L’universo esoterico di Paulina Olowska, a cui piacciono le cose polverose e i vecchi neon sovietici:

Paulina Olowska, The Revenge of the Wise Woman, 2011 oil on canvas, 200x220cm Private collection

Quello di Paulina Olowska è un universo caleidoscopico, nostalgico ed allegro. Vagamente esoterico. Dove l’artista dissemina le opere del presente con scampoli di passato; si appropria della pubblicità per metterla al servizio dell’arte; cita la moda; introduce un approccio femminista all’interno di un’ottica prettamente maschile. Perché lei è così, le piace giocare di punti di vista, rovesciare le prospettive e poi raddrizzarle.

Ma tutto è cominciato con le insegne al neon di Varsavia nei primi anni 2000. Oscurate e inutilizzate, in una capitale polacca che accusava ancora i postumi della fine di un’Era. La ‘neonizzazione’ della città, infatti, era stata pianificata a livello centrale tra gli anni ’50 e il decennio successivo, per ridare animo alla popolazione stremata. E le insegne luminose erano fiorite ovunque: bar, ristoranti, negozi, persino le facciate delle scuole avevano il loro bravo neon. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, insieme agli altri simboli del Socialismo, i neon non interessavano più a nessuno.

Ma Olowska non se ne faceva una ragione.

(…) Nel 2001 sono tornato in Polonia- ha detto in un’intervista- mi interessava esplorare la nostalgia dell'architettura post-sovietica e il sentimento post-sovietico all'interno della società. Per molte ragioni politiche gran parte di ciò veniva respinto (…) Uno dei miei obiettivi era quello di sensibilizzare l'opinione pubblica su specifici design di luci al neon e su alcuni aspetti della moda che esistevano, e anche portare l'attenzione sulla comunità del lavoro collaborativo che era molto più presente negli anni '60 e '70. (…) Attraverso il mio lavoro, cerco di affrontare le cose che a volte ignoriamo perché il mondo ‘sta andando avanti’.”

Così ha prima fondato un’associazione (“Beautiful Neons”) per negoziare la sopravvivenza di ogni insegna luminosa minacciata e poi ha cominciato a inserirle nelle sue opere. Lo fa ancora adesso. Ma i neon non sono i soli oggetti passati di moda a interessarle. In generale, si tratta di forme di modernismo utopiche (come il cabaret polacco, il Bauhaus, l’avanguardia russa, persino l’Esperanto) ma non soltanto. Le interessa tutto ciò che stà diventando polveroso. In “Naughty Nymphs” presentata all’Art Institute di Chicago nel 2022, ad esempio, mette in scena una performance ispirata allo stile soft porn di VIVA, una rivista per adulti destinata alle donne, che veniva pubblicata negli Stati Uniti durante gli anni ‘70.

Questa performance (interpretata dalla cantante Pat Dudek), Olowska, la presenterà anche giovedì 2 novembre a Torino in occasione dell’inaugurazione di “Visual Persuasion” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Ispirato tra l’altro dalla pittrice e autrice di immagini al confine tra erotismo e pornografia, scomparsa nel ‘78, Maja Berezowska (un altro pallino di Olowska: ridare lustro ad autori che si vanno dimenticando), il progetto, oltre a mettere in fila lavori esistenti e nuove produzioni dell’artista polacca la vedrà anche in veste di curatrice.

Si tratterà della più ampia rassegna mai dedicata a Paulina Olowska da una istituzione italiana e ruba il titolo a un libro pubblicato nel ‘61 dall’austriaco Stephen Baker. In quest’ultimo, Baker, parlava dei media e di come la comunicazione visiva possa agire sul subconscio (come si persuade qualcuno a fare qualcosa senza che se ne accorga? Come si genera desiderio?). Inutile dire che Olowska ha usato il testo di Baker come terreno fertile, su cui è germinata e cresciuta l’intera esposizione. E visto che dal desiderio inconscio (seppur di tipo commerciale) alla figura femminile come stereotipo, oggetto e soggetto della seduzione, il passo è breve, Olowska, si gioca questa carta senza pensarci due volte. D’altra parte, più spesso i protagonisti dei suoi dipinti sono donne.

Nata a Danzica nel ’76, Paulina Olowska, utilizza diverse tecniche espressive (come pittura, collage, installazione, performance, moda e musica). Figlia di uno scrittore di discorsi per il movimento Solidarność (e per il leader Lech Walesa) rifugiatosi negli Stati Uniti, Olowaska, da bambina ha vissuto a Chicago un anno soltanto (poi il matrimonio dei genitori è finito e lei è tornata in Polonia). Sarà di nuovo a Chicago, tra il ’95 e il ’96 per studiare alla School of the Art Institute of Chicago, mentre tra il ’97 e il 2000 approfondirà pittura e stampa all’Accademia di Danzica. Di lì in poi viaggerà parecchio e il suo lavoro si guadagnerà in fretta un posto nella ribalta internazionale. Oggi ha opere conservate al Centre Pompidou di Parigi, al MoMA di New York e alla Tate Modern di Londra, oltre ad aver vinto premi ed esposto in mostre importanti (ad esempio, la Biennale di Venezia).

Olowska affianca da tempo la pratica curatoriale a quella artistica. A Torino, infatti, ci sarà anche una selezione curata dall’artista polacca di opere dalla collezione Sandretto Re Rebaudengo che comprenderà lavori di: Tauba Auberbach, Vanessa Beecroft, Berlinde De Bruyckere, Trisha Donnelly, Peter Fischli and David Weiss, Sylvie Fleury, Nan Goldin, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Thomas Hirschhorn, Piotr Janas, Elena Kovylina, Barbara Kruger, Sherrie Levine, Sarah Lucas, Tracey Moffatt, Catherine Opie, Diego Perrone, Charles Ray, Cindy Sherman, Simon Starling e Richard Wentworth. Ma ce ne saranno anche di recuperati altrimenti da Olowska (oltre a opere delle già citate Berezowska e Dudek compaiono anche i nomi di Walerian Borowczyk, Irini Karayannopoulou, Sylvere Lotringer e Julie Verhoeven).

Tuttavia la protagonista sarà lei. E viene da se che non mancheranno certo i neon.

La mostra “Visual Persuasion” di Paulina Olowska rimarrà alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino fino al 25 febbraio 2024.

Paulina Olowska, Seductress, 2020 oil on canvas, 170x110cm Christen Sveaas Art Collection

Paulina Olowska, The Thychy Plant, 2013 oil and collage on canvas, 220x200cm  Collection of Contemporary Art

Paulina Olowska, Weeds, 2017 oil on canvas, 110x78x2,5cm Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Paulina Olowska, Spider Painters, 2020 gouache, oil printed transparency film and embroidery on canvas, 160x140cm Courtesy of the artist and Pace Gallery

Paulina Olowska, Loveress, 2020 oil on canvas, 160x110cm Collection Philippe Dutilleul-Francoeur

Perché festeggiare l’incoronazione di Re Carlo III guardando le opere degli Young British Artists

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

A volte per affrontare il futuro è necessario guardare al passato. E forse, per festeggiare in Italia l’incoronazione di Re Carlo III (avvenuta sabato), una buona idea potrebbe essere quella riguardare i cattivi ragazzi dell’arte contemporanea britannica degli anni ’90. Nella mostra “Reaching for the stars”, che celebra il trentennale della Fondazione Re Rebaudengo di Torino con una sontuosa selezione di opere esposte a Palazzo Strozzi di Firenze, ce ne sono ben cinque (o meglio quattro più uno): Anish Kapoor (Turner Prize del ’91, ha fatto una importante mostra pochi anni fa alla Royal Academy of Arts di Londra fondata da Re Giorgio III nel 1768), Sarah Lucas, Glenn Brown, Cerith Wyn Evans. E naturalmente Damien Hirst che, tra le altre cose, ha realizzato un ritratto della Regina Elisabetta II (conservato alla Government Art Collection, è uno dei suoi pochi ritratti, si intitola “Beautiful Portrait, The Queen”).

Potrebbe essere una buona idea, perché l’ormai Re Carlo III, che oltre ad avere un Bachelor of Arts, è un pittore paesaggista dilettante (non vende mai gli originali, ma da molti anni raccoglie denaro per la sua fondazione di beneficenza con delle stampe firmate in edizione limitata, ad un prezzo che, tempo fa, arriva fino a 15mila sterline; si stima che ne abbia vendute per diversi milioni). Ma soprattutto perché la parabola degli Young British Artists, a tratti e in qualche misura, si intreccia a quella della monarchia britannica. Non a caso, molti di loro sono poi diventati accademici reali (cioè membri a vita della Royal Academy of Arts) .

Una delle tappe fondamentali nella consacrazione degli YBAs (Young British Artists), anche se la loro prima esposizione è dell’88, sarà la mostra “Sensation”, alla Royal Accademy of Arts, del ’97 (lo stesso in cui morì Lady Diana). Ma i parallelismi, tutti per fortuna meno drammatici, sono molti di più, visto che gli YBAs sono diventati famosi a tutti i livelli (dal circuito dell’arte, alla televisione, fino ai pubs ed alle strade) proprio mentre il futuro Re e la monarchia affrontavano una serie di vicissitudini ormai passate alla Storia. E dopo gli scossoni è venuto il tempo della stabilizzazione sia per la famiglia reale che per il manipolo di artisti di rottura capitanati da Damien Hirst.

Reaching for the stars” ha una sezione a loro dedicata (si intitola “Good Save the Queen, visto che le opere in mostra sono tutte precedenti alla morte della sovrana), che ha il pregio di condensare, almeno in parte, il fermento della scena artistica inglese di quegli anni. D’altra parte la passione per il collezionismo di Patrizia Sandretto Rerebaudengo (creatrice e presidente dell’omonima fondazione) nasce proprio a Londra negli anni ’90.

Sarah Lucas (Londra, UK, 1962, dove vive e lavora) Nice Tits, 2011 collant, lanugine, rete metallica, cemento; cm 208 x 160 x 60 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Tra loro Sarah Lucas, che ha rappresentato la Gran Bretagna alla 56a Biennale di Venezia. Adesso vive nella pacifica campagna inglese, ma agli esordi della carriera era una figura trasgressiva dalla vita tumultuosa e la sbronza facile. Amica di Damien Hirst, per cui tutt’oggi spende parole di elogio, ha un lavoro focalizzato sugli stereotipi di genere e la loro sovversione. Decisamente femminista, accosta momenti della scultura tradizionale ad elementi apparentemente fuori contesto e provocatori. Alcune sue opere sono conservate alla National Portrait Gallery di Londra, dove l’anno di ognuna è accostato agli eventi più salienti nazionali ed internazionali, comprese le vicende della Royal Family.

Glenn Brown (Hexham, UK, 1966, vive e lavora a Londra) Ariane 5, 1997 olio su tela, montato su cartone; cm 91 x 72 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Maurizio Elia

Glenn Brown, nominato Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico (CBE) per il suo servizio nelle arti, in occasione del compleanno della Regina Elisabetta II del 2019, è un pittore virtuoso e geniale. Le sue opere, a volte inquietanti spesso macabre, sono rielaborazioni di famosi dipinti degli antichi maestri. Lui, infatti, le riproduce in maniera maniacale, attraverso un controllo del gesto pittorico che ha dell’incredibile. Oggi, con l’aiuto di photoshop, tra le altre cose è riuscito a trasformare in scultura delle tele di Baselitz a cui ha poi applicato i colori delle ballerine di Degas (i risultati, dopo vari e sottili rimaneggiamenti, cambiano il registro delle immagini al punto di farle scivolare nel macabro). In mostra a Firenze però c’è un lavoro precedente: “Ariane 5”, del ’97. Qui Brown, si ispira alla tela del 1875 in cui il pittore romantico ungherese, Bertalan Székely, ritrae il figlioletto Armin morto prematuramente. Brown, pur nella paziente riproduzione di ogni singola pennellata di Székely, modifica il dipinto (è alla rovescia, il tono è freddo, le sopracciglia e lo sguardo del bimbo sono diversi) rendendolo non macabro, questa volta, ma inquietante.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Sull’indiano-britannico, Anish Kapoor, c’è poco da aggiungere se non che ha progettato il memoriale per lady Diana al centro del Serpentine Lake in Kensington Gardens. A Palazzo Strozzi c’è un’opera di una delle sue serie più famose (“1000 Names”). Kapoor, ispirato da un viaggio in India in cui vede l’Holi, la festa primaverile dei colori, applica pigmenti dai colori primari vivi e intensissimi (qui il rosso) su forme astratte, posizionate in maniera apparentemente instabile nello spazio, per generare riflessioni su temi diversi spesso universali.

Cerith Wyn Evans (Llanelli, UK, 1958, vive e lavora a Londra) In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni, 1999 neon, plexiglass; cm 13 x 142 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Photo: Andrea Rossetti

Di Cerith Wyn Evans, alla National Portrait Gallery, c’è un ritratto (gliel’ha fatto il fotografo Johnnie Shand Kydd) scattato quando l’allora principe Carlo e Lady Diana finalizzarono il loro divorzio. D’altra parte Wyn Evans, diverso dagli altri sia nello stile di vita che nel lavoro, non è uno YBAs. E’ comunque anche lui in mostra a Firenze (il Pirelli Hangar Bicocca gli ha dedicato un’importante personale nel 2019) dove presenta uno dei suoi neon circolari con scritti dei palindromi (frasi che si possono leggere sia in un senso che nell’altro). E’ un opera concettuale, che si guarda dal basso girandogli attorno, che apre varie riflessioni non ultima quella sulla passione per l’arte.

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great, 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

E poi c’è Damien Hirst.

Il controverso e famosissimo artista inglese (recentemente è stato al centro di un fatto di cronaca e ha presentato una nuova serie di Nft), alla fine di aprile, ad un passo dal coronation day, ha installato “Demon with Bowl” la più grande opera della serie “Treasures from the wreck of the unbelievable” sul percorso panoramico londinese The Tide, qui è presente con due opere del suo periodo d’oro. C’è, infatti, un bel dipinto delle serie Butterfly (“Love is Great” del ’94) in cui le fragili ali delle farfalle (vere) mentre a noi sembrano volteggiare, sono inesorabilmente imprigionate dalla vischiosa vernice azzurra che ricopre la tela. Meno cinica ma sempre venata di humor nerissimo anche la scultura “The Acquired Inbility to Escape, Inverted and Divided” (“L’acquisita incapacità di scappare, invertita e divisa”) del ’93. Qui un grande titolo ci introduce ad una gabbia di spesso vetro e barre d’acciaio, al soffitto una scrivania e una sedia per ufficio (la visione è, appunto, invertita) sul tavolo c’è anche un posacenere pieno di mozziconi e un pacchetto di sigarette. Anche tra la seggiola e la scrivania c’è poco spazio, l’atmosfera nell’ufficietto non è proprio ridente, insomma. Le sigarette, poi, tornano spesso nel lavoro di Hirst, che intervistato sull’argomento ha detto che il sono una parabola della vita (il pacchetto la nascita, i mozziconi nel posacenere la morte.

Reaching for the stars”, curata da Arturo Galasino, rimarrà a Palazzo Strozzi di Firenze fino al 18 giugno 2023. E va vista (almeno il primo capitolo), rigorosamente canticchiando “God save the King”.

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Damien Hirst (Bristol, UK, 1965, vive e lavora a Londra e nel Devon) Love Is Great (particolare), 1994 vernice brillante e farfalle su tela; cm 213 x 213 Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ©Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved SIAE

Reaching for the stars, Palazzo Strozzi, Firenze, 2023. Installation view. photo: Ela Bialkowska OKNO Studio

Reaching for the Stars| Dopo un anno record Palazzo Strozzi celebrerà a Firenze i 30 anni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Yiadom Boayke Lynette, Switcher (1)

Con oltre 330mila visitatori Palazzo Strozzi ha chiuso il 2022 con numeri più che positivi. In netta crescita. Quasi impensabili per uno spazio espositivo che propone per lo più arte contemporanea, a Firenze. La città del Rinascimento e delle Gallerie degli Uffizi. Per il 2023 ha già annunciato “Reaching for the Stars”, una piccola (si fa per dire) perla, che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino) fuorisede.

D’altra parte Palazzo Strozzi aveva già collaborato con il Castello di Rivoli, un altro importante museo torinese, in occasione della mostra “Nel tuo tempo” di Olafur Eliasson, svoltasi in contemporanea alla presentazione di un’installazione site specific del danese-islandese nelle Langhe.

L’esposizione di Olafur, ancora in corso (solo fino a domenica, però), ha senza dubbio contribuito al numero di visitatori raggiunto dal museo nell’anno appena passato, perchè i dati a disposizione nel momento in cui viene redatto questo articolo, benchè parziali, sono decisamente molto positivi. Inoltre, la mostra, snella ma visivamente e concettualmente ricca, ripaga il visitatore con installazioni che lo rendono protagonista di un’esperienza a prova di selfie, tra luci, colori e inganni percettivi.

Tuttavia, il totale è frutto di un’infilata di successi: la coda della personale, “Shine”, iniziata nel 2021 e dedicata al famosissimo Jeff Koons; ma soprattutto la parentesi quattrocentesca dell’estate con “Donatello, il Rinascimento” (che si è aggiudicata l'Apollo Award, come migliore mostra dell'anno a livello internazionale!). Senza dimenticare “Let’s Get Digital!”, nata più che altro per coprire gli spazi lasciati liberi da Donatello, offrendo contemporaneamente un bonus ad un pubblico curioso, e rivelatasi al di sopra delle aspettative di gradimento.

Una volta conclusa “Nel tuo tempo” di Olafuar Eliasson, Palazzo Strozzi si prenderà circa un mese di pausa, per ritornare il 4 marzo 2023 con "Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye" (e proseguirà poi, fino al 18 giugno 2023). Curata da Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, l’esposizione, si propone di esplorare le principali tendenze artistiche degli ultimi 40 anni. E di farlo attraverso una selezione di opere di proprietà della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di cui contemporaneamente celebrerà il trentennale. Tra gli artisti, i cui lavori tracceranno lo scenario, vanno citati: Maurizio Cattelan, Sarah Lucas, Damien Hirst, Lara Favaretto, Cindy Sherman, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Josh Kline, Lynette Yiadom-Boakye, Rudolf Stingel.

Piittura, scultura, installazione, fotografia, video e performance, saranno poste (com'è consuetudine di Palazzo Strozzi) a dialogare con l'edificio quattrocentesco sede dell'esposizione. Per "Reaching for the Stars", inoltre, le sale a disposizione saranno completamente occupate, dal Piano Nobile alla Strozzina (cioè i sotterranei). E verrà inaugurata una installazione site specific per il cortile rinascimentale (anche qui, come da copione dello spazio espositivo fiorentino).

In attesa di "Reaching for the Stars", non va però dimenticata “Nel tuo tempo” di Olafur Eliasson. La più grande mostra mai dedicata in Italia al famoso artista danese-islandese che sarà il cuore pulsante di Palazzo Strozzi fino al 22 gennaio 2023. E che, tra l’altro, presenta l’installazione site specific “Under the Weather” giocata sull’effetto moiré e aperta anche ai visitatori non paganti.

Cattelan Maurizio, La rvoluzione siamo noi

Lucas Sarah, Nice Tits

Favaretto Lara, Gummo V