibile. Tuttavia un’installazione permanente dell’artista brasiliano fa parte della collezione di Arte Sella a Borgo Valsugana (in provincia di Trento) e le sue opere si possono sempre ammirare sul suo sito internet o sull’account instagram.

Henrique Oliveira - Banisteria Caapi (Desnatureza 4), 2021, VALLOIS, Paris_ Van de Weghe, New York - Triënnale Brugge 2021 © Stad Brugge - Matthias Desmet

Henrique Oliveira - Banisteria Caapi (Desnatureza 4), 2021, VALLOIS, Paris_ Van de Weghe, New York - Triënnale Brugge 2021 © Stad Brugge - Matthias Desmet

Henrique Oliveira - Banisteria Caapi (Desnatureza 4), 2021, VALLOIS, Paris_ Van de Weghe, New York - Triënnale Brugge 2021 © Stad Brugge - Matthias Desmet

"Can't Help Myself" l'inquietante robot di Sun Yuan e Peng Yu fa impazzire TikTok

E’ boom su TikTok per l’inquietante scultura robotica di Sun Yuan & Peng Yu, “Can’t Help Myself”. Commissionata dal Guggenheim Museum al duo di artisti cinesi nel 2016 e presentata alla Biennale di Venezia nel 2019, l’opera, è diventata un fenomeno virale solo in questi giorni. A scoppio ritardato. Totalizzando milioni di visualizzazioni. Numeri degni della clip di un cantante famoso o di una star hollywoodiana

La dinamica, come spesso succede per le tendenze dei social media, è presumibile. Ma non è facile risalire all’evento che l’ha innescata, tale è la mole di materiale pubblicato sulla rete. I brevi video, spesso rimaneggiati, aggiungendo musiche, filtri e didascalie, sono tantissimi. E hanno dato il via a una discussione accesa e dai confini imprecisi. Anche geograficamente parlando. Tanto è vero che se “Can’t Help Myself” fa impazzire un’utenza prevalentemente giovane negli Stati Uniti, pure TikTok in Italia si appassiona all’argomento. Anzi in molti commenti le persone ricordano di averla vista in azione proprio a i Giardini della città lagunare.

Ma perchè l’installazione di Sun Yuan e Peng Yu è diventata così famosa a scoppio ritardato? Secondo la rete la scultura sarebbe invecchiata. Si mostrerebbe più lenta, meno sciolta nei movimenti e lascerebbe intravedere persino degli accenni di ruggine. Così in alcune brevi sequenze compare con in sottofondo una musica nostalgica o con qualche elemento che fa riferimento allo scorrere del tempo. Tuttavia in altre si esibisce con la consueta ruvida energia. E suscita commenti del tenore di: “Questo è in assoluto il mio pezzo d’arte preferito” o addirittura “Da quando l’ho vista in Biennale ne sono stata ossessionata”.

Per realizzare “Can’t Help Myself”, Sun Yuan e Peng Yu hanno lavorato con un robot industriale, sensori di riconoscimento visivo e sistemi software. Nell’opera un braccio robotico cerca instancabilmente di contenere l’espandersi di un liquido rosso e vischioso simile al sangue.

Pressochè tutte le installazioni di Sun Yuan e Peng Yu- Spiegava il catalogo della Biennale d’arte 2019- hanno lo scopo di suscitare meraviglia e tensione nel pubblico, e il gesto di guardare (talvolta sbirciare) compiuto dai singoli spettatori è un elemento costitutivo delle loro opere più recenti, che spesso prevedono la messa in scena di spettacoli che evocano un senso di minaccia”.

Infatti vista dal vivo “Can’t help Myself” lascia a bocca aperta per la forza, di cui la sensazione di pericolo è uno degli assi portanti. E malgrado gli autori, in un primo momento, abbiano scelto di sottolineare come la funzione di contenimento messa in pratica dal braccio robotico si colleghi al tema delle frontiere, l’opera ha molteplici chiavi di lettura (sociale, politica, psicologica e artistica). Ma è legata filo stretto ai concetti di automazione, intelligenza artificiale e tecnologia tout court.

Per ironia della sorte, nonostante recenti ricerche tendano a far risalire al lavoro dei bot gran parte dei fenomeni virali della rete, l’interesse degli utenti di TikTok nei confronti di “Can’t help Myself” di Sun Yuan & Peng Yu, invecchiata o meno, sembra sincero. E non poteva essere altrimenti con una scultura in grado di grattarsi e dimenare il sedere con naturalezza.

Sun Yuan and Peng Yu, Can’t Help Myself, 2016, Mixed media. Photo by: Francesco Galli. Courtesy: La Biennale di Venezia

L'installazione immersiva di Motoi Yamamoto fatta solo di sale e vernice blu

Motoi Yamamoto, A Path of Memories (2021). All images Courtesy Motoi Yamamoto

Motoi Yamamoto crea installazioni artistiche effimere, rigorosamente site-specific, con il sale marino. Nel caso di quella creata per la Triennale di Oku-Noto a Suzu, l’opera era anche immersiva. Per farla la tecnologia non è stata necessaria. In compenso gli ci sono voluti 5 mesi di lavoro, tanta idropittura blu e 7 tonnellate di sale.

“A Path of Memories” realizzata dall’astista giapponese Motoi Yamamoto (ne ho parlato spesso) nella ex scuola materna Kodomari a Suzu (una cittadina nella prefettura di Ishikawa, più o meno al centro del Giappone) è stata visibile fino a pochi giorni fa (5 novembre 2021). Creata in occasione della Triennale di Oku-Noto, l’opera è rimasta esposta per due mesi. Un periodo insolitamente lungo per le installazioni, spesso grandi e sempre laboriosissime, dell’artista originario di Hiroshima, che durante l’ultimo giorno di mostra vengono quasi sempre smantellate dal pubblico, invitato a buttare il sale di cui sono composte in mare o in un corso d’acqua.

D’altra parte quest’installazione, costituita solo parzialmente di sale, ha richiesto ben 5 mesi di lavoro. L’artista insieme al suo team ha, infatti, ridipinto completamente (dal pavimento al soffitto) le pareti dell’asilo con della vernice lavabile blu. Su cui poi hanno tracciato degli intricati labirinti bianchi.

Un lavoro stupefacente per pazienza e precisione che faceva da scenografia a una strettissima scala composta interamente di sale e posizionata su un pavimento di sale. La struttura sembrava costruita con vecchi mattoni, lavorati in maniera da apparire segnati dal tempo e scrostati. Per erigerla sono servite 7 tonnellate di cristalli di cloruro di sodio.

Simboleggiava i ricordi e la memoria. Un tema caro all’artista, che muove la sua pratica fin dai primi tempi.

"Continuo a creare per non dimenticare i ricordi della mia famiglia- ha scritto tempo fa Motoi Yamamoto- Il sale è sempre stato profondamente legato alla vita delle persone in Oriente e in Occidente. In Giappone è una sostanza indispensabile per usanze come i funerali."

“A Path of Memories”, oltre a contenere un riferimento al futuro attraverso il colore blu scelto dalla figlia, aveva la caratteristica di calare lo spettatore in un mondo parallelo. Di immergerlo in un paesaggio interiore.

Le opere di Motoi Yamamoto stanno per essere esposte alla galleria en-arts di Kyoto (dal 12 novembre al 12 dicembre). Ma per vedere le sue installazioni immersive e non, si può semplicemente dare uno sguardo al sito internet o all’account instagram dell’artista.