Liu Bolin sparito tra i ghiacci per la Moncler riappare nel mondo del fashion. La storia di come un artista diventa anche stilista

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

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Era solo una questione di tempo. Per quanto la sua ultima collaborazione con la Moncler abbia fatto parlare più del solito, la liaison tra l’artista cinese Liu Bolin (di cui ho parlato qui) e il mondo della moda dura da tempo. Ed era ovvio che prima o poi ne sarebbe venuto fuori qualcosa. 
Come una collezione. Firmata Liu Bolin, naturalmente.

Conosciuto anche come ‘l’uomo invisibile’, per la sua capacità di rendersi indistinguibile dal  paesaggio nelle fotografie, Liu Bolin, sta vivendo un periodo di crescente successo. E’ finita da poco la grande mostra a lui dedicata dalla Maison Européenne de la photographie di Parigi (Ghost Stories). Ma è stata soprattutto la campagna pubblicitaria per l’autunno-inverno 2017-2018 di Moncler a intercettare l’interesse della stampa. 

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

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Infatti, quella fotografia di Liu dipinto dalla testa ai piedi nei colori del paesaggio scattata da anne leibovitz tra i ghiacciai islandesi ha attirato l’interesse dei giornali di tutto il mondo. E difficilmente avrebbe potuto passare inosservata 

Nel maggio 2017, abbiamo realizzato « la campagna pubblicitaria di Moncler »- ha spiegato Liu Bolin in un’intervista rilasciata a Paris Match- al polo nord, con Annie Leibowitz. Io volevo un sfondo con gli icebergs. Mi è piaciuto il lato magico e irreale del luogo. Erano in quattro a dipingermi, tutti in una volta, la foto non ci ha preso più di un ora di tempo. Fortunatamente, perché faceva freddissimo!

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

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Era già la seconda volta che Bolin e la Leibowitz lavoravano insieme per il marchio di Monestier-de-Clermont (la campagna primavera-estate 2017 porta le loro firme). Ma l’esperienza dell’artista cinese nel mondo della moda non si limita a questo. Nel 2015 si è fatto invisibile per Guerlain e nel 2012, per la rivista Harper’s Bazaar, ha collaborato con ben quattro marchi di fama inossidabile: Jean Paul Gaultier, Lanvin, Missoni e Valentino. Quest’ultimo, da parte sua, si è anche ispirato a lui per una collezione di scarpe da ginnastica.

Liu Bolin, Hiding in the City Paris, Love, 2014 © Liu Bolin / Courtesy Liu Bolin / Galerie Paris-Beijing Collection Guerlain

Liu Bolin, Hiding in the City Paris, Love, 2014 © Liu Bolin / Courtesy Liu Bolin / Galerie Paris-Beijing Collection Guerlain

D’altra parte per scomparire nelle fotografie, Liu Bolin, non può limitarsi al body painting, deve pure dipingere, insieme al suo staff, abiti e scarpe. Tenere conto delle distorsioni che i vestiti possono portare alla figura e al colore, oltre a prendere in considerazione la natura dei tessuti che usa come tela. 

Insomma quella con la moda era quasi una relazione annunciata. Che è diventata ufficiale lo scorso autunno quando Liu Bolin ha debuttato come stilista nel corso del ‘New York Fashion week’.

La collezione (primavera/estate 2018) comprende 24 pezzi (vestiti, pantaloni, maglie, camicie, giubbotti, c‘è persino un abito da gran sera) ispirati alle 12 opere della serie ‘Hiding in New York’ (2011) in cui parlava di armi da fuoco, consumismo e informazione. Ne è venuta fuori una collezione piacevole, molto colorata, giocata sulle forme particolari e su una certa morbidezza. Che probabilmente per pura coincidenza ricorda vagamente il marchio fiorentino Save the Queen.

maria grazia chiuri e pierpaolo piccioli per valentino photo liu bolin courtesy eli klein fine art

maria grazia chiuri e pierpaolo piccioli per valentino photo liu bolin courtesy eli klein fine art

Le collaborazioni tra artisti e mondo della moda sono piuttosto comuni. Basta citare Louis Vuitton che ha chiesto di firmare i suoi accessori a grandi nomi dell’arte contemporanea in più di un‘occasione (della ‘The Masters Collection’ di Jeff Koons ho parlato qui). Meno consueto, invece, è un artista che crea un marchio tutto suo. Ma Liu Bolin non è il primo. E’ famoso il  caso di Yayoi Kusama, anche se va detto che i suoi erano abiti un po’ particolari. (via designboom, lemondedelaphoto, designyoutrust)

Liu Bolin / Courtesy Galerie Paris-Beijing

Liu Bolin / Courtesy Galerie Paris-Beijing

jean paul gaultier photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

jean paul gaultier photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

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angela missoni  photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

angela missoni  photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

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liu bolin per harper's bazaar

liu bolin per harper's bazaar

Distributori automatici come fari, nella campagna buia e innevata di Hokkaido

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In Giappone nei distributori automatici si vende di tutto: pasti caldi, mazzi di fiori, riviste e uova fresche. Va da se quindi che le macchinette siano diffuse un po’ ovunque. Anche nell’estremo nord del paese dove gli inverni sono bui e rigidi. Anche nelle periferie. Persino nelle aree rurali. 

Impressiona comunque vedere i distributori automatici come unica testimonianza di vita in piccoli centri di una Hokkaido stretta nella morsa del gelo. Come quelli che il fotografo Eiji Ohashi ha congelato nella serie di scatti ‘Time to shine’. Non che ce ne fosse bisogno, dato che le macchinette di Hokkaido sembrano lì da sempre,  unica testimonianza di vita dopo che tutto il resto è stato spazzato via. Unica fonte di luce in un paesaggio freddo e buio.

"A Hokkaido dove vivo, gli inverni sono duri e le nevicate sono intense", dice il fotografo Eiji Ohashi  "Ogni giorno può riservare degli incovenienti.” Soprattutto nei piccoli agglomerati di case in zone remote dove la neve costringe i pochi abitanti in casa “Ma anche allora posso ottenere bevande calde dai distributori automatici- continua- Quando ho qualcosa di caldo  comprato da un distributore, i miei sentimenti si rilassano."

Insomma a Eiji Ohashi le macchinette piacciono. E non c’è da stupirsene, visto che in Giappone i distributori automatici hanno una diffusione capillare (1 ogni 23 abitanti) e fanno parte del paesaggio urbano dall’800 (in Italia le prime le hanno portate gli americani dopo la seconda guerra mondiale).

Ma anche nella patria dei distributori automatici, in zone e climi in cui costituiscono un conforto, questi negozi-macchina sono minacciati dalle leggi del mercato, che decidono della rimozione di quelle che vendono meno. Esattamente come succede per i piccoli esercizi commerciali e con le stesse conseguenze per le comunità che vi ruotano intorno.

Delle fotografie di Eiji Ohashi hanno parlato importanti testate, e i suoi distributori automatici dopo essere stati al centro di un libro (‘Roadside Lights’) saranno in mostra a Parigi (dal 7 al 30 dicembre) a Gallery & co 119. (via Spoon and Tamago)

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Come colorati circuiti elettrici gli ombrelloni della Versilia nella fotografia aerea di Bernhard Lang

Bernhard Lang, Aerial Views, Versilia; all photos Courtesy Bernhard Lang

Bernhard Lang, Aerial Views, Versilia; all photos Courtesy Bernhard Lang

Il fotografo tedesco Bernhard Lang (di cui ho già parlato qui e qui) ha recentemente ultimato la serie ‘Versilia’. Gli scatti, si focalizzano sul litorale toscano, ripreso dal cielo durante il periodo estivo. La particolarità di queste immagini però è che sembrano ritrarre dei colorati circuiti elettrici anziché ombrelloni e bagnanti.
‘Versilia’ fa parte del ciclo ‘Aerial Views’ in cui Bernhard Lang indaga con la fotografia aerea il mutamento della percezione con il cambiare del punto di vista. I sui scatti non di rado rasentano l’astrattismo ma molto spesso svelano immagini più o meno casuali, altrimenti invisibili, tracciate dal ripetersi degli elementi che l’uomo ha collocato arbitrariamente nel paesaggio.

Gli preme trovare patterns e strutture, che a volte sembrano dipinti astratti- è scritto sul sito internet di Lang a proposito di ’Aerial Views’-Bernhard ha anche sviluppato un particolare interesse per il catturare immagini che mostrano l'impatto delle attività umane sulla natura e sull'ambiente.”

Secondo il fotografo di Monaco l’intervento dell’uomo sul paesaggio può essere letto in due modi: “Da una parte c’è una bellezza formale o comunque un ordine piacevole, ma sull’altro piatto della bilancia c’è la trasformazione o decostruzione della natura originaria”.

Per fare tutto questo Lang non è tipo che si risparmia. Niente droni per lui. Le foto le scatta alla vecchia maniera, macchina alla mano. Solo che invece di essere con i piedi per terra usa aerei ultraleggeri o elicotteri e non di rado deve sporgersi in modo avventuroso per trovare l’angolazione perfetta.
La serie ‘Versilia’ non è la prima dedicata da Bernhard Lang al paesaggio italiano: è sempre di quest’anno quella in cui effigiava le cave di marmo di Carrara, mentre nel 2014 ha ritratto la costa tra Rimini e Riccione.

Rispetto al litorale Adriatico l’area che compare in ‘Versilia’ è ordinata in maniera meno ripetitiva e dozzinale. E’ anche chiaro che lo spazio vitale lasciato a disposizione dei bagnanti è più ampio.

Per vedere altre fotografie aeree di Bernhard Lang, della serie ‘Versilia’ o di altre raccolte del ciclo ‘Aerial views’ ci sono il suo sito internet e il suo account Behance e quello instagram

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