Con "Life" Olafur Eliasson rifà la sede firmata Renzo Piano della Fondazione Beyeler per riempirla d'acqua e piante

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

La sede della Beyeler Foundation di Riehen (nei pressi di Basilea), progettata da Renzo Piano, si prestava, perchè all’esterno aveva già un laghetto. Così all’artista danese-islandese Olafur Eliasson (famoso, tra gli altri, il suo progetto Ice Watch), per creare l’installazione “Life”, è stato solo necessario (si fa per dire) eliminare la vetrata e sostituire tutti i pavimenti con altrettante vasche d’acqua. Ovviamente poi è stata la volta delle piante (felci galleggianti, ninfee nane, lattughe acquatiche, fiori galleggianti a radice rossa e caltropi d'acqua), delle luci UV, dei microrgnismi, dei colori fluorescenti e via discorrendo. Ma a quel punto il lavoro si poteva dire completo.

L’opera, ideata per la fondazione svizzera, coniuga a livello sia pratico che teorico l’amore per l’architettura di Eliasson con la creazione artistica. Prende, infatti, le mosse da una vera e propria riconfigurazione architettonica che diventa parte integrante dell’opera d’arte. Oltre ad essere un modo estremo di fare installazione site-specific.

L’idea era quella di abbattere i muri che dividono Cultura e Natura.

"Quando Sam Keller, il direttore della Fondazione Beyeler, e io abbiamo discusso per la prima volta della mostra un paio di anni fa, ho pensato, perché non invitiamo tutti alla mostra? Invitiamo il pianeta: piante e varie specie- ha spiegato Olafur Eliasson- Al di là della semplice apertura di una porta, ho deciso di rimuovere i confini strutturali che tengono fuori dall'istituto l'esterno, e sono grato alla Fondazione Beyeler e all'architetto Renzo Piano, che ha costruito il museo, per avermi lasciato assumere il compito di rimuovere accuratamente - e con cura- la facciata in vetro dall'edificio. "

Olafur Eliasson ha creato le condizioni, insomma, perchè l’esterno e l’interno si ibridassero e interagissero, fino a diventare una cosa sola. In maniera che non solo il clima e il colpo d’occhio fossero uguali, ma anche la maggioranza delle forme di vita (insetti e piccoli animali che popolano il parco o i vicini giardini pubblici).

Non a caso (e coerentemente) Life è aperta a tutti: sia al pubblico umano che a quello non umano ( se appena possibile deciderete di visitarla potrete portare il vostro cane o il gatto, per intenderci).

Aperta a sguardi digitali attraverso la speciale telecamera prismatica (che simula l’occhio degli insetti). La mostra è visitabile anche la notte (per questo sono stati necessari fari uv ,e un colorante fluorescente chiamato uranina, che illuminano tutta l’area).

Olafur Eliasson per ideare quest’opera si è ispirato agli scritti dall'antropologa Natasha Myers , secondo la quale all'antropocene dovrebbe seguire il "planthroposcene". Ma l’ha anche ripensata in chiave più astratta e simbolica, dall’imporsi della pandemia in avanti, come specchio dell’interconnessione delle cose e di tutto ciò che non possiamo controllare.

Mentre scrivo questo post non è ancora possibile viaggiare verso la vicinissima Svizzera. Tuttavia “Life” di Olaufur Eliasson rimarrà alla Fondazione Beyeler di Basilea fino a luglio 2021. Tra le altre modalità di visita in presenza da segnalare quella attraverso una conversazione informativa . Il sito internet di Olafur Eliasson e la sua pagina Instagram sono fino ad allora ricche di contenuti. (via Artnet)

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

“Life” (2021), installation view at Fondation Beyeler, Riehen/Basel. Photo by Pati Grabowicz, courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson,  Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Olafur Eliasson, Life, Beyeler Foundation. Images by Mark Niedermann. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles, © 2021 Olafur Eliasson

Alex Da Corte mette Big Bird dei Muppets (che sogna Calvino) a presidiare il Met di New York

The Roof Garden Commission, Alex Da Corte, As Long As The Sun Lasts, 2021  image by Anna-Marie Kellen, courtesy The Metropolitan Museum of Art

The Roof Garden Commission, Alex Da Corte, As Long As The Sun Lasts, 2021 image by Anna-Marie Kellen, courtesy The Metropolitan Museum of Art

L’artista statunitense (originario del New Jersey ma residente a Philadelphia) Alex Da Corte (è stato anche alla Biennale e ne ho parlato qui), conosciuto per i sui sfrontati furti alla cultura pop di colori vivaci e personaggi da cartone animato, ha colpito ancora. Questa volta si è preso “Big Bird” dei Muppets e l’ha messo in cima a una scultura che ricorda quelle che faceva Alexander Calder nella prima metà del ‘900. Su una terrazza del Met da cui si vede tutta New York.

Ma lui (“Big Bird”) ha in testa le novelle dItalo Calvino. E il corpo ricoperto da 7mila piume di alluminio tagliate a laser una per una. Senza contare che se ne stà a oltre 2mila metri da terra e si muove col vento. Ma questa è un’altra storia.

Andando per ordine la “The Roof Garden Commission” del Metropolitan Museum of Arts (Met) di New York è un appuntamento fisso ma quest’anno, mentre il mondo si risveglia alla vita, dopo la brusca frenata della pandemia, assume connotazioni particolari. Anche e soprattutto perchè Alex Da Corte, chiamato a interpretare quest’opera d’arte pubblica ha studiato la scultura che adesso domina lo skyline della Grande Mela, proprio quando il Covid-19 cominciava a imporsi nella cronaca. Non a caso Big Bird è triste, anzi tanto malinconico da assumere il colore della versione brasiliana della serie (in cui anzichè giallo era blu). E guarda verso cielo cercando di allontanarsi il più possibile da terra.

Il risultato è una sintesi della poetica dell’artista con riferimenti al Metropolitan Museum (affidati al riferimento ad Alexander Calder che al Met venne premiato) e lo sguardo consapevolmente rivolto a un momento in cui attualià e Storia diventano una cosa sola.

"L'audace lavoro di Alex Da Corte (...) oscilla tra gioia e malinconia e porta un messaggio giocoso di ottimismo e riflessione- spiegano il diretore Max Holleinm e la direttrice francese Marina Kellen- L'installazione, che l'artista ha avviato proprio mentre la pandemia si stava diffondendo, ci invita a guardare attraverso una lente familiare, popolare e moderna alla nostra condizione in un paesaggio emotivo trasformato."

La scultura, nonostante le dimensioni monumentali e il peso dei materiali utilizzati, si muove. O per meglio dire, oscilla dolcemente con il vento. Diventando eterea e attirando lo spettatore ad osservarla da punti di vista diversi e a fermarsi a riflettere mentre la guarda. E, insieme a lei, sposta gli occhi sula città.

La “The Roof Garden Commission” di Alex Da Corte si chiama “As Long as the Sun Lasts”. il titolo fa riferimento a una novella dello scrittore italiano Italo Calvino ( “Le città invisibili” sono state a lungo fonte di ispirazione e riflessione per Da Corte). Da parte sua Big Bird dei Muppets resterà ad osservare lo Skyline di New York appollaiato sulla scultura del Metropolitan Museum of Modern Art fino al 31 ottobre 2021. (via Designboom)

The Roof Garden Commission, Alex Da Corte, As Long As The Sun Lasts, 2021  image by Anna-Marie Kellen, courtesy The Metropolitan Museum of Art

The Roof Garden Commission, Alex Da Corte, As Long As The Sun Lasts, 2021 image by Anna-Marie Kellen, courtesy The Metropolitan Museum of Art

The Roof Garden Commission, Alex Da Corte, As Long As The Sun Lasts, 2021  image by Hyla Skopitz, courtesy The Metropolitan Museum of Art

The Roof Garden Commission, Alex Da Corte, As Long As The Sun Lasts, 2021 image by Hyla Skopitz, courtesy The Metropolitan Museum of Art

Spugne e coralli d'argilla scolpiti da Marguerita Hagan, tanto realisti da richiedere mesi di lavoro

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Di Philadelphia Marguerita Hagan, è appasssionata di vita sottomarina. Gli organismi che popolano le profondità oceaniche, anche i più minuti, quelli che non si vedono a occhio nudo, la affascinano e nel tempo sono diventati il centro della sua pratica artistica.

La Hagan li osserva, li studia, e poi da loro trae ispirazione per le sue sculture d’argilla dipinta. Non si può dire che li riproduca, perchè la maggior parte delle volte li rielabora in creazioni che, però, mantengono inalterato lo stupore che l’artista prova di fronte alla quasi miracolosa visione di queste creature.

E’ il caso della recente serie “Marine Abstracts” in cui il nome stesso rende evidente la volontà di Marguerita Hagan di reinventare le architetture marine organiche in forme ripetitive fino ai limiti dell’astrazione. Come nel capitolo dedicato alle spugne di mare (“Cayman Crush” perchè l’artista, in questo caso, ha osservato organismi delle isole britanniche situate nel Mar dei Caraibi), che Hagan sceglie per il loro importante valore all’interno dell’escosistema degli oceani (ma anche come simbolico in termini di cura umana). E che modella con maniacale precisione in migliaia di protuberaze, buchetti e volute.

"Le spugne sono il sistema di filtraggio dell'oceano che elimina oltre il 90% dei suoi batteri-scrive sul suo sito- producendo anche ossigeno. Il primo trattamento per l'HIV è stato modellato sui composti di una specifica spugna marina e il primo farmaco per il cancro di origine marina proveniva dalle spugne di mare. L'elenco continua a rendere la protezione del più grande ecosistema del nostro pianeta, l'oceano, un investimento cruciale."

A stupire tuttavia è la tecnica scelta da Hagan. Un processo talmente lungo e scrupoloso (eseguito totalmente a mano), tanto che alcune sculture possono richiedere mesi di lavoro prima di essere completate. D’altra parte, una volta lavorata la ceramica viene cotta dalle otto alle dieci volte. E poi dipinta con smalti: bianchi, rosa e lilla.

Per vedere altre creature marine, studiate e reinventate da Marguerita Hagan nelle sue impressionanti opere ceramiche d’arte applicata, il sito internet dell’artista e il suo account instagram potranno essere d’aiuto. (via Colossal)

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