“The Third Hand” una riflessione sul potere di Maurizio Cattelan al Moderna Museet di Stoccolma

Maurizio Cattelan, HIM (2001) © Maurizio Cattelan 2024, Roy Lichtenstein, Finger Pointing. (1973) © Roy Lichtenstein. Photo: My Matson/Moderna Museet

Inaugurata il 24 febbraio scorso al Moderna Museet di Stoccolma, “The Third Hand”, grande retrospettiva che il museo nord europeo ha dedicato a Maurizio Cattelan, è una sfilata di capolavori (come si addice all’occasione, del resto). C’è il papa colpito dal meteorite de “La Nona Ora” (1999), l’Hitler in versione bimbo che dice le preghiere di “Him” (2001), una copia a grandezza naturale della mano con le dita mozzate (tutte tranne una) che si può osservare in Piazza degli Affari a Milano (L.O.V.E., 2010), fino a lavori più recenti, più riflessivi, in cui un senso di sorda contemplazione, se non un’eco di tragedia imminente, prendono il sopravvento sull’anima provocatoria e vitale della sua opera. Tutti sono stati inseriti direttamente nelle gallerie del museo, fondato nel 1958 e collocato sull’Isola di Skeppsholmen, per creare un dialogo tra loro e il ricco patrimonio storico conservato nelle sale progettate dall’architetto spagnolo Rafael Moneo.

Il titolo enigmatico, “The Third Hand” (“La Terza Mano”), Cattelan, l’ha spiegato in questo modo sulle pagine di Living CorriereForse perché la terza mano è quella che non sai di avere, quella che sa fare cose che le altre due non sono in grado di fare o che arriva in soccorso quando le altre sono occupate”. L’artista originario di Padova, infatti, è stato restio a rilasciare interviste per un lungo periodo ma ormai lo fa abbastanza spesso, conservando, però, un certo grado di elusività nelle risposte. Ed anche in questo caso ha aggiunto un po’ di mistero all’idea di mettere in scena una riflessione sul concetto di potere, che, invece, è stata sviluppata in maniera molto puntuale, sia attraverso le opere scelte che l’interessante installazione dei lavori. Il protagonista di “Him”, ad esempio, se ne sta in ginocchio di fronte a “Finger Point” (del ’73) di Roy Lichtenstein; la stanza è completamente rossa, l’illuminazione discreta e il pubblico può vedere le opere attraverso una finta cornice, che crea un gioco di specchi su chi voglia veramente indicare la mano con l’indice puntato dell’artista Pop statunitense (Hitler o noi?). La collocazione scelta per “Him” rafforza il paradosso e i doppi sensi su cui si basa la scultura e dà vigore al racconto.

In giustapposizione a Cattelan, anche diverse artiste nord e mitteleuropee, del passato e del presente, come la svizzera Eva Aeppli, le svedesi Cecilia Edefalk e Lena Svedberg, oltre alla famosa tedesca Rosemarie Trockel (appena due anni fa c’è stato modo di ammirarla alla Biennale di Venezia). I lavori, sono stati, infine, accostati pure alle pagine ingiallite della rivista underground della Svezia anni ’60, PUSS.

La curatrice della mostra, la direttrice del museo Gitte Ørskou, ha detto: “Questa è la seconda volta che invitiamo un artista ad approfondire la nostra vasta collezione. La pratica di Maurizio Cattelan affonda le sue radici nell'arte concettuale e pone domande sulla e sulla nostra realtà. Come curatore e fondatore di riviste d'arte, è stato in costante dialogo con l'arte. La sua visione critica e penetrante della nostra collezione restituisce all’arte il suo potere”.

Il Moderna Museet, che si estende per 5mila metri quadri, nella propria collezione ha, tra gli altri, anche dipinti e sculture di: Edvard Munch, Pablo Picasso, Salvador Dalí, Giorgio de Chirico, Alberto Giacometti, Henri Matisse, Marcel Duchamp, Louise Bourgeois, Jean Tinguely, Niki de Saint Phalle e Robert Rauschenberg. E le opere di Cattelan sono collocate lungo ben sei gallerie del vasto spazio espositivo a contatto con molte di queste.

Nato nel 1960 da una famiglia umile, Maurizio Cattelan, che ha raggiunto il successo già negli anni ’90, è da tempo considerato il più importante artista italiano vivente. Non fornisce mai un’interpretazione delle sue opere (che, per altro, sono aperte a diverse riflessioni), per lasciare allo spettatore la libertà di contribuire con la propria personale spiegazione. In un’altra recente intervista ha detto: “Ho sempre creduto che se qualcosa può essere ridotto a un concetto chiaro, è sicuramente artisticamente morto. L'arte non ha un intento diretto e univoco, altrimenti è un problema già risolto, e in questo non c'è niente di interessante”. Tuttavia, il suo lavoro accoglie lo spettatore con un’apparente chiarezza d’intenti, per poi intrappolarlo attraverso provocazione, paradosso e ironia. Uno dei punti di partenza ricorrenti delle sue installazioni è il cambio di dimensione: ciò che normalmente è piccolo diventa grande, quello che normalmente sarebbe troppo vasto diventa a misura d’uomo, Così la Cappella Sistina, meticolosamente riprodotta e miniaturizzata in “Untitled” (2018), diventa accessibile, smette di incutere timore, ci rassicura e ci fa sentire importanti (in questo caso, Cattelan, con la consueta ironia si interroga sia sul rapporto dell’uomo con la fede, sia con l’arte stessa). I piccioni tassidermizzati di “Ghosts”, invece, sono a grandezza naturale ma mettono disagio con il loro sguardo puntato su di noi dal loro punto d’osservazione esterno al teatro in cui ci muoviamo (qui Cattelan fa anche riferimento a tutti quelli che non hanno voce, umani e non umani). In mostra a Stoccolma c’è, infine, la poetica e struggente Breath”, presentata solo lo scorso anno al Pirelli Hangar Bicocca di Milano, che rappresenta un uomo e un cane (scolpiti in marmo bianco) vicini e raggomitolati su se stessi.

Maurizio Cattelan, con la sua retrospettiva “The Third Hand”, rimarrà al Moderna Museet di Stoccolma fino al 12 gennaio 2025. Ma quest’anno sarà possibile godersi almeno una sua opera anche al Padigione della Santa Sede della Biennale di Venezia.

Maurizio Cattelan, Untitled, 2018 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, La Nona Ora, 1999 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, Breath, 2023 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Installation view with full-sized copy of Maurizio Cattelan’s monumental sculpture L.O.V.E. Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, Untitled, 2018 (Detail) Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, Breath, 2023 Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024

Maurizio Cattelan, L.O.V.E. Photo: My Matson/Moderna Museet © Maurizio Cattelan 2024 (Full-sized copy of the artist's monumental sculpture L.O.V.E.)

Maurizio Cattelan, 2024 Photo: My Matson/Moderna Museet

Il Papa visiterà la Biennale di Venezia. Sarà la prima volta nella storia della manifestazione

Padiglione Centrale ai Giardini della Biennale Photo by Francesco Galli

Ad aprile quando Papa Francesco farà tappa al Padiglione della Santa Sede della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte (che quest’anno si terrà alla Casa di reclusione femminile della Giudecca visto che il Vaticano non ha una sede stabile per la manifestazione lagunare) sarà una data storica. E’, infatti, la prima volta in assoluto che un papa visita la Biennale di Venezia. “Accogliamo con gioia la notizia della visita di papa Francesco al Padiglione della Santa Sede alla Biennale presso il carcere femminile della Giudecca, che rispettosamente interpretiamo anche come un gesto di attenzione verso tutta la Biennale di Veneziaha commentato il presidente della Biennale, Roberto Cicutto, cui (il prossimo 2 marzo) succederà Pietrangelo Buttafuoco (ci sarà anche lui, mussulmano per scelta e affinità intellettuale, ad accoglierlo insieme al sindaco Luigi Brugnaro e al presidente della Regione Veneto Luca Zaia). E poi ci sarà pure il curatore di “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”, la sessantesima edizione della Biennale di Venezia, Adriano Pedrosa.

 Nato a Rio de Janeiro in Brasile nel ’65, Pedrosa, che da diversi anni lavora al Museu de Arte de São Paulo Assis Chateaubriand (per praticità MASP) ed è apprezzato, tra le altre cose, per gli approfonditi e pionieristici studi sull’arte indigena (e non solo quella del sud-america) si definisce “il primo curatore della Biennale che lavora nel sud del mondo”, oltre ad essere il primo curatore queer dichiarato dell’importante manifestazione artistica internazionale, è un intellettuale latino-americano. E il fatto che anche Bergoglio provenga dalla stessa area del pianeta non sembra casuale. Come di certo non lo è il fatto che il Vaticano partecipi nel 2024, dopo una storia di presenze altalenanti, quando il focus è sull’alterità e sul sud del mondo. Questo nonostante il colonialismo sia stato anche un fatto religioso.

Bergoglio, comunque, non sembra avere in programma nemmeno un passaggio veloce ai Giardini della Biennale (sede principale e cuore pulsante della manifestazione) ma solo al Padiglione della Santa Sede alla Giudecca, lontano dal centro della kermesse battuto dai turisti. In questo senso il Papa renderà la location, sulla carta troppo decentrata, appetibile al grande pubblico. Alzando la palla ad una mostra che sembra studiata per fare il pieno di visite ma che avrebbe potuto essere fortemente penalizzata dalla sede. Tutto ciò indica chiaramente che la Chiesa crede profondamente nell’importanza dell’arte contemporanea, come mezzo per veicolare il messaggio pastorale del pontefice.

La partecipazione della Santa Sede alla Biennale d’Arte è recente (una decina d’anni). A promuoverla è stato il cardinale Gianfranco Ravasi, ai tempi presidente del Pontificio consiglio della cultura, ma già Benedetto XVI, durante il suo mandato, aveva incoraggiato un nuovo rapporto tra Chiesa ed arti.

La mostra del padiglione (molto francese nella scelta e nell’equilibrio degli artisti) si intitola “Con i miei occhi” e, a livello concettuale, intende essere un reimpasto del tema proposto da Pedrosa in chiave cattolica. Ma i curatori (la storica dell’arte, Chiara Parisi, attuale direttore del Centre Pompidou-Metz, oltre allo scrittore francese, Bruno Racine, amministratore delegato e direttore di Palazzo Grassi) sono stati abili nella scelta degli artisti, regalando vibrazioni vitali e un alone potenzialmente trasgressivo al progetto. Ci sarà la star indiscussa dell’arte italiana, Maurizio Cattelan, poi la ballerina e coreografa francese, Bintou Dembélé (pioniere della danza hip hop oltralpe, che esplora il tema della memoria del corpo), la scrittrice e artista libanese Simone Fattal (fresca della partecipazione alla mostra principale de “Il Latte dei Sogni”, la Biennale Arte 2022, di Cecilia Alemani), la coppia Marco Perego & Zoe Saldana (regista italiano trapiantato negli States lui, diva figlia di immigrati lei), la pittrice francese Claire Tabouret (tavolozza acquea, spesso animata da sfumature di colore pastello tendenti al fluorescente, che rompono composizioni figurative inquiete), il collettivo parigino Claire Fontaine (quello che creava i neon con la scritta “Stranieri Ovunque”, d’ispirazione per il titolo della Biennale 2024) e l’artista ed educatrice statunitense Suor Corita Kent (mancata nel 1986).

Sono diversi i segni di rinnovamento che si possono intravedere dagli artisti chiamati a rappresentare quest’anno la Santa Sede (il progetto dell’esposizione, come quelli di tutte le altre partecipazioni nazionali, è ancora segreto). E malgrado la stampa per ora si sia soffermata sulla presenza di Maurizio Cattelan, che, proprio alla Biennale nel 2001, aveva suscitato polemiche con “La Nona Ora” (l’opera rappresenta Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite, e, dietro la patina ironica e neo-pop da cartoon, è, in realtà, una toccante riflessione sul tema della fragilità della vita e sul destino), la presenza più rilevante sembra quella di Suor Mary Corita Kent. Nata Frances Elizabeth Kent, quest’ultima, fu un’artista Pop a lungo dimenticata ma che di recente ha recuperato centralità nella storia dell’arte. Nella sua opera, mischiava immagini di marchi di consumo, a, tra le altre cose, citazioni della Bibbia, di filosofi e di personaggi dei cartoni animati. Prese attivamente parte alle marce degli anni ‘60 per i diritti civili e contro la guerra ma, a causa dei contrasti con il cardinale e l’arcidiocesi di Los Angeles dell’epoca, tornò alla vita secolare già nel ’68. Ai tempi il cardinale aveva definito il suo lavoro “blasfemo”.

Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”, la sessantesima edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, inaugurerà il 20 aprile insieme a tutti i padiglioni nazionali e rimarrà visitabile fino al 24 novembre. Mentre Papa Bergoglio visiterà il Padiglione della Santa Sede domenica 28 aprile 2024.

“We” di Maurizio Cattelan procede ma al Leeum Museum of Art di Seul il clima si è fatto teso

La notizia di uno studente (Noh Huyn-soo della Seoul National University, dove sta approfondendo Estetica e Religione), che è riuscito ad eguagliare l’impresa dell’artista David Datuna, mangiandosi “Comedian” di Maurizio Cattelan perché “aveva fame”, ha fatto il giro del mondo. Un contrattempo da poco per il Leeum Museum of Art dov’è in corso l’importante retrospettiva “We” dedicata al famoso artista di origine italiana, che ha prontamente rimpiazzato il frutto. E una bella pubblicità.

 Il giovane, che non è stato denunciato, c’ha guadagnato un video (girato da un suo amico e poi rimbalzato sui media globali) e persino qualche intervista, il museo ha di sicuro massimizzato gli ingressi alla mostra che già prima procedeva col vento in poppa (anche perchè oltre ad essere un’indagine davvero esaustiva sull’opera di Cattelan, è ad ingresso gratuito). Tuttavia, come già riportava il Washiton Post giorni fa, sui tre piani del moderno edificio nell’elegante quartiere di Hannam dove si svolge l’evento, il clima si è fatto teso. Gli addetti alla vigilanza delle sale adesso sanno di dover intervenire se qualcuno si avvicinasse con aria decisa al frutto appiccicato col nastro adesivo alla parete. O, peggio, agli altri lavori. Dopo tutto recentemente anche “L.O.V.E.”, l’enorme dito medio in piazza della Borsa a Milano, è stata vandalizzata (in questo caso dagli attivisti del clima).

Già quando l’opera venne presentata ad Art Basel Miami Beach 2019 e poi mangiata dallo scomparso David Datuna (l’artista statunitense è mancato l’anno scorso), la fiera aveva dovuto combattere con la calca di curiosi che si erano assiepati intorno allo stand della Galleria Perrotin dov’era stata esposta l’appetitosa opera, fino a dichiarare persa la partita. Rimetterla in visione avrebbe potuto diventare pericoloso. La fiera arrivò a dire che sarebbe stato “un serio rischio per la salute e la pubblica sicurezza

Apparentemente scultura deperibile, “Comedian”, è un’opera concettuale di Maurizio Cattelan, di cui esistono 3 esemplari più due prove d’artista. I tre lavori sono stati tutti vendute nel corso della fiera di Miami nel 2019 (i primi due per 120 mila dollari mentre l’ultimo per 150). Le prove d’artista invece, nonostante le numerose richieste (tra cui quella di Damien Hirst), sono rimaste alla Galleria Perrotin. I proprietari di quest’opera devono farsi carico dell’acquisto dei frutti (durante una mostra è tassativo sostituirli ogni due o tre giorni) e del nastro adesivo, ma ricevono un certificato di proprietà del lavoro e un dettagliato manuale di istruzioni (pare di 14 pagine) con le specifiche sulla maniera corretta di installarlo (l’altezza da terra e l’angolazione del nastro, per esempio, sono chiaramente codificati).

Per questo Cattelan, avvertito del siparietto verificatosi a Seul, è rimasto imperturbabile.

Ma perché “Comedian” è quello che è? Maurizio Cattelan crea lavori iperrealisti, più spesso sculture, immediatamente riconoscibili dal pubblico, che come le cipolle nascondono più strati di significato, via via sempre più profondi. “Comedian” prende spunto dai ready-made duchampiani (oggetti trovati trasformanti in opere d’arte perché collocati in un museo da un artista) ed è contemporaneamente un’autocitazione. In “A Perfect Day” del ’99, infatti, Cattelan aveva appeso a una parete con il nastro adesivo, il suo gallerista milanese e amico Massimo De Carlo. L’opera, poi, fa riferimento a “Banana 10” di Andy Warhol (ideata come la cover di un album dei Velvet Underground la rappresentazione serigrafica della buccia del frutto poteva essere staccata) e ad altre immagini simili del pioniere della Pop Art. Il significato più evidente del lavoro è contenuto nel titolo: la banana, con una sintesi disarmante, riporta alla mente una grande quantità di pièce comiche, facendo un salto nei cartoni animati e attingendo a piene mani dai film muti. L’altro importante indizio per interpretarla è il contesto: una fiera d’arte. Cattelan non presentava più opere in fiera da 15 anni ed è ritornato a farlo con una critica graffiante ed umoristica al mercato dell’arte e dei rischi che cela. Il gallerista Emmanuel Perrotin, ai tempi, descrisse così l’opera: "un simbolo del commercio globale, un doppio senso, nonché un classico oggetto di humor".

We”, da gennaio in corso al Leeum Museum of Art, con 38 opere che vanno dagli anni ’90 fino ai giorni nostri, è la più grande retrospettiva mai dedicata all’artista nato a Padova dopo quella del Guggenheim di New York nel 2011. E la prima in Corea. In mostra quasi tutte le opere iconiche di Cattelan, come la “La Nona Ora” (il papa colpito da un meteorite), “All” (le salme coperte da un sudario in marmo bianco), “Him” (Hitler inginocchiato con aria contrita e completo grigio). Ma anche tante altre, a cominciare da “We” che dà anche il titolo alla mostra (doppio autoritratto a grandezza naturale di Cattelan sdraiato su un letto). C’è persino lo scoiattolino suicida di “Bibidibobidiboo” (quest’ultimo è attualmente in mostra anche a Palazzo Strozzi di Firenze, incluso insieme ad altre quattro opere di Maurizio Cattelan nella splendida collettiva “Reaching for the stars”).