I virus senza colore di Luke Jerram: sculture di vetro che non cedono alle licenze creative

Ebola. All images © Luke Jerram

Nella serie di sculture Glass Microbiology l’artista britannico Luke Jerram racconta i più temibili killer microscopici tra accuratezza scientifica e bellezza. Usa il vetro soffiato, la grande scala, ma non si prende licenze creative.

Quando si parla di salute pubblica siamo poco propensi a pensare al design. In particolar modo quando ci viene comunicato un messaggio che ha a che fare con un’epidemia. Invece il design ha un ruolo fondamentale nel racconto di un potenziale pericolo invisibile. Soprattutto quando si parla di malattie poco telegeniche. Il caso tristemente noto del coronavirus ha fatto scuola. Al solo nominarlo oltre alla forma, la mente ne richiama i colori accesi quasi ultraterreni. Che però nella realtà non esistono. I virus, più piccoli della più piccola lunghezza d'onda visibile della luce, non hanno colore.

Il Covid 19 che vediamo con gli occhi della mente è un rendering che venne commissionato dall’agenzia di salute pubblica statunitense, Centers for Disease Control and Prevention, agli illustratori medici Alissa Eckert e Dan Higgins chiamati a sensibilizzare la popolazione del pericolo imminente. Si è pure guadagnato un premio (il Beazley Design of the Year). La forma del virus è fedele ma per far meglio presa sul pubblico sono stati aggiunti colori accesi normalmente associati (almeno nella cultura occidentale) al corpo e al pericolo. Col tempo l’immagine si è evoluta, aggiungendo sempre più colore al racconto di una malattia poco telegenica. Infatti, se per l’AIDS ad attirare l’attenzione bastavano l’immagine di un giovane uomo dall’aspetto emaciato e per ebola gli operatori sanitari in una tenuta che (allora) appariva fantascientifica in contrasto alla natura esotica circostante, il Covid 19 non offriva abbastanza materiale. I sintomi erano simili a quelli del raffreddore e la maggior parte dei pazienti gravi erano anziani. Restavano dei buchi nella storia, che vennero riempiti con un’immagine psichedelica del virus.

Tuttavia, adesso molti si chiedono se le licenze creative nella rappresentazione di un richio microbiologico siano corrette. E la serie Glass Microbiology dell’artista inglese Luke Jerram si stà guadagnando notorietà e sedi espositive prestigiose proprio perchè le evita fermamente.

In Glass Microbiology, Luke Jerram, scolpisce in vetro virus e batteri. Per farlo collabora con i virologi dell'Università di Bristol e con i soffiatori di vetro Kim George, Brian Jones e Norman Veitch. Alla fine le immagini rappresentate sono scientificamente accurate e artigianalmente ben riuscite. “Naturalmente, utilizzando il vetro, si crea qualcosa di incredibilmente bello- ha detto Jerram in un’intervista- Lì nasce una tensione, tra la bellezza dell'oggetto e ciò che rappresenta."

I microorganismi sono ritratti in grande scala (nel caso del coronavirus la scultura è quasi 2milioni di volte più grande dell’originale). Ma lucide e trasparenti le installazioni non appaiono monumentali. La trasparenza del materiale, poi, accresce la precisione scientifica dell’oggetto, che ha al centro fili di acido nucleico.

Luke Jerram ha cominciato la serie nel 2004. L’idea gli è venuta vedendo i primi piani a colori dell’HIV su The Guardian. a cui Jerram ha reagito infastidendosi. Lui, infatti, è daltonico. Da quel momento ad oggi ha rappresentato 20 diversi microorganismi potenzialmente mortali. Ha persino preso la peste suina mentre lavorava a una scultura dello stesso virus nel 2009.

Luke Jerram solo in questo mese porterà i suoi enormi microbi di vetro in due mostre: all’ArtScience Museum di Singapore e all’Hanry Moore Institute nel Regno Unito. Sul sito internet personale una sezione a parte è dedicata alla serie Glass Microbiology. (via Colossal)

Sars Cov 19

Malaria 2015

E. Coli

T4 Bacteriophage 2011

Vaiolo, futura mutazione Senza Titolo, HIV

Serge Attukwei Clottey crea una monumentale cascata nel deserto fissando tessere di taniche gialle l'una all'altra

Serge Attukwei Clottey, Gold Falls, installation view, Desert X AlUla 2022 Courtesy the artist adn Desert X AlUa Photo by Lance Gerber

Forse non si può dire che vedendo Gold Falls si abbia l’impressione di sentire l’acqua scorrere, perchè l’installazione di Serge Attukwei Clottey, ricorda più una stoffa drappeggiata. Di certo però l’effetto è drammatico. Realizzato dall’artista ghanese per la seconda edizione di Desert X AlUla, Gold Falls è un enorme mosaico composto da tessere di galloni kufuor gialli (la cifra stilistica di Attukwei Clottey). Tanto grande da arrivare quasi al vertice di un’alta formazione rocciosa.

Serge Attukwei Clottey con Gold Falls gioca con il tema della manifestazione, il sarab (termine arabo che significa miraggio). Rappresentando l’acqua nel desento, infatti, fa riferimento all’illusione per antonomasia delle zone aride ma anche ai temi a lui cari: migrazione, globalizzazione, ecquità idrica.

"La storia del deserto da una prospettiva africana rappresenta la lotta, la morte per migrazione, la scarsità d'acqua e la tristezza- ha detto Clottey alla pubblicazione di settore Artnet News - Ma avere una mostra nel deserto porta vita e umanità al luogo e alla natura. Usando i galloni kufuor qui come rappresentazione della scarsità d'acqua, volevo cambiare la percezione di questo spazio allo stesso modo in cui l'acqua significa speranza e vita".

Le installazioni di Attukwei Clottey sono spesso importanti nelle dimensioni e le tessere di vecchie taniche di plastica gialla che l’artista raccoglie nei pressi della sua città natale (Accra), stranamente, a prima vista evocano l’oro e i tessuti pregiati. Ma Gold Falls è forse più impressionante del solito, per la collocazione verticale e il movimento, oltre che per la luce intensa e la sostanziale bicromia del paesaggio (l’ocra della sabbia e il blu del cielo).

Gold Falls di Serge Attukwei Clottey resterà collocata nelle valli del deserto di Alula in Arabia Saudita, insieme alle opere di altri quattordici artisti (ad esempio Jim Denevan e Abdullah Al Othman), fino alla conclusione di Desert X AlUla 2022, il 30 marzo. Altre opere dell’artista ghanese si possono vedere qui o sul suo account instagram.

Serge Attukwei Clottey, Gold Falls, installation view (detail), Desert X AlUla 2022 Courtesy the artist adn Desert X AlUa Photo by Lance Gerber

Serge Attukwei Clottey, Gold Falls, installation view (detail), Desert X AlUla 2022 Courtesy the artist adn Desert X AlUa Photo by Lance Gerber

Alla Biennale Arte 2022 non ci sarà la Russia. Artisti e curatore si dimettono. Il Padiglione rimarrà chiuso

La notizia è di domenica. Alla Biennale di Venezia 2022 il Padiglione della Russia non ci sarà. I giovani artisti Kirill Savchenkov e Alexandra Sukhareva oltre al curatore Raimundas Malasauskas hanno dato le dimissioni. Per loro un sogno va in frantumi ma non se la sono sentita di rappresentare il loro Paese dopo l’inizio del conflitto in Ucraina.

Come spiega con partecipazione Savchenkov in un post congiunto con Sukhareva su Instagram e Facebook: "Non c'è posto per l'arte quando i civili muoiono sotto il fuoco dei missili, quando i cittadini ucraini si nascondono nei rifugi, quando i manifestanti russi vengono messi a tacere".

Va detto che il lavoro di Kirill Savchenkov, profondamente calato nelle contemporaneità, ha da prima della guerra una vena critica marcata nei confronti del Cremlino. Ma il conflitto in Ucraina non è andato giù a parecchi, il New York Times riferisce che migliaia di artisti e amministratori culturali hanno firmato petizioni online per esprimere l'opposizione alla guerra. Ma soprattutto sia il prestigioso Garage Museum of Contemporary Art che il neonato GES-2 hanno sospeso eventi e mostre fino alla fine del conflitto. In entrambi i casi tra i maggiori finanziatori ci sono figure molto vicine al Cremlino. D’altra parte l’economia russa si stà inesorabilmente piegando (è di ieri la notizia che il rublo ha raggiunto i minimi storici) e il mondo dell’arte insieme a lei.

La Biennale, che quest’anno si chiamerà Il Latte dei Sogni e sarà curata da Cecilia Alemani, ha dato la notizia delle dimissioni, definendo la scelta di artisti e curatore “nobile” e “coraggiosa”. L’account Instagram del padiglione russo ha chiarito che lo spazio espositivo dedicato alla Federazione (situato proprio all’interno dei Giardini della Biennale). com’era prevedibile, rimarrà chiuso fino alla fine dell’esposizione: “Il Padiglione Russo è una casa per artisti, arte e creativi. Abbiamo lavorato a stretto contatto con gli artisti e il curatore sin dal primo giorno su questo progetto e abbiamo atteso le loro decisioni indipendenti, che rispettiamo e soprattutto sosteniamo. Kirill Savchenkov, Alexandra Sukhareva e Raimundas Malašauskas hanno appena annunciato che non faranno parte del progetto del Padiglione Russo alla 59a Biennale di Venezia e di conseguenza il Padiglione Russo rimarrà chiuso.”

Anche la partecipazione dell’Ucraina alla Biennale Arte è però in bilico. La scorsa settimana l'artista Pavlo Makov e i curatori Lizaveta German, Maira Lanko e Borys Filonenko, hanno dichiarato di sperare di riuscire a realizzare il padiglione ma di trovarsi in seria difficoltà: "Non siamo stati in grado di continuare a lavorare al progetto del padiglione a causa del pericolo per la nostra vita”.

Fireworks and Gunpowder, Kirill Savchenkov, 2018. immagine dal sito dell’artista

Alexandra Sukhareva,Goodbye, Gaze, 2015 Installation detail Courtesy of the artist dal sito di Garage Museum