La designer Nanako Kume con un temperino gigante crea lampade simili a trucioli di matite colorate

Tutte le immagini © Nanako Kume

La designer giapponese Nanako Kume ha sempre trovato belli i trucioli di matita colorata. Tanto da inventarsi un buffo macchinario per farne degli oggetti d’arredo. E dedicargli un’intera collezione.

La serie di lampade a sospensione Sharpener, infatti, imita alla perfezione i trucioli di matita colorata. Che appesi al soffitto in varie dimensioni, colori, tipi di legno e curvature, hanno effetti estetici diversi. Ma riescono comunque ad evocare il gioco, l’infanzia, l’ingenuità, la semplicità e la creatività nella sua forma più pura. Per ottenerle, Nanako Kume, usa un enorme temperino a manovella di sua invenzione.

"Fin dall'infanzia- ha scritto Kume- sono stata affascinata dalla forma e dalla fugacità dei trucioli che si ottengono quando si temperano le matite. Ho pensato che aumentando le dimensioni e lo spessore di ciò che deve essere scartato come rifiuto, sarebbe stato possibile creare nuovi prodotti mantenendo la bellezza della forma."

Con il mutare delle dimensioni però, il processo per ottenere i trucioli si fa più lungo e complicato. Come ha spiegato la stessa designer in un video condiviso su Youtube e Instagram. Nelle immagini, infatti, si vede Kume modellare i blocchi di legno per dargli la forma delle matite. Immergerli nell’acqua e metterli in un ambiente impregnato di vapore per renderli flessibili. Per poi colorarli con vernice a spruzzo e tagliarli.

La fase intermendia è la meno prevedibile ma serve a temperare il legno più facilmente senza romperlo e a imprimergli una forma duratura una volta asciutto.

La designer Nanako Kume, condivide le lampade a sospensione a forma di trucioli di matita colorata, su Instagram. A breve inoltre intende rendere le creazioni della serie Sharpener disponibili all’acquisto.

Biennale di Venezia 2022| The Sámi Pavilion, pittura brutale, danze rituali e sculture sospese, il padiglione dei Paesi Nordici parla per la prima volta il sami

Pavilion of NORDIC COUNTRIES, The Sami Pavilion, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

Quest’anno, per la prima volta, i Paesi Nordici (Norvegia, Finlandia e Svezia) hanno ceduto il loro padiglione della Biennale di Venezia al popolo Sami. L’installazione affidata ai tre artisti indigeni Pauliina Feodoroff, Máret Ánne Sara, Anders Sunna si intitola semplicemente The Sámi Pavilion e racconta, sostanzialmente, della difficoltà di mantenere fede a se stessi in un mondo che parla una lingua diversa dalla tua e che, spesso, preferisce far finta di non sentirti. Ma propone anche una prospettiva pacificatoria. Oltre a evocare atmosfere lontane.

I Sami, chiamati erroneamente lapponi, sono l’unica popolazione indigena europea. Occupano una porzione di territorio freddo e vasto che chiamano Sapmi e comprende porzioni di quattro nazioni (Norvegia, Finlandia, Svezia e Russia). Ci sono notizie del loro insediamento fin dal 551 anche se le loro lingue (ne esistono diverse) sono sempre state tramandate oralmente. All’origine erano nomadi. Si dedicavano alla pesca, alla caccia e ad allevare renne. Quest’ultima attività non è venuta meno neppure oggi dopo che hanno smesso di spostarsi. E’ talmente diffusa che tutti e tre gli artisti chiamati a rappresentare i Paesi Nordici hanno familiari che praticano questo mestiere.

Ma allevare renne può non essere per niente facile. I problemi dei Sami sono cominciati con quello che viene definito colonialismo nordico: le loro terre sono state sfruttate mentre i missionari cercavano di convertirli dallo sciamanesimo e dall’animismo che erano le loro tradizionali religioni. La pastorizia nel frattempo è diventata motivo di dissapori. E di cause giudiziarie. Alla base di queste incomprensioni la differenza culturale e la tendenza occidentale a interpretare le dispute con i propri canoni.

The Sámi Pavilion propone “dei modi di guarire, sanare e far rinascere la mentalità Sami oggi” a partire da un modello di curatela molto particolare. Ad occuparsene infatti, è stato un gruppo composto da una studiosa sami (Liisa-Rávná Finbog), dalla direttrice dell'OCA (Office for Contemporary Art Norway) Katya García-Antón e dalla guardiana della terra sami Beaska Niillas. Ma non solo. Seguendo l'usanza Sami di imparare dagli anziani della comunità, gli artisti selezionati hanno anche beneficiato della guida individuale di alcuni di loro.

Nonostante ciò i progetti esposti sono venati d’amarezza, a tratti le opere si fanno persino brutali. Pauliina Feodoroff, Máret Ánne Sara, Anders Sunna, in ogni caso, risolvono il padiglione con equilibrio. Senza che nessuna voce risulti disarmonica. Usando una certa varietà di mezzi espressivi e lasciando respirare i lavori, cullati dalla luce naturale che entra dalle grandi vetrate del padiglione modernista.

Con la performance in tre atti Matriarchy, registrata su video digitali, la regista teatrale Feodoroff parla di deforestazione per sollecitare un cambio di passo. “Il mio lavoro-ha detto- propone modi per proteggere le ultime vecchie foreste rimaste in crescita e lasciare che le aree disboscate abbiano il tempo di guarire. Il nostro messaggio è, per favore, non comprare la nostra terra, compra invece la nostra arte.

Illegal Spirits of Sápmi, dell’unico uomo del gruppo, mette invece insieme tecnica mista, suono e documenti d'archivio, per creare un polittico dolente in cui esperienza personale e di comunità procedono in parallelo. La famiglia di Sunna, infatti, ha una storia di resistenza nei confronti di una legge dello Stato svedese che ha profondamente colpito i pastori. Nel tempo questa disputa si è inasprita “Quando lo stato- spiega il sito del progetto- ha rimosso i segni delle renne Sunna, ereditati da generazioni, trasformandoli in fuorilegge nella loro stessa terra.” Producendo al contempo cumuli di documenti giudiziari e aprendo una ferita insanabile nei protagonisti. L’artista racconta la rabbia e l’impotenza con dei quadri in cui predominano i colori primari e la complessa narrazione scorre con regole proprie, quasi oniriche. L’ultimo l’ha addirittura bruciato.

I toni forti del lavoro di Sunna evaporano nella leggerezza poetica delle sculture di Máret Ánne Sara. Le opere, composte da parti di renne morte di morte naturale (stomaci, tendini, tessuti), piante della tundra essiccate e odori, fluttuano nello spazio come disincarnate. E alludono alla sofferenza ma anche alla memoria, alla cura e ai saperi tradizionali. Oltre ad una spiritualità che non può prescindere dal profondo legame con la natura.

The Sámi Pavilion con le opere di Pauliina Feodoroff, Máret Ánne Sara, Anders Sunna, rimarrà ai Giardini della Biennale di Venezia per tutta la durata della 59. Esposizione Internazionale d’Arte (fino al 27 novembre 2022).

Pavilion of NORDIC COUNTRIES, The Sami Pavilion, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of NORDIC COUNTRIES, The Sami Pavilion, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of NORDIC COUNTRIES, The Sami Pavilion, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

Pavilion of NORDIC COUNTRIES, The Sami Pavilion, 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams. Photo by: Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia

L'enorme installazione di Kaarina Kaikkonen fatta con più di mille camicie legate insieme a Milano

Tied together, Kaarina Kaikkonen, Rotonda di via Besana. Photo Lorenzo Palmieri

Da oggi sarà possibile visitare l’enorme installazione di Kaarina Kaikkonen, al Colonnato della Rotonda di via Besana di Milano. L’opera si intitola Tied Together ed è stata realizzata in occasione della personale dell’artista finlandese alla galleria M77. Per crearla Kaikkonen ha legato l’una all’altra oltre mille camicie usate.

Nata nel ‘52, Kaarina Kaikkonen, è conosciuta soprattutto per le sculture e installazioni fatte con gli indumenti usati. Che utilizza per evocare vari concetti in un colpo solo e per la loro duttilità. Nelle mani dell’artista, infatti, i capi di vestiario assemblati tra loro e manipolati cambiano forma. A volte Kaikkonen li dispiega in modo massivo, come un esercito disincarnato, senza rinnunciare però alla loro leggerezza. Altre li irrigidisce e unisce fino a fargli assumere forme inspettate, che, caso per caso, possono ricorare, serpenti, oggetti stilizzati, strane creature e persino ossa.

Gli interventi possono essere giocosi, ironici, appena velati di nostalgia o profondamente malinconici.

Tied Together, ideato per il cortile del complesso tardobarocco, spinge a guardare verso le arcate, facendo contemporaneamente riferimento al passato dello spazio in cui è collocato. Così le camicie fluttuano di fronte allo spettatore come una parata di fantasmi. La Rotonda della Besana, infatti, è un ex cimitero che conteneva quasi 150 mila corpi, e fino al 1700, era il luogo di sepoltura delle salme provenienti dall’ospedale Maggiore. Come ancora oggi ricorda il porticato con le sue decorazioni a forma di piccoli teschi.

Francesca Alfano Miglietti, curatrice della mostra e dell'intervento di arte pubblica di Kaikkonen, che aveva già affrontato il tema degli abiti come involucro, memoria del corpo, nella mostra di Palazzo Reale, Corpus Domini Dal Corpo Glorioso alle Rovine dell’Anima, ha scritto: “Che legame c’è tra abiti, corpo e memoria? Le opere di Kaarina Kaikkonen sono poetiche riflessioni sull'umanità in questo tempo, in ogni atto immaginativo e creativo vive la stessa relazione che esiste tra l’ombra e il corpo che la proietta. Kaarina Kaikkonen sa bene che ricreare esperienze è ricordare, e mostra così l’altra faccia di una presenza, i vestiti contengono la presenza di chi li ha indossati, e la sua opera pone lo spettatore di fronte a qualcosa di nuovo e sconosciuto, ma allo stesso tempo di estremamente familiare e intimo

Recuperare il numero di camicie necessario a completare il progetto non è stato facile. Per farlo Kaikkonen ha collaborato con l’organizzazione umanitaria di cooperazione internazionale Humana People to People Italia. Quest’ultima le ha selezionate tra quelle depositate nei contenitori stradali (gestisce il servizio di raccolta di abiti usati in 42 province italiane). Al termine dell’evento le camicie verranno vendute contribuendo a finanziare dei progetti solidali.

Tied Together di Kaarina Kaikkonen rimarrà allestita alla Rotonda di via Besana fino al 6 novembre 2022. Si tratta di un progetto d’arte pubblica, accessibile a tutti gratuitamente. La mostra personale dedicata alla stessa artista finlandese dalla galleria privata milanese M77, invece, aprirà domani e chiuderà il 22 dicembre 2022.

Tied together, Kaarina Kaikkonen, Rotonda di via Besana. Photo Lorenzo Palmieri

Tied together, Kaarina Kaikkonen, Rotonda di via Besana. Photo Lorenzo Palmieri

Tied together, Kaarina Kaikkonen, Rotonda di via Besana. Photo Lorenzo Palmieri

Tied together, Kaarina Kaikkonen, Rotonda di via Besana. Photo Lorenzo Palmieri

Tied together, Kaarina Kaikkonen, Rotonda di via Besana. Photo Lorenzo Palmieri

Kaarina Kaikkonen, Vain tuulen henkäys / Only a Breath of Wind, 2010 Camicie da uomo 40 x 340 x 120 cm Photo: Lorenzo Palmieri Courtesy M77

Kaarina Kaikkonen, Forget Me Not / Don’t leave me Camicie da bambino Dimensioni variabili Photo: Lorenzo Palmieri Courtesy M77