Con La Commedia Umana Ai Weiwei concentra il suo humor nero in un lampadario di vetro di Murano alto 9 metri

Think Big! Ai Weiwei. Commedia Umana, Terme di Diocleziano, Museo Nazionale Romano. Foto dell’installazione. All images courtesy of the artist Museo Nazionale Romano

L’opera La Commedia Umana di Ai Weiwei, fino alla settimana scorsa collocata alle Terme di Diocleziano a Roma, è una gigantesca scultura in vetro carica di humor nero e riferimenti alla Storia dell’Arte. Un colossale lampadario, di oltre 6 metri per 9, composto da 2 mila parti in vetro di Murano (lavorate ed assemblate a mano).

La Commedia Umana è un tentativo dell’artista di origine cinese di rileggere l’antichissimo tema del Memento Mori in chiave contemporanea. Mixando, nello stesso tempo, elementi iconici della sua poetica alla rappresentazione. Così a teschi ed ossa, l’opera, intervalla granchi (vedi qui) e il leggiadro simbolo di Twitter. Ovviamente, Ai Weiwei, cerca di darle brio con la satira sociale. Espressa dalla scelta di costruire un lampadario in vetro di murano simbolo di buon gusto, artigianalità ed eleganza.

Il lampadario- ha detto Ai Weiwei- è un oggetto glamour che si espone in casa, per esempio un salotto. È il mio bisogno di includere la morte nella nostra quotidianità, di connettere un oggetto di interior design a quello che succede fuori dalla casa, nel mondo”.

. E ancora: “Bisogna coesistere con la morte, non cancellarla. L’artista ha la responsabilità di concentrarsi sull’umanità e di continuare a chiedere chi sta morendo, perché e come”.

Tuttavia, è il tema stesso a contenere la satira sociale (di fronte alla morte i costumi e l velleità di un’epoca sono irrilevanti). E lo è fin dai tempi in cui le Terme di Diocleziano erano un complesso termale capace di ospitare fino a 3mila persone.

L’installazione è frutto di un gigantesco impegno da parte dell’artista e dello studio per la lavorazione del vetro Berengo di Venezia. Un lavoro talmente lungo e complicato che per ultimarlo sono stati necessari tre anni e un’opera di ricerca che si è innestata sull’abilità artigianale.

"Ogni visita dell’artista a Murano - ha ricordato la direttrice della Fondazione Berengo, Jane Rushton- ha stimolato la nascita di nuove idee e portato nuova energia. Parti in vetro soffiato prodotte in fornace, quali organi umani, pipistrelli e altre creature sono state combinate a strutturedi ossa in vetro fuso prodotte nel nostro laboratorio di casting. Con il trascorrere del tempo, come ècresciuta la visione di Ai Weiwei, così si è evoluta anche questa scultura".

L’esposizione dell’opera La Commedia Umana di Ai Weiwei è stata organizzata dal Museo Nazionale Romano. Si è svolta più o meno in paralleo con l’allestimento della Turandot, al Teatro dell’Opera di Roma, diretto dall’artista (gli spettacoli sono durati fino al 31 marzo) ed alla mostra personale Change of Perspective a lui dedicata nella sede capitolina di Galleria Continua che si concluderà giovedì prossimo.

Think Big! Ai Weiwei Photo: Edward Smith

Think Big! Ai Weiwei. Commedia Umana, Terme di Diocleziano, Museo Nazionale Romano

Think Big! Ai Weiwei Photo: Francesco Allegretto

Think Big! Ai Weiwei. Commedia Umana, Terme di Diocleziano, Museo Nazionale Romano

Think Big! Ai Weiwei Photo: Francesco Allegretto

Think Big! Ai Weiwei Photo: Edward Smith

Think Big! Ai Weiwei. Commedia Umana, Terme di Diocleziano, Museo Nazionale Romano (l’artista durante l’installazione dell’opera)

I virus senza colore di Luke Jerram: sculture di vetro che non cedono alle licenze creative

Ebola. All images © Luke Jerram

Nella serie di sculture Glass Microbiology l’artista britannico Luke Jerram racconta i più temibili killer microscopici tra accuratezza scientifica e bellezza. Usa il vetro soffiato, la grande scala, ma non si prende licenze creative.

Quando si parla di salute pubblica siamo poco propensi a pensare al design. In particolar modo quando ci viene comunicato un messaggio che ha a che fare con un’epidemia. Invece il design ha un ruolo fondamentale nel racconto di un potenziale pericolo invisibile. Soprattutto quando si parla di malattie poco telegeniche. Il caso tristemente noto del coronavirus ha fatto scuola. Al solo nominarlo oltre alla forma, la mente ne richiama i colori accesi quasi ultraterreni. Che però nella realtà non esistono. I virus, più piccoli della più piccola lunghezza d'onda visibile della luce, non hanno colore.

Il Covid 19 che vediamo con gli occhi della mente è un rendering che venne commissionato dall’agenzia di salute pubblica statunitense, Centers for Disease Control and Prevention, agli illustratori medici Alissa Eckert e Dan Higgins chiamati a sensibilizzare la popolazione del pericolo imminente. Si è pure guadagnato un premio (il Beazley Design of the Year). La forma del virus è fedele ma per far meglio presa sul pubblico sono stati aggiunti colori accesi normalmente associati (almeno nella cultura occidentale) al corpo e al pericolo. Col tempo l’immagine si è evoluta, aggiungendo sempre più colore al racconto di una malattia poco telegenica. Infatti, se per l’AIDS ad attirare l’attenzione bastavano l’immagine di un giovane uomo dall’aspetto emaciato e per ebola gli operatori sanitari in una tenuta che (allora) appariva fantascientifica in contrasto alla natura esotica circostante, il Covid 19 non offriva abbastanza materiale. I sintomi erano simili a quelli del raffreddore e la maggior parte dei pazienti gravi erano anziani. Restavano dei buchi nella storia, che vennero riempiti con un’immagine psichedelica del virus.

Tuttavia, adesso molti si chiedono se le licenze creative nella rappresentazione di un richio microbiologico siano corrette. E la serie Glass Microbiology dell’artista inglese Luke Jerram si stà guadagnando notorietà e sedi espositive prestigiose proprio perchè le evita fermamente.

In Glass Microbiology, Luke Jerram, scolpisce in vetro virus e batteri. Per farlo collabora con i virologi dell'Università di Bristol e con i soffiatori di vetro Kim George, Brian Jones e Norman Veitch. Alla fine le immagini rappresentate sono scientificamente accurate e artigianalmente ben riuscite. “Naturalmente, utilizzando il vetro, si crea qualcosa di incredibilmente bello- ha detto Jerram in un’intervista- Lì nasce una tensione, tra la bellezza dell'oggetto e ciò che rappresenta."

I microorganismi sono ritratti in grande scala (nel caso del coronavirus la scultura è quasi 2milioni di volte più grande dell’originale). Ma lucide e trasparenti le installazioni non appaiono monumentali. La trasparenza del materiale, poi, accresce la precisione scientifica dell’oggetto, che ha al centro fili di acido nucleico.

Luke Jerram ha cominciato la serie nel 2004. L’idea gli è venuta vedendo i primi piani a colori dell’HIV su The Guardian. a cui Jerram ha reagito infastidendosi. Lui, infatti, è daltonico. Da quel momento ad oggi ha rappresentato 20 diversi microorganismi potenzialmente mortali. Ha persino preso la peste suina mentre lavorava a una scultura dello stesso virus nel 2009.

Luke Jerram solo in questo mese porterà i suoi enormi microbi di vetro in due mostre: all’ArtScience Museum di Singapore e all’Hanry Moore Institute nel Regno Unito. Sul sito internet personale una sezione a parte è dedicata alla serie Glass Microbiology. (via Colossal)

Sars Cov 19

Malaria 2015

E. Coli

T4 Bacteriophage 2011

Vaiolo, futura mutazione Senza Titolo, HIV

Trovata in Olanda una ciotola romana in vetro blu. E' stata sottoterra per 2000 anni ma non ha un graffio

Tutte le immagini courtesy courtesy Marieke Mom. via Colossal

La scoperta è stata fatta nei pressi di Nimega (Nijmegen), una piccola città dei Paesi Bassi ai confini con la Germania, che un tempo fu accampamento militare romano. Si tratta di una semplice ed elegante ciotola in vetro blu con motivi curvilinei in rilievo. Nulla di speciale, se non fosse per lo straordinaio stato di conservazione del manufatto.

Si stima, infatti, che la ciotola sia stata creata circa 2000 anni fa e che sia rimasta sepolta nell’insediamento agricolo di Bataven per centinaia d’anni. Nonostante ciò è stata rinvenuta integra: senza crepe, scheggiature o graffi di sorta.

Adesso gli studiosi si stanno battendo per darle una degna collocazione: “Ho visto oggetti di vetro simili conservati nei musei italiani.” ha detto alla stampa olandese, l’archeologo Pepijn van de Geer, attualmente alla guida degli scavi.

Per fabbricarla gli artigiani dell’epoca avrebbero usato uno stampo e modellato i motivi decorativi a mano mentre il vetro era ancora caldo. Il colore invece, sarebbe stato ottenuto aggiungendo ossido di metallo.

Le origini della manifattura sono ancora oggetto di dibattito. La ciotola, infatti, è stata realizzata secondo il gusto e le tecniche di lavorazione utilizzate all’epoca dai romani, ma potrebbe provenire dalle colonie tedesche di Xanten o Colonia, oppure dalla stessa Italia.

In quest’ultimo caso, la popolazione che all’epoca abitava l’area di Nimega, potrebbe essersela procurata commerciando con i romani, o come pagamento per prestazioni militari.

Già da anni gli studiosi sapevano che sotto il ivello del suolo c’era un antico cimitero ma ultimamente un progetto residenziale ha reso urgente un’analisi approfondita dell’area, riferisce il quotidiano De Stentor.

Così gli archeologi olandesi, oltre alla ciotola blu, hanno rinvenuto resti umani ma anche brocche, coppe e gioielli.