"America" di Cattelan che va a una catena di musei delle bizzarrie per 12 milioni e tutti i record delle aste di novembre

Lo scorso martedì “Ritratto di Elisabeth Lederer” di Gustav Klimt è diventato il secondo dipinto più costoso mai venduto all’asta, capace di oscurare con i suoi 236,4 milioni di dollari ogni precedente quotazione dell’artista austriaco. Più o meno nelle stesse ore “America”, il water d’oro di Maurizio Cattelan, entrava a far parte della collezione del popolare marchio americano di intrattenimento per famiglie “Ripley's Believe It or Not!” per 12,1 milioni di dollari. Ma ci sono stati altri momenti memorabili come gli oltre 9 milioni raggiunti da “High Society” della pittrice britannica Cecily Brown nel corso di una gara di offerte combattutissima da Sotheby’s. Giovedì infine è stato un autoritratto di Frida Kahlo a raggiungere i 55 milioni e a segnare un record per la surrealista messicana.

C’era molta attesa per questo appuntamento nella nuova sede newyorkese di Sotheby’s dopo un periodo di contrazione del mercato dell’arte (il 12 percento lo scorso anno, secondo l'ultimo rapporto sul collezionismo globale condotto da Art Basel e UBS) e i risultati sono stati positivi: la sera le aste hanno fruttato 706 milioni di dollari in totale, il doppio dello scorso anno. “Ritratto di Elisabeth Lederer” è stato la star ma, complice una carrellata di capolavori, altre opere hanno raggiunto quotazioni ragguardevoli. Le aste serali (quelle in cui vengono messe in vendita quelle più desiderate e costose) sia di moderno che contemporaneo sono state per lo più un successo e gli appuntamenti pomeridiani hanno tenuto il punto. Qualche lotto è rimasto invenduto, certo, e qualche pezzo stimato nell’ordine dei milioni di dollari ha deluso le aspettative ma quasi sempre le opere di qualità sono state accolte con entusiasmo e senza badare troppo al portafoglio.

Frida Kahlo, El sueño (La cama), 1940. Ha raggiunto il record di 55 milioni di dollari Image: Sotheby's

I record di “Il sogno (Il letto)” e “Ritratto di Elisabeth Lederer”:

Proveniente dalla collezione del miliardario filantropo e collezionista d’arte, Leonard A. Lauder, erede insieme al fratello Ronald (che gli sopravvive) della fortuna accumulata con il marchio cosmetico Estée Lauder e scomparso lo scorso giugno a 91 anni, “Ritratto di Elisabeth Lederer” era stimato circa 150 milioni.

Varie testimonianza raccontano che il signor Lauder tenesse il dipinto nella cucina del suo appartamento sulla Fifth Avenue con il tavolo accanto per poter mangiare guardandolo; rappresenta una bella ragazza ventenne vestita in maniera stravagante eppure raffinata, con le guance rosee, il colorito pallido e lo sguardo fieramente rivolto verso lo spettatore. La giovane ritratta da Klimt era appunto Elisabeth Lederer, figlia dell’industriale ebreo August Lederer e della moglie Serena, entrambi i genitori erano mecenati del pittore viennese. Un particolare che salvò la vita alla ragazza e le permise di rimanere in Austria durante gli anni bui del regime nazista. Elisabeth, infatti, con la complicità della madre e un pezzo di carta firmato dall'artista, si finse sua figlia illegittima (quindi non ebrea). Prima di ottenere quel documento però, il ritratto insieme ad altre opere di proprietà dei Lederer venne sequestrato dai soldati e rischiò di andare perduto in un incendio. Alla fine della guerra venne restituito allo zio di Elisabeth che lo conservò fino a quando decise di venderlo a Lauder.

Si ritiene che “Ritratto di Elisabeth Lederer” sia uno dei due soli ritratti di Klimt a rimanere in mani private ed è a tutti gli effetti un capolavoro. Ma non è stato solo questo a fargli superare la massima quotazione mai raggiunta dal simbolista morto alla fine della prima guerra mondiale e a farne la seconda opera più pagata di sempre (prima di lui solo “Salvator Mundi” di Leonardo da Vinci che è andato in Arabia Saudita nel 2017 per 450,3 milioni di dollari). Altri fattori fondamentali sono stati la provenienza specchiata, l’esiguo numero di mani in cui è passato, la stima di cui godeva lo scomparso Lauder ma soprattutto un particolare raro per le opere appartenute a collezionisti ebrei in quegli anni: non si porta dietro né il rischio di costose e incerte cause legali né l’onta di una storia ambigua. In quel periodo, infatti, anche quando non venivano confiscati, non era raro che i dipinti venissero venduti a prezzi irrisori per racimolare il denaro necessario a fuggire negli Stati Uniti.

Tutte le opere di Klimt andate all’asta a inizio settimana hanno raggiunto buoni risultati. Tra loro uno splendido paesaggio del 1908 (sempre appartenuto a Leonard A. Lauder) è arrivato a 86 milioni.

Gustav Klimt, Blumenwiese (Blooming Meadow) circa 1908. Anche questo dipinto di Klimt appartenuto a Lauder è arrivato ad 86 milioni.

Il discorso per “El sueño (La cama)” (“Il sogno (Il letto)” dipinto da Frida Kahlo nel 1940 è leggermente più complesso. Infatti, nonostante abbia fatto toccare all’artista scomparsa nel ’54 il suo record d’asta (il precedente per “Diego and I” del ’49 era di 34,9 milioni) e si sia attestato come lavoro di una latinoamericana più pagato di sempre, si è comunque fermato intorno alla media della forbice di stima.

Il fatto che la tribolata esistenza di Frida Kahlo sia entrata a far parte della cultura pop già fa capire quanto una sua opera possa essere desiderabile per un collezionista e il numero limitatissimo di pezzi sul mercato ha cooperato a rafforzare l’attesa intorno al dipinto venduto giovedì scorso. In Messico i quadri di Kahlo sono considerati patrimonio nazionale dal ’84 e non possono essere venduti né esportati; “Il sogno (Il letto)”, che dall’80 era nelle mani del produttore discografico turco-statunitense Nesuhi Ertegun (Atlantic Records), era uno dei pochi commercializzati prima che queste restrizioni entrassero in vigore (si dice che l’abbia comprato per soli 51 mila dollari ma in merito non esistono certezze).

Ci si sarebbe anche potuti aspettare quindi che l’opera arrivasse a una cifra ancora maggiore. Una persona informata però ha spiegato al New York Times: "Se una tela di queste dimensioni fosse stata riempita con un ritratto completo di Frida, ingrandito, la stima sarebbe stata probabilmente di 80-100 milioni di dollari, oltre. E credo che il mercato avrebbe risposto in un batter d'occhio". A conferma di questa dichiarazione va detto che l’asta per aggiudicarsi l’autoritratto è stata combattutissima.

 Maurizio Cattelan, America, 2016. Il wc in oro 18 carati è stato venduto per 12 milioni a “Ripley’s Belive it or not!” via Stheby’s

“America” di Maurizio Cattelan va da "Ripley's Belive It or Not" e "High Society" fa il botto:

Il traguardo raggiunto da “America”, il wc in oro zecchino che riproduce fedelmente la toilette del Guggenheim Museum di New York e cita apertamente l’iconico orinatoio di Marcel Duchamp, non è stato ugualmente entusiasmante. Stimato 10 milioni di dollari (la casa d’aste aveva deciso di stabilirne il valore solo in base al peso dell’oro necessario per realizzarlo), se n’è andato per lo stesso prezzo più commissioni per un totale di poco più di 12 milioni di dollari. I media hanno di fatti riferito di una certa delusione filtrata dopo l’evento.

Il signor Cattelan era l’unico artista italiano vivente presente con un’opera a questo importante appuntamento e resta uno dei pochi artisti-star nel mondo, tuttavia, insieme ad altri colleghi diventati famosi già qualche decennio fa, potrebbe scontare un leggero cambiamento del gusto e una minor propensione alla speculazione del mercato (l’abilità nel mestiere, la collocabilità dei pezzi e persino l’artigianalità sembrano oggi spesso prevalere sul colpo di genio). Ma “America” è una questione a sé stante.

Certo ha fatto il suo bravo show (con file di persone in strada che aspettavano di entrare per potersi fare un selfie vicino all’opulento wc) contribuendo a mantenere alto l’interesse intorno all’artista e al mercato dell’arte ma non è un capolavoro. La questione l’ha ben sintetizzata il consulente d’arte Tod Levin in un’intervista: "Il problema per me è che Cattelan usa materiali semplici e non raggiunge un obiettivo importante". Resta lontano insomma dalla complessità giocosa e provocatoria eppure fulmineamente comprensibile di “Him” (l’Hitler col corpo da bambino inginocchiato in preghiera) che stabilì il suo record di 17,2 milioni nel 2016.

Anche la collocazione dell’unica versione attualmente in circolazione di “America” (l’altra è stata rubata durante una mostra nel Regno Unito e probabilmente fusa) potrebbe non essere considerata delle migliori. Acquistata dal franchise americano di stranezze all’apparenza incredibili “Ripley's Believe It or Not!”, la scultura in oro probabilmente verrà esposta in uno dei loro musei (ne hanno moltissimi, un po’ in tutto il mondo, inclusi Europa e Regno Unito).

Cecily Brown, High Society, 1997-98. via Sotheby's

Il contemporaneo comunque in generale se l’è cavata bene con alcuni risultati degni di nota. È il caso dello splendido dipinto realizzato tra il ’97 e ’98 “High Society” della britannica Cecily Brown che alla fine di una lunga battaglia di offerte è stato portato a casa da un collezionista (di cui non è noto il nome), per 9 milioni e 800 mila: oltre 2 milioni più della stima massima e un record per la signora Brown.

A inizio settimana sono andati all’asta anche parecchi paesaggi di David Hockney: tutti, nessuno escluso, sono stati venduti per cifre al di sopra della loro valutazione massima.

Sorprendente, infine, il risultato di “Alvorada - Música Incidental Black Bird” del brasiliano quarantaduenne Antonio Obá: stimato da Sotheby’s tra i 100 e i 150mila dollari è arrivato a superare il milione.

Antonio Obá Alvorada, Música Incidental Black Bird via Stheby’s

Con “Seasons” Maurizio Cattelan si interroga sui corsi e ricorsi storici e reinventa i cari vecchi monumenti

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

Per quanto “Seasons” di Maurizio Cattelan, presentata come mostra diffusa dalla Gamec (Galleria di Arte Moderna e Contemporanea) di Bergamo che l’ha organizzata, non sia una vera e propria personale, è forse una delle esposizioni più belle dell’artista da un po’ tempo a questa parte. In cui, abbandonate le provocazioni, si concentra sulle stagioni della Storia legandole al mutare dei sentimenti umani attraverso le generazioni. Riuscendo ad accennare alla nascita delle nazioni ed alla caduta degli imperi, come a soffermarsi sulla tensione tra individuo e collettività, mentre è intento a rileggere (e in maniera radicale) i cari vecchi, talvolta discutibili, monumenti.

Seasons” si compone di cinque opere soltanto che conducono lo spettatore in giro per Bergamo. Dal Palazzo della Ragione alla Gamec, dall’Ex- Oratorio di San Lupo alla rotonda Dei Mille; da Bergamo alta a Bergamo bassa. Ma si tratta di una manciata di lavori di peso. Tutti recenti, se non recentissimi, e uno tra loro è un intervento site specific del signor Cattelan, realizzato appositamente per questo appuntamento (che non è nemmeno l’unico da segnalare visto che nel capoluogo c’è anche la performance della famosa danzatrice, coreografa e artista, argentina, Cecilia Bengolea; mentre in provincia sono previste diverse mostre).

Il format della mostra diffusa non è nuovo, fa bene al turismo e gli enti sono ben disposti a sostenerlo. Ma, in genere, nessuno mette in fila i capolavori di un artista record d’asta, tra l’altro poco tempo dopo che una sua opera abbia risollevato una stagione commerciale fiacca, suscitato interesse in tutto il mondo. Infatti, il sindaco della città, Elena Carnevali, ha detto: “Bergamo dimostra di saper abitare il presente internazionale”, anche se è probabile che in gran parte il merito di questa spettacolare mostra, che proietta effettivamente il comune lombardo sulle rotte artistiche internazionali, sia dello storico dell’arte e curatore, Lorenzo Giusti, attualmente al timone della Gamec (ha un curriculum piuttosto importante, che conta, tra le altre cose, collaborazioni con la Biennale di Venezia, Palazzo Strozzi di Firenze e la fiera Artbasel).

Maurizio Cattelan, nato a Padova nel 1960 da una famiglia economicamente svantaggiata (il padre faceva il camionista la madre pulizie), non ha studiato arte ma ha imposto la sua opera piuttosto in fretta sulla scena internazionale (ha detto:"fare mostre è stata la mia scuola"). E’ conosciuto per l’ironia dissacrante e il linguaggio immediato ed innovativo. All’inizio, anche profondamente provocatorio (nel’ 92, ad esempio, creò una fondazione allo scopo di raccogliere denaro per una borsa di studio che sarebbe dovuta andare ad un artista disposto a non realizzare o esporre opere per un anno; mise insieme 10mila dollari e li usò per fare una lunga vacanza a New York; città in cui più o meno da quel momento vive per gran parte dell’anno).

Nonostante abbia più volte dichiarato di non trarre ispirazione dall’attualità il suo lavoro fa immediatamente pensare al presente. Tanto che in una recente intervista ha affermato: “Sebbene tutte le mie opere non si ispirano mai al presente, almeno non in modo esplicito, alla fine arrivano tutte a raccontarlo, arrivano tutte lì. È inevitabile.” Il signor Cattelan ha anche saputo rinnovarsi costantemente nel corso della sua carriera pur rimanendo sempre fedele a se stesso. Ha anche dimostrato cautela e lungimiranza sia nell’affrontare il mercato che nel gestire la propria immagine pubblica. Di recente si è parlato molto di lui in tutto il mondo quando “Comedian(una banana attaccata con il nastro adesivo ad una parete e venduta con un libretto di istruzioni incredibilmente lungo e dettagliato per poterla replicare al deperimento del frutto) è stata battuta all’asta per oltre sei milioni di dollari. Pur non essendo certo la prima volta che le sue sculture superavano il milione (ad esempio “Him” venne acquistato per oltre 17 milioni non molti anni fa) il carattere essenziale di “Comedian” e il periodo difficile in cui versa il mercato dell’arte, hanno contribuito a fare dell’opera un’icona.

Quando gli è stato chiesto cosa gli passasse per la testa mentre da Sotheby’s abbassavano il martello lui ha risposto: “Uno dei miei più grandi rimpianti come artista è di non saper dipingere (…) Quindi attaccare quella banana al muro... è stato il mio modo di dire che questo è il mio dipinto”.

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

A Bergamo non c’è “Comedian” ma altri lavori che dall’apparente semplicità scivolano imprevedibilmente nella complessità concettuale. Ad esempio, “Empire” in cui un mattone, con incisa sopra appunto la parola ‘empire’, se ne sta imprigionato all’interno di una bottiglia di vetro: il cortocircuito tra i due materiali allude a costrizione e controllo, fragilità e solidità; mentre la forma fa pensare a messaggi attuali da epoche lontane e ad una riflessione sul concetto di limite e sulle idee di espansione e potere.

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

Pensieri che riecheggiano nell’aquila esanime in marmo bianco collocata in un altra sede. Quest’ultima ritratta con le ali spiegate e nell’atto di stringere qualcosa in una zampa ma stesa a terra con gli occhi chiusi, è, in sintesi, un simbolo di potere privo di vita ma anche una rilettura radicale di un certo tipo di scultura celebrativa. Un’opera poetica e malinconica in cui la caduta personale e collettiva sembrano l’unica, amara, conclusione possibile all’avidità. L’opera, che è pure possibile leggere in maniera ecologista (malgrado questo tema non sia mai stato caro al signor Cattelan), si intitola “Bones”, come la sua mostra personale conclusasi di recente nella sede londinese di Gagosian.

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

In quella mostra comparivano dei quadri placcati in oro e bucati da alcuni colpi di arma da fuoco, che l’artista aveva presentato per la prima volta lo scorso anno a New York (sempre da Gagosian ma in un’enorme versione multi-pannello trivellata di proiettili durante una performance aperta a pochi vip), proprio quando aveva esposto per la prima volta “November”. Quest’ultima è ora esposta a Bergamo. Si tratta di nuovo di una scultura in marmo bianco, anzi di una fontana monumentale, in cui un uomo sdraiato su una panchina, con una mano sugli occhi per continuare a dormire, fa pipì per terra. Omaggio all’amico e collaboratore storico dell’artista, Giorgio Zotti, è stata descritta dallo stesso signor Cattelan come “un monumento alla marginalità”, anche se intende più che altro essere una scultura commemorativa per un amico, ritratto in un modo inusuale (di nuovo rileggendo un genere artistico senza pietà per le convenzioni). Sottolineando la distanza che separa le persone dal ricordo che ci viene tramandato dall’arte.

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

No” (2021) interrompe momentaneamente queste considerazioni (non a caso è esposto in una sede diversa) per concentrarsi sull’immagine manipolatoria ed ingannevole del potere, oltre a spingerci a riflettere sulle sue forme di comunicazione e sulla censura. L’opera, infatti, è una reinterpretazione di “Him” (l’Hitler compunto e dall’aria angelica ideato nel 2001) che il signor Cattelan è stato indotto a creare in occasione di una personale a Pechino, dove gli era stato chiesto di non mostrare il volto del fuhrer. Così in “No” porta una busta di carta in testa, come un personaggio dei cartoni animati in cui gli spettatori possono proiettare ansie, o immaginarlo con le fattezze di qualcuno che conoscono.

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

L’installazione ideata da Maurizio Cattelan appositamente per “Seasons” è una scultura iperrealista policroma posta sulle spalle del monumento ottocentesco a Giuseppe Garibaldi. Si intitola “One” e rappresenta un bambino che con le dita finge di sparare in aria. La statua guarda di fronte a se con un’espressione risoluta e vagamente divertita, a differenza del gigantesco Garibaldi in bronzo su piedistallo che comunica ben poche emozioni. L’opera, descritta così dagli organizzatori dell’evento: “apre a una doppia prospettiva: pubblica e personale. Da un lato, è un intervento che stimola un confronto con il passato nazionale; dall’altro, racconta la relazione tra generazioni”. Mentre in un’intervista l’artista ha spiegato: “Giuseppe Garibaldi, oggi considerato eroe della patria, in passato è stato anche una figura temuta, un personaggio che incuteva timore. Mi affascinava indagare come il tempo cambia la percezione delle cose”. In qualche modo “One” è anche un monumento a tutti gli eroi senza nome e un’affermazione della latente contrapposizione tra individuo e collettività.

Qui però il signor Cattelan fa una cosa molto interessante: cambia completamente il significato di una scultura del passato. E in un periodo in cui lo spazio pubblico è stato messo sotto accusa passando per i propri monumenti (troppi uomini, troppo bianchi, alcuni dalla biografia discutibile per l’attuale sensibilità), l’idea potrebbe permettere di risolvere molti problemi.

Seasons” di Maurizio Cattelan resterà a Bergamo fino al 26 ottobre 2025.

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

GAMeC, Pensare come una montagna, Maurizio Cattelan. Seasons. Bergamo 2025. Photo: Lorenzo Palmieri

Una banana venduta da Sotheby’s per 6 milioni di dollari è come latte e miele per un mercato dell’arte malaticcio

Comedian di Maurizio Cattelan venduta per 6.2 milioni di dollari da Sotheby's a New York. Courtesy of Sotheby's.

Dalla pandemia il mercato dell’arte moderna e contemporanea ha subito una contrazione dopo anni di spensieratezza. Per questo la supposizione che, mercoledì notte (secondo l’orario italiano), la vendita di quella banana appiccicata col nastro adesivo alla parete della sede newyorkese di Sotherby’s fosse scontata, era una scommessa. O meglio alla vendita in sé di “Comedian”, l’opera prettamente concettuale più recente (2019) e discussa di Maurizio Cattelan, credeva la casa d’aste (che ha messo il lotto in evidenza già prima dell’evento), il pubblico, che ha riempito sia la sala reale dell’evento che quella virtuale (le persone commentavano con frasi come: “Siamo qui per quello delle banane!”) e in generale gli addetti ai lavori, ma rimaneva da vedere come. E alla fine, battuta a 5,2 milioni di dollari più commissioni, per un totale di 6.2 milioni di dollari, sestuplicando la stima più bassa (era valutata tra il milione e il milione e mezzo), l’opera, definita dal suo stesso acquirente “un fenomeno culturale che unisce il mondo dell'arte, dei meme e della comunità delle criptovalute" ha superato le aspettative.

Non ci credeva invece lo stesso sign. Cattelan, che ha dichiarato ad un quotidiano italiano di aver ricevuto l’offerta di ricomprare “Comedian” per 500 mila dollari. Era il 2019, appena una settimana dopo la presentazione dell’opera: “Ho detto di no. Ieri ho pensato: che stupido”.

C’è da dire che si trattava anche dell’unico lotto che accettava un pagamento in criptovalute (che dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane hanno registrato record su record) e che ad aggiudicarselo è stato proprio, Justin Sun, un imprenditore del settore, di origine cinese. Sun, che ha vinto contro altri sei offerenti in un duello serratissimo durato solo una manciata di minuti, raggiunto telefonicamente da un quotidiano statunitense ha previsto un aumento dell’acquisto di opere d’arte da parte di chi si occupa di criptovalute durante la presidenza di Donald Trump.

Ed Ruscha, “Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half,” 1964, venduto per 68.2 milioni di dollari. Ed Ruscha, via Christie's

Uno dei motivi per cui le aste di novembre da Sotheby’s e Christie's erano sotto stretta osservazione era proprio l’avvenuta elezione del sig. Trump. Si ritiene infatti che le sue politiche fiscali potrebbero avere un impatto positivo sul mercato dell’arte. Prima che le aste avessero luogo Abigail Asher, una consulente d'arte di New York ha detto a un gruppo di giornalisti che hanno firmato un approfondimento sull’argomento per un quotidiano statunitense: “Ora le persone stanno improvvisamente provando un senso di sicurezza. Aspettavano dopo le elezioni per premere il grilletto sui grandi dipinti". Altri esperti hanno invece fatto notare che, sebbene ci siano stati dei segnali positivi già dall’indomani delle elezioni, è ancora troppo presto per trarre conclusioni.

Come sia messa la situazione, ad aste avvenute o in corso (nel momento in cui viene redatto questo articolo si sono svolte quelle di Christie's e Phillips New York, oltre alla serale Now and Contemporary di Sotheby’s dove è stata venduta l’opera di Maurizio Cattelan), non è affatto chiaro. Qualcuno sostiene che in generale il volume d’affari del contemporaneo sia calato vistosamente rispetto allo scorso anno, e che alcuni pezzi di pregio multimilionari siano rimasti invenduti a fronte di forbici di valutazione prudenti (ad esempio: la ceramica dell’88 di Jeff Koons “Woman in Tub”, stimata tra i 10 e i 15 milioni di dollari da Sotheby’s). Altri che la maggioranza dei committenti non ha voluto vendere prima che i “tumulti elettorali” non si fossero esauriti, insomma a passaggio di consegne avvenuto. Questo naturalmente avrebbe influito anche sulla qualità e la vendibilità delle opere.

Quel che è certo è che oltre allo splendido olio su tela di René Magritte, “L'impero della luce” (1954) la cui vendita da Christie’s era già certa (aveva una garanzia che lo copriva per 95 milioni) ma che è andato meglio del previsto arrivando a 121,2 milioni di dollari (incluse commissioni), se la sono cavata egregiamente tutte le opere, se così si può dire, patriottiche. Come lo studio di Roy Lichtenstein per “Oval Office” che, stimato tra il milione e il milione e mezzo, è stato battuto per ben 4 milioni e 200 mila dollari. O “Georges’ Flag” del ’37 di Ed Ruscha che, stimato tra gli 8 e i 12 milioni, è andato a casa di un’acquirente che ne ha offerti 13 e 650 (anche se di Ruscha a fare veramente faville è stato “Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half” del ’64 venduto ad oltre 68 milioni).

Benissimo anche la surrealista messicana di origine britannica, Leonora Carrington (1917-2011), che da dopo essere stata esposta alla Biennale di Venezia due anni fa (la più femminista) da Cecilia Alemani, aveva già macinato cifre a sette zeri, e con la scultura “La Grande Dame” (The Cat Woman) del ’51, si è superata: stimata tra i 5 e i 7 milioni è stata aggiudicata per 11, 4 milioni!

Altro successo che ha scavalcato le previsioni più rosee è stato appunto il frutto più costoso di sempre firmato da Maurizio Cattelan. “Comedian, apparsa per a prima volta nello stand della Perrotin Gallery di una fiera di Miami nel 2019, dove aveva causato trambusto, attirando curiosi su curiosi per il clamore che aveva suscitato, ai tempi era stata venduta per una cifra che oscillava tra i 120 e 150 mila dollari (ne esistono 3). Si tratta di un’opera concettuale, il cui valore non è ovviamente determinato dalla banana in sé, ne dal nastro adesivo (un rotolo del quale viene comunque fornito al compratore), ma dall’idea dell’artista che si concretizza in un certificato d’acquisto autenticato e in un dettagliatissimo manuale di istruzioni di 14 pagine con tanto di diagrammi che spiegano come sostituire il frutto una volta marcito.

Il signor Cattelan ha tratteggiato così la genesi di “Comedian”: “Nel 2019, lavoravo a un contributo per il New York Magazine e pensai alla banana come simbolo di New York (…) L’idea rimase lì, finché non arrivò la fiera di Miami. Mi trovavo di fronte a un mercato saturo, pieno di opere eccessive e poco sperimentali. Così decisi di fare un gesto essenziale, quasi assurdo: comprai una banana per 25 centesimi e la fissai al muro con del nastro adesivo”. Ha anche detto: “È il mercato che ha deciso di prendere sul serio una banana attaccata al muro. Se il sistema è così fragile da cadere su una buccia di banana, forse era già scivoloso di suo”. Tuttavia, è pure possibile che l’autore sia stato ingiusto con la sua opera, che, a distanza di anni, potrebbe apparire nei libri di storia dell’arte come un commento irrinunciabile alla nostra epoca, e con il mercato che, anziché respingere la critica feroce di un insider, la ha fatta sua e trasformata in salutare autoironia, come una battura, espressa con l’unica lingua che il mercato può conoscere: quella del denaro.

Leonora Carrington, “La Grande Dame (The Cat Woman),” olio su legno, 1951, venduta per 11.4 millioni di dollari. Leonora Carrington; via Sotheby's