Mehmet Alì Uysal ha creato dei giganteschi iceberg fluttuanti per Le Bon Marché Rive Gauche

Mehmet Alì Uysal, Su, Le Bon Marché Rive Gauche. All images courtesy the artist and Le Bon Marché Rive Gauche

Già dalle scorse settiimane, entrando negli iconici grandi magazzini Le Bon Marché Rive Gauche ci si trova immersi in un atmosfera surreale, dominata da giganteschi iceberg che fluttuano accanto alla scalinata della designer francese Andrée Putman. Ma c’è anche una grande scultura a forma di barchetta di carta, dai cui oblò si può ammirare il mare aperto. Pur stando nel centro di Parigi.

Si tratta dell’installazione Su (che in turco significa mare), dell’artista mediorientale Mehmet Alì Uysal. L’opera, parla ovviamente di riscaldamento del pianeta con ripercussioni su calotta glaciale e livello degli oceani. Tuttavia, lo fa con tono sognante e infantile, senza permettere alle visioni apocalittiche di prendere nemmeno per un attimo il sopravvento.

D’altra parte la scultura di Mehmet Alì Uysal è così, sempre sospesa tra realtà, sogno e candida ironia. Usa materiali diversi e si affida alle forme di oggetti semplici , spesso rubati alla quotidianità anche se sovra-scala, per costruire un universo che innesca una riflessione (solo dopo un inganno iniziale, però). Lui dice di ispirarsi alle sue esperienze infantili e di divertirsi a mescolare elementi naturali con ambienti creati dall’uomo o viceversa. Alla base di tutto ci sarebbe la voglia di indagare i limiti della nostra percezione:

"Lo spazio, come lo percepiamo, è un'illusione - ha dichiarato tempo fa- I nostri occhi ci permettono solo di ricostituire la realtà in due dimensioni, ed è attraverso il movimento che cogliamo la terza. Lo spazio non è davvero qualcosa che possiamo vedere. Lo sentiamo”.

E di aprire finestre che dalla realtà immergono lo spettatore in una dimensione poetica e giocosa: "Sono le idee che mi interessano, mi sento più vicino a un poeta piuttosto che ad un artista. I poeti sono anche artisti, io gioco con le idee che mi vengono in mente".

Nato nel ‘76 a Mersin in Turchia, Mehmet Alì Uysal, adesso vive tra Instambul e Parigi, anche se torna spesso ad Ankara ed è considerato uno degli artisti più influenti della scena contempornea turca. Lavora con la Galerie Paris-Beijing, dove nel 2020 ha esposto una distesa di pozzanghere bianche. Tra le altre sue sculture più famose un’enorme molletta da bucato (Skin, 2010) che sembrava pinzare il prato e per estensione il mondo intero (in questo senso ricordava molto lo splendido piedistallo al contrario Socle du monde di Piero Manzoni).

Per il gusto surreale, umoristico e contemporaneamente candido, la sua opera si può facilmente accostare a quella dell’inglese Alex Chinneck.

A Le Bon Marché Rive Gauche ha presentato diversi elementi per occupare lo spazio vasto, ma non semplice, dei grandi magazzini. I più importanti sono però, gli enormi iceberg, che affiancano la scalinata e raggiungono l’apice del lucernario. Uno di loro sembra essersi parzialmente sciolto, alludendo al riscaldamento del pianeta. Tuttavia le dimensioni dell’installazione, le luci e il punto d’osservazione, da ai visitatori l’illusione di camminare o fare shopping nelle profondità sottomarine, come in un film d’animazione della Disney.

Il mio villaggio era di fronte a Cipro. Puoi intravedere l'isola quando il tempo è sereno, anche se è invisibile con l'umidità. Da bambini scrutavamo sempre l'orizzonte per vedere apparire Cipro, l'idea di una spiaggia oltre l'immensa distesa d'acqua era rassicurante. Guardare l'oceano ci ha reso felici (...) Ma sono quasi annegato in mare quando aveva quattro anni. E quell'esperienza mi ha insegnato che il mare sa essere sia magnifico che terrificante.

L’installazione Su di Mehmet Alì Uysal è stata realizzata in omaggio ai fondatori di Le Bon Marché Rive Gauche, Aristide e Marguerite Boucicaut. Come quelle di Ai Weiwei, Chiharu Shiota, Leandro Erlich, Joana Vasconcelos, Oki Sato e Prune Nourry, che hanno occupato i grandi magazzini negli anni passati. E si potrà visitare fino al 20 febbraio. Altre opere dell’artista si possono vedere invece sul suo account instagram.

Con Webs of Life di Tomás Saraceno puoi portare un ragno gigante (in AR) a vivere con te

Tomás Saraceno, Maratus speciosus, Augmented Reality, 2021. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art

La scorsa estate l’artista di origini argentine Tomás Saraceno ha realizzato Webs of Life: uno dei suoi primi lavori in Realtà Aumentata (AR). L’opera consisteva nelle meticolose riproduzioni di due ragni (il Maratus speciosus e il Bagheera kiplingi). Ma in versione gigantesca.

Le sculture digitali sono state presentate all’ingresso della Sepentine South Gallery di Londra e a New York, nella mostra interamente dedicata alle opere in AR "The Looking Glass” (curata dal critico italiano, Cecilia Alemani). E si affiancavano a un ragno un po’ più piccolo e semplice, che però chiunque, da qualsiasi parte del mondo, poteva portarsi a casa. Un capolavoro digitale da collezionare gratuitamente, come già le colorate creazioni di Olafur Eliasson prima di lui.

AR & VR:

Anche se si prevede che entro il 2025 verranno venduti 71 milioni di dispositivi per la Realtà Virtuale (VR), la Realtà Aumentata (AR), che si limita a sovrapporre al mondo delle immagini digitali attraverso il telefonino, resta la scelta più apprezzata dagli artisti. Anzi si può dire che la pandemia, con la chiusura dei musei, abbia reso più veloce un processo di crescita già in corso. E, a momenti, di democratizzazione di un prodotto artistico ancora in parte elitario.

D’altronde già la 58esima Biennale d’Arte di Venezia sottolineava l’importanza del lavoro di artisti specializzati nel digitale e, visto che Cecilia Alemani curerà l’edizione 2022 (Il Latte dei Sogni) si prevede analoga attenzione. Tuttavia, da una parte il mercato resta legato (almeno per ora) ad altri mezzi espressivi, mentre dall’altra lo spettatore si trova ancora a combattere con incompatibilità tecnologiche varie. Acute Art, ad esempio, che fornisce agli artisti i mezzi per realizzare le loro idee sia in AR che in VR, e agli utenti una app per vedere le opere, continua ad avere problemi su molti smartphone (anche di fascia medio- alta).

ACUTE ART:

Finanziata dal ricco uomo d’affari svedese Gerard De Geer e da suo figlio Jacob, Acute Art, ha sede a Londra e con lei hanno già lavorato molti grandi nomi dell’arte contemporanea (a cominciare da Jeff Koons). Adesso è la volta di Saraceno, che con i suoi ragni giganti vuole sensibilizzare il pubblico verso le battaglie ecologiste della contemporaneità e indurlo a rispettare le altre specie animali. Soprattutto i ragni, per cui ha un’accesa passione fin dall’infanzia.

"Gli piace l'aspetto del ragno AR- ha detto il noto curatore Daniel Birnbaum (adesso direttore di Acute Art), al New York Times tempo fa- ma gli importa di più che tu presti attenzione ai ragni veri."

I RAGNI:

I ragni sono un pilastro del lavoro di Tomás Saraceno. Che, oltre a fondare L’organizzazione di ricerca Arachnophilia a loro dedicata, crea splendide sculture di ragnatele (a volte simili a fragili palazzi translucidi sospesi nell’oscurità) con l’aiuto dei piccoli aracnidi. Per non parlare di quando li chiama a predire il futuro (com’è successo alla Biennale di Venezia 2019).

WEBS OF LIFE:

Webs of Life, ha un impatto molto cinematografico, in bilico tra King Kong e Jurassic Park, ma è in realtà un’opera sobria (si limita a riprodurre il più possibile fedelmente i soggetti). A fare la differenza è la grande scala delle impalpabili sculture ma anche le specie di ragni ritratte. Saraceno, infatti, sceglie il Maratus speciosus, chiamato anche Ragno pavone, per i suoi colori intensi e il Bagheera kiplingi che è l’unico tra le oltre 50mila specie di ragni note alla scienza a mangiare prevalentemente vegetali (nemmeno lui però è completamente vegetariano: ruba occasionalmente larve di formica ma soprattutto, all’occorrenza, si nutre dei suoi simili). Le opere, ideali per fotografie e selfie, inducono chi guarda a prendere confidenza con gli aracnidi e lo abituano al loro aspetto. In questo modo l’artista spera che le persone imparino a trattare con rispetto i ragni veri.

A questo proposito Saraceno pubblica sul suo sito una “Lettera aperta per i diritti degli invertebrati. Verso reti di vita: per una vera realtà aumentata, che dice: “Cari abitanti dei mondi, Vorremmo iniziare ringraziandoti per il tuo tempo (…) e per non averci etichettato come "parassiti urbani" come fanno molti altri. (…) Abbiamo vissuto sulla terra per più di 380 milioni di anni, mentre alcuni di voi umani, solo 200 mila anni. La minoranza può imparare a convivere con la maggioranza di noi? Siamo il 95% di tutti gli animali sul pianeta terra che chiedono il diritto di tessere reti di vita, eppure siamo minacciati di estinzione da un numero così esiguo di individui. Non avere paura. Passiamo dall'aracnofobia all'aracnofilia (…)

Va in questa direzione anche la versione più piccola e semplice del Ragno pavone in AR, che chiunque può osservare muoversi in casa propria. Solo dopo aver condiviso però, la foto di un ragno scattata per l’occasione (attraverso l’app di Acute Art).

Tomás Saraceno, ha la capacità pressochè unica di far coincidere precisione scientifica e meraviglia, in opere a tratti molto poetiche e impregnate di commovente candore. Webs of Life non fa eccezione. Per vedere altri suoi lavori, sia in Realtà Aumentata che non, oltre al sito internet c’è anche l’account instagram. L’artista, inoltre, è attualmente in mostra al The Shed di New York (importante centro culturale situato a Manhattan), con una mega ragnatela di 30 metri di diametro dotata di sensori (l’installazione si chiama Free the Air: How to listen the universe in a spider/web mentre l’esposizione è intitolata Tomás Saraceno: Particular Matter(s) , fino al 17 aprile).

Tomás Saraceno, Maratus speciosus, Augmented Reality, 2021. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art

Tomás Saraceno, Maratus speciosus, Augmented Reality, 2021. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art

Tomás Saraceno, Bagheera kiplingi, 2021, augmented reality. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art.

Tomás Saraceno, Maratus speciosus, Augmented Reality, 2021. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art

Tomás Saraceno, Maratus speciosus, Augmented Reality, 2021. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art

Tomás Saraceno, Maratus speciosus, Augmented Reality, 2021. Courtesy Tomás Saraceno and Acute Art

Trovata in Olanda una ciotola romana in vetro blu. E' stata sottoterra per 2000 anni ma non ha un graffio

Tutte le immagini courtesy courtesy Marieke Mom. via Colossal

La scoperta è stata fatta nei pressi di Nimega (Nijmegen), una piccola città dei Paesi Bassi ai confini con la Germania, che un tempo fu accampamento militare romano. Si tratta di una semplice ed elegante ciotola in vetro blu con motivi curvilinei in rilievo. Nulla di speciale, se non fosse per lo straordinaio stato di conservazione del manufatto.

Si stima, infatti, che la ciotola sia stata creata circa 2000 anni fa e che sia rimasta sepolta nell’insediamento agricolo di Bataven per centinaia d’anni. Nonostante ciò è stata rinvenuta integra: senza crepe, scheggiature o graffi di sorta.

Adesso gli studiosi si stanno battendo per darle una degna collocazione: “Ho visto oggetti di vetro simili conservati nei musei italiani.” ha detto alla stampa olandese, l’archeologo Pepijn van de Geer, attualmente alla guida degli scavi.

Per fabbricarla gli artigiani dell’epoca avrebbero usato uno stampo e modellato i motivi decorativi a mano mentre il vetro era ancora caldo. Il colore invece, sarebbe stato ottenuto aggiungendo ossido di metallo.

Le origini della manifattura sono ancora oggetto di dibattito. La ciotola, infatti, è stata realizzata secondo il gusto e le tecniche di lavorazione utilizzate all’epoca dai romani, ma potrebbe provenire dalle colonie tedesche di Xanten o Colonia, oppure dalla stessa Italia.

In quest’ultimo caso, la popolazione che all’epoca abitava l’area di Nimega, potrebbe essersela procurata commerciando con i romani, o come pagamento per prestazioni militari.

Già da anni gli studiosi sapevano che sotto il ivello del suolo c’era un antico cimitero ma ultimamente un progetto residenziale ha reso urgente un’analisi approfondita dell’area, riferisce il quotidiano De Stentor.

Così gli archeologi olandesi, oltre alla ciotola blu, hanno rinvenuto resti umani ma anche brocche, coppe e gioielli.