La monumentale Balloon Monkey di Jeff Koons in versione arte pubblica. Da guardare gratuitamente ascoltando “I’m a Koons fan”

Jeff Koons, Balloon Monkey (Blue), 2006-2013. Palazzo Strozzi’s Courtyard. Mirror-polished stainless steel with transparent color; coating; 150 126 x 235 inches, 381 x 596.9 x 320 cm. One of five unique versions. Courtesy Private collection. © Jeff Koons, Photo: Ela Bialkowska Oknostudio

Sembra fatta di palloncini, ma con i suoi 6 metri di lunghezza e le 5 tonnellate di peso, “Balloon Monkey (Blue)”, la scimmia gigante di Jeff Koons, è una delle sculture contemporanee più ponderose che abbiano mai occupato il cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi. Oltre ad essere molto probabilmente la più famosa. Certo il cagnolone record d’asta, “Balloon Dog” (esposto all’interno nella versione rossa), lo è ancora di più ma non avrebbe riempito altrettanto bene il chiostro. E, in occasione della mostra “Jeff Koons Shine” (in corso fino al 30 gennaio 2022), si è trasformata anche in un’opera d’arte pubblica.

La possono vedere e ri-vedere tutti gratuitamente: chi porta a spasso il cane, i turisti, chi fa una passeggiata, o si ferma a prendere un caffè nel bar del museo. Prendere il biglietto e visitare l’esposizione dell’artista statunitense non è necessario. Com’è tradizione dello spazio espositivo fiorentino in occasione delle grandi personali (indimenticabili i gommoni di Ai Weiwei sulla facciata o il pallone aerostatico di Tomás Saraceno nel cortile).

Decisamente instagrammabile, la gigantesca scimmia di Jeff Koons in acciaio inossidabile lucidato a specchio con verniciatura blu trasparente, dà l’illusoria impressione di essere leggera, persino fragile, ma non lo è affatto (come una delle sue “Gazing Balls” del resto). Riflette tutto ciò che passa sulle sue forme sinuose. Fedele all’idea di generosità dell’opera, che secondo il suo creatore porterebbe chi guarda all’accettazione di sé, abbraccia il mondo con spirito acritico.

Si tratta di dar conferme allo spettatore, dicendogli: ‘Tu esisti!’- ha spiegato Koons- Quando ti muovi, si muove. Il riflesso cambia. Se non ti muovi non succede niente. Tutto dipende da te, lo spettatore”.

L’antico edificio che la ospita, come tutti quelli che le passano accanto, finiscono transitoriamente stampati, sulla sua superficie perfetta. Distorce quel che le sta intorno come gli specchi dei luna park eppure non fa distinzioni di sorta. Quasi presa da una smania di democratizzazione del creato, molto americana

Tuttavia “Balloon Monkey (Blue)” non è per nulla imperturbabile. Anzi è d’umore molto ballerino, dato che cambia a seconda delle ore del giorno e delle condizioni del tempo. La luce è la sua più grande alleata ma sa diventare un’acerrima nemica. Tanto che è stato necessario installare una tenda in cima al cortile per domare i raggi del sole più insistenti. E come una vera scimmietta ha bisogno di cure: viene fatta una valutazione quotidiana del suo aspetto per decidere con che frequenza pulirla. Secondo un manuale di linee guida fornito dall’artista in persona.

Non a caso Jeff Koons è famoso per la precisione maniacale quando ci sono di mezzo le sue sculture. Curate in ogni minimo dettaglio. Che non realizza fisicamente ma segue in ogni momento. Oltre ad idearle. D’altra parte il processo di produzione è molto costoso, ricercatissimo e affatto semplice. Per completare “Balloon Monkey (Blue)”, ad esempio, ci sono voluti sette anni.

particolare dell’opera foto: ©artbooms

L’opera, parte di un gruppo di cinque esemplari unici che si differenziano per il colore (rosso, giallo, arancione, magenta, oltre al blu), è strettamente imparentata con la serie “Celebration” creata per il figlio, anche se l’artista la inserisce in un ciclo a se stante (intitolato appunto,“Balloon Monkey”).

Dietro a queste gigantesche sculture in acciaio inossidabile lucide e coloratissime- ha scritto il direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e curatore della mostra, Arturo Galasino, a proposito di Celebration- sta un mondo condiviso, fatto di esperienze gioiose, tipiche della società consumistica occidentale, legate al mondo dell’infanzia e della famiglia, mitizzato e reso simbolico come un quotidiano paradiso perduto”.

Le “Balloon Monkey” poi sono davvero monumentali. La scimmia, rappresentata seduta in una posa attenta, è un soggetto ambiguo che assume significati negativi o positivi a seconda della cultura di chi la osserva, ma che può essere simbolo di fervore creativo. Un alter ego dell’artista, insomma, che Koons tratteggia con poche semplici forme fino a sfiorare l’astrazione.

Balloon Monkey (Blue)” di Jeff Koons resterà nel cortile del museo a portata di sguardo e selfie per tutta la durata della mostra “Jeff Koons Shine. E nulla vieta di osservarla con le cuffie alle orecchie dato che la Fondazione Palazzo Strozzi per celebrare l’esposizione ha ideato “I’m a Koons fan”. Quattro playlist (ispirate alle serie Luxury and Degradation, Celebration, Hulk Elvis e Gazing Ball) che verranno pubblicate ogni mese sul profilo Spotify di Palazzo Strozzi (dagli anni ’80 di Price in Gold, Blue Monday '88 dei New Order o Splendido Spelendente di Donatella Rettore, fino alle recenti Art Pop di Lady Gaga e Million Dollar Man di Lana del Rey). Anche loro ascoltabili gratuitamente.

Per leggere “Ritratto abbozzato (e non autorizzato) di una star a Palazzo Strozzi” clicca qui. Per altre notizie sulla mostra e su Jeff Koons continua a seguire Artbooms.

Galasino e Koons parlano di fronte a “Baloon Monkey (Blue)” (2006-2013), nel cortile di Palazzo Strozzi. foto: ©artbooms

Jeff Koons, Balloon Monkey (Blue), 2006-2013. Mirror-polished stainless steel with transparent color; coating; 150 126 x 235 inches, 381 x 596.9 x 320 cm. One of five unique versions. Courtesy Private collection. © Jeff Koons, Photo: Prudence Cuming Associates Courtyard

MSCHF ha venduto per 250 dollari un'opera di Andy Warhol pagata 20mila

Il collettivo di artisti e designers newyorkesi MSCHF ha messo in vendita “Fairies”, un disegno di Andy Warhol, pagnato 20 mila dollari solo poco tempo fa, per 250. L’hanno nascosto in mezzo a 999 copie identiche. E la provocatoria performance, intitolata, “Museum of Forgeries”, ha avuto un gran successo. Ogni pezzo (vero o falso che fosse) è stato venduto. Anche se nessuno saprà mai di possedere l’originale.

L’idea del collettivo era quella di denunciare i meccanismi che stanno alla base del mercato dell’Arte e mettere in dubbio il concetto di autenticità. Per farlo, prima di tutto sono andati nella galleria di Los Angeles specializzata in Pop Art, Hamilton-Selway Fine Art, e si sono comperati un lavoro di Warhol. Un piccolo disgno a inchiostro, un bozzetto completato dall’iconico artista statunitense nel ‘54, che rappresenta tre fatine stilizzate intente a saltare la corda. L’hanno pagato 20mila dollari. Un buon prezzo visto l’autore.

Poi hanno progettato e costruito un robot in grando di copiare con precisione millimetrica “Fairies”. Hanno invecchiato i fogli di carta. Creato 999 falsi. E mischiato l’originale in mezzo ad essi.

Infine hanno messo in vendita i mille pezzi per 250 dollari l’uno.

Tutti si chiamano "Possibly Real Copy Of 'Fairies' by Andy Warhol" (“Possibile vera copia di Fairies di Andy Warhol”) ,sono firmati e autenticati da MSCHF. Anzi hanno ben due certificati di autenticità: uno per Fairies di Andy Warhol e un altro per “Possibly Real Copy of ‘Fairies’ by Andy Warhol” di MSCHF, ma rilasciati entrambi dal collettivo stesso.

"Distruggendo ogni futura fiducia nella veridicità dell'opera- hanno dichiarato MSCHF- seppellendo un ago in una pila di aghi, rendiamo l'originale un falso tanto quanto qualsiasi nostra replica.'

Ogni acquirente ha avuto lo 0,1% di possibilità di ottenere l’opera originale di Warhol. Tuttavia anche il fortunato compratore, senza il certificato di autenticità della Warhol Foundation e senza essere in grado di distinguere il vero dal falso, è nella stessa condizione degli altri.

Il sito creato dal collettivo per promuovere il progetto “Museum of Forgeries” e vendere le opere, annuncia che non ci sono più pezzi disponibili. Quindi MSCHF si è messo in tasca circa 250mila dollari. E qualcuno si è portato a casa un disegno di Andy Warhol senza saperlo.

il robot costruito dal collettivo per riprodurre il bozzetto di Warhol

Possibly Real Copy Of 'Fairies' by Andy Warhol

Diverse copie dell’opera di MSCHF

A.R. Penck il precursore della Street-Art che veniva dalla DDR, amato da Haring e Baquiat

The Battlefield (Il campo di battaglia), 1989, acrilico su tela, 340 x 1022 cm © 2021, ProLitteris, Zurich

A guardare alcune sue opere sembra di vedere il lavoro di Keith Haring oppure quello di Jean-Michel Basquiat. Non a caso entrambi lo ammiravano. Il pittore tedesco A.R. Penck (1939-2017), al secolo Ralf Winkler, cresciuto nella Dresda comunista è una figura atipica. Un uomo contorto e talmente ostinato da farsi espellere dalla Ddr (dopo essere stato a lungo controllato dalla Stasi) e celebrare dall’Occidente.

Coltivava il suo personalissimo sogno di libertà sulla tela ma a lasciare la Germania dell’Est non ci pensava proprio. Anzi, all’inizio era un convinto comunista. Certo il mondo oltre la cortina di ferro a un certo punto aveva cominciato a lusingarlo (conosce Harald Szeemann, partecipa per la prima volta a Documenta; espone in Svizzera, Paesi Bassi e Canada), mentre il suo lo ammoniva e lo controllava. Fino a ordinargli di andarsene entro la mezzanotte del giorno stesso.

Così nel 1980 varcherà il confine a piedi, (perchè era tardi e non c’erano più treni) e vivrà a più riprese in vari Paesi dell’Occidente democratico (non tornerà più indietro e si spegnerà a Zurigo). I suoi colori si faranno più squillanti, il suo universo di segni ancora più stratificato e complesso . E lui diventerà famoso (parteciperà ancora a Documenta di Kassel, la Biennale di Venezia gli dedicherà una personale e creerà persino una BMW Art Car).

A.R. Penck, pur affidandosi alla pittura ed alla scultura, sarà un precursore della street-art e del graffitismo. creerà un alfabeto potente e compleso di forme tanto essenziali quanto brutali. Tra animali feroci, mostri, simboli e omini primordiali.

" La sua pittura monumentale si riallaccia sia al genere storico, specchio degli eventi contemporanei, sia alla pittura simbolica, a cui dà voce attraverso un intero bestiario di figure totemiche o animali arcaici. Fino alla sua produzione della maturità, A.R. Penck persegue l’idea di un’immagine visionaria capace di rappresentare in un’unica prospettiva la coralità del mondo".

Così descrive l’opera di A.R. Penck il Museo d’arte di Mendrisio (Canton Ticino), che gli dedica una grande retrospettiva, intitolata semplicemente “A.R. Penck” (curata da Simone Soldini, Ulf Jensen e Barbara Paltenghi Malacrida. In corso fino al 1 gennaio 2022) che intende ripercorrere le principali tappe del suo percorso creativo attraverso più di 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, feltro e cartone, oltre una cinquantina di opere su carta e libri d’artista. La prima in un area di lingua italiana.

How it works (Come funziona), 1989, acrilico su tela, 340 x 340 cm © 2021, ProLitteris, Zurich

Situation ganz ohne Schwarz (Situazione del tutto priva di nero), 2001, acrilico su tela, 200 x 300 cm Galeria Fernando Santos, Porto (Portugal) © 2021, ProLitteris, Zurich

Cosmic Blues, 1981, olio su tela, 95 x 90 cm © 2021, ProLitteris, Zurich

Standart, 1969, colori a dispersione su tela, 127.5 x 98.5 cm © 2021, ProLitteris, Zurich