Quanto valgono le immagini? Le fotografie spettacolari e sospese di Armin Linke conducono la ricerca di "Image Capital" al Mast di Bologna

Armin Linke, Ter Laak Orchids, linea di produzione delle orchidee, Wateringen, Paesi Bassi, 2021. Courtesy: l'artista e Vistamare Milano/Pescara

Come sono fatte le fabbriche di orchidee? E un super-computer? Ma anche: quanto possono valere tutte le immagini imagazzinate sul telefonino? Se siete curiosi la grande fotografia di Armin Linke, risponderà a tutte queste domande e ad altre ancora.

La mostra “Image Capital” condotta dal filo sottile della grande fotografia dell’artista, Armin Linke, procede alla ricerca di risposte sul futuro delle immagini digitali. Mentre immerge gli spettatori in vari materiali d’archivio, come fotografie, opere video, testi, immagini, found footage oltre a interviste a ricercatori, scienziati e ingegneri.

Nata dalla collaborazione tra Linke e la storica della fotografia Estelle Blaschke, (ricercatrice dell’Università di Basilea), l’esposizione, è stata presentata in anteprima al Museo Folkwang di Essen (Germania) e adesso si trova al Mast di Bologna.

Centrata su “La fotografia come tecnologia dell'informazione" (come recita il sottotitolo), l’idea alla base dell’esposizione, è che la fotografia digitale (soprattutto da quando i social media e gli smartphone sono riventati grandi depositi) ha modificato il nostro rapporto con le immagini. Una quantità, inimmaginabile in passato, di fotografie che si accumulano pubblicamente e privatamente.

"La fotografia ha aiutato lo sviluppo delle industrie globali e dei grandi apparati governativi- scrive Blaschke nella presentazione- Le pratiche digitali appaiono in continuità con le pratiche analogiche, anche se con una scala e un ritmo diversi. Tuttavia, le pratiche digitali contemporanee (nella modellazione, nell'ingegneria, nella produzione agricola, ecc.) favoriscono, o addirittura provocano, un riesame dei punti ciechi o degli episodi dimenticati nella storiografia della fotografia”.

Ed è in questa prospettiva che la mostra riesamina il passato. Svelandoci una Storia parallela della Fotografia, in cui quest'utima diventa funzionale ai processi di produzione industriale ma anche scientifici e culturali. Le immagini, insomma, hanno contribuito al racconto della storia e alla crescita dell’economia e del sapere.

Quando e in quali circostanze le immagini sono diventate operative?-continua Blaschke - Qual è il potere economico di masse di immagini e quale ruolo svolgono gli archivi e i sistemi organizzativi non solo nel preservare i "dati" fotografici, ma anche nel generare nuove informazioni e potenzialmente nuove intuizioni? Quali immaginari, ideologie e retorica governano le pratiche visive nelle società capitaliste? "

La fotografia di Armin Linke, con le sue stampe in grandi formati punteggiate da colori intensi dei soggetti inanimati, ci accompagna in cerca di queste risposte. Mostrandoci stanze in cui non siamo mai entrati, stringendo l’obbiettivo su processi che non conosciamo, fino allo straniamento o persino all’astrazione.

Mentre “Image Capital” ci conduce dalla memoria ai soldi, attraverso le sei sezioni in cui è sudivisa (Memory, Access, Protection, Mining, Imaging, Currency). Permettendo allo spettro del controllo di confondersi tra paure e riflessioni.

Nato a Milano, Armin Linke, vive e lavora tra Milano e Berlino. Le sue opere sono in collezioni importanti come il Guggenheim Museum e il Maxxi di Roma

Curata da Francesco Zanot,Image Capital” di Armin Linke, rimarrà al Mast di Bologna fino all’8 gennaio 2023. Poi la mostra si trasferirà al Centre Pompidou di Paris e, infine, ancora in Germania alla Deutsche Börse Photography Foundation (Francoforte e Eschborn). Tutto il materiale esposto e quello pubblicato, inoltre, è accessibile online. Armin Linke ha poi un sito internet e un account instagram su cui si può dare uno sguardo ad altre sue opere.

Armin Linke, Università di Stoccarda, High-Performance Computing Center (HLRS), Stoccarda, Germania, 2019. Courtesy: l’artista e Vistamare Milano/Pescara

Fotografo sconosciuto, pubblicità della Recordak con etichetta "Tutti questi assegni in 30 metri di rullino. Un bel risparmio", 1955 c. Università di Rochester, Libri Rari, Collezioni Speciali e Conservazione (RBSCP), Kodak Historical Collection

Armin Linke, CERN, Large Hadron Collider (LHC), Ginevra, Svizzera, 2019. Courtesy: l'artista e Vistamare Milano/Pescara

Pubblicità Kodak per il Recordak Miracode System, 1966. George Eastman House, Legancy Collection

Armin Linke, Sito di stoccaggio di Iron Mountain, Boyers (PA), USA, 2018. Courtesy: l'artista e Vistamare Milano/Pescara

Fortune Magazine, vol. 62, no. 3, Settembre 1960. Courtesy: Estelle Blaschke & Armin Linke

Armin Linke, Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut, Fototeca, Firenze, Italia, 2018. Courtesy: l'artista e Vistamare Milano/Pescara

Armin Linke, Ter Laak Orchids, tecnologia di differenziazione ottica, Wateringen, Paesi Bassi, 2022. Courtesy: l'artista e Vistamare Milano/Pescara

L'impianto antincendio va in tilt e l'insegna di un hotel di Chicago si trasforma in una torre di ghaccio

Tutte le foto © Andrew Hickey 

Tutte le foto © Andrew Hickey 

La tempesta di neve e le condizioni climatiche estreme che hanno colpito la settima scorsa gli Stati Uniti hanno portato con se anche qualche scintilla di magico stupore. E' il caso del piccolo evento evento, documentato in questi scatti dal fotografo di street-art Andrew Hickey: una torre di ghiaccio alta 21 piani.

 L'effimera e accidentale scultura si è formata in corrispondenza della scala esterna e dell'insegna di un hotel di Chicago. A crearla è stato un guasto all'impianto antincendio che si è verificato al ventunesimo piano. L'acqua ha formato una cascata che si è immediatamente ghiacciata. 

Il fotografo Andrew Hickey era lì, come molti altri cittadini, e ha documentato l'accaduto. In fondo al post anche il fiume di Chicago ridotto a una lastra di ghiaccio.

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278 Likes, 7 Comments - @drewinchicago on Instagram: "Wells Street Bridge. #🏙 #😬 #💦"

Biennale di Venezia 2017| I migranti si trasformano in personaggi di un noir on the road nel sofisticato Padiglione Australia di Tracey Moffatt

Tracey Moffatt,  Mother & Baby (Passage Series)

Tracey Moffatt,  Mother & Baby (Passage Series)

C’è un porto dove si radunano misteriosi personaggi in bilico tra passato e presente; hanno già fatto o stanno per fare una scelta difficile; si percepisce che hanno una storia. Ma c’è anche una cameriera che continua ad occuparsi delle faccende domestiche, con tanto di uniforme, in un rudere. E poi navi, anzi barconi, in balia di un mare agitato e degli sguardi delle star della Hollywood degli anni d’oro.

Il Padiglione Australia dell’artista Tracey Moffatt porta un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà alla Biennale di Venezia 2017. Attraverso una fotografia studiata e pittorica. Ma soprattutto spiccatamente cinematografica. Come se ogni immagine in mostra fosse un film condensato.

Intitolata “My Horizon” (“Il mio Orizzonte”), l’esposizione di Tracey Moffatt, presenta 2 serie di fotografie (“Passage”- “Traversata”-; “Body remembers” -Il corpo ricorda-) e 2 video (“Vigil” - “Veglia”-; “The white ghosts sailed in” - “I fantasmi bianchi giunsero dal mare”) . E’ curata dal critico Natalie King.

“Succede a volte nella vita di riuscire a vedere ‘ciò che viene sull’orizzonte’- dice Tracey Moffatt - ed è questo il momento di attivarsi oppure di non fare nulla e stare ad aspettare qualsiasi cosa stia per arrivare”.
Ogni serie è ricca di riferimenti letterari e cinematografici ma a colpire è quanto l’artista riesca a rendere naturali i virtuosismi stilistici e a fonderli con una sensibilità decisamente femminile per la storia e i personaggi.

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Passage (Traversata): è un racconto aperto, ambientato in un porto. La collocazione geografica della storia non è chiara e anche il periodo in cui si svolge non vuole esserlo. L’atmosfera oscilla tra quella di un colossal a sfondo epico, di un noir, di un western fino al sapore della pelliccola on-the-road. E non contenta di tutto questo cinema, la Moffatt, è riuscita a mettere anche un bel po’ di pittura in ogni scatto (da Turner a Hopper) e (perché no?!) anche quel tanto di fumetto che basta.
I personaggi misteriosi e tormentati di questa serie sono tutti quelli che intraprendono un lungo viaggio: “Ciò che Tracy Moffat intende evocare sono gli ardimentosi viaggi per mare- scrive Natalie King nel catalogo della mostra- (…) Smantellando le convenzioni del narrare, racconta per immagini una storia di viaggio e rifugio, di fuga e oblio”. Insomma anche l’artista australiana è stata catturata dal tema dei richiedenti asilo e ne ha fatto i principali protagonisti di “Passage”.
Body remembers (Il corpo ricorda): declinata sull’ocra è una serie più intima, con una connotazione autobiografica. Racconta di una cameriera che torna nella casa in cui fu a servizio tanti anni prima.

Per visitare il sofisticato Padiglione Australia di Tracey Moffatt e togliersi la voglia di fotografia con la “f” maiuscola, basterà andare ai Giardini prima della fine della Biennale di Venezia 2017.

Tracey Moffatt, Touch (Body Remembers Series)

Tracey Moffatt, Touch (Body Remembers Series)

Tracey Moffatt,  Tug (Passage Series)

Tracey Moffatt,  Tug (Passage Series)

Tracey Moffatt,  Weep (Body Remembers Series)

Tracey Moffatt,  Weep (Body Remembers Series)

Tracey Moffatt, Mad Captain (Passage Series)

Tracey Moffatt, Mad Captain (Passage Series)

Tracey Moffatt,  Hell (Passage Series)

Tracey Moffatt,  Hell (Passage Series)

Tracey Moffatt, Shadow Dream (Body Remembers Series)

Tracey Moffatt, Shadow Dream (Body Remembers Series)

Tracey Moffatt, Window Man (Passage Series)

Tracey Moffatt, Window Man (Passage Series)

Tracey Moffatt, Cop and Baby (Passage Series)

Tracey Moffatt, Cop and Baby (Passage Series)

Padiglione Australia, My Horizon, Biennale di Venezia 2017

Padiglione Australia, My Horizon, Biennale di Venezia 2017